Io non sono una minimalista

Da Gynepraio @valeria_fiore

Dopo l’exploit relativo alla pulizia del mio armadio, la mia fame di sapere non si è affatto placata: la questione del minimalismo continua ad affascinarmi moltissimo. Laddove affascinare, nel Gynepraio, significa “suscitare un torbido incanto, tipico delle cose che sono solo apparentemente alla tua portata”. Ad esempio mi affascinano i trekking in Nepal, le mezze maratone, Infinite Jest di Foster Wallace, le conserve homemade, i tutorial di qualsiasi genere. Non c’è nessun motivoper cui io non possa camminare sull’Himalaya, finire un capolavoro di 1300 pagine o farmi gli smokey eyes, però poi alla fine, anche agevolmente posta nelle condizioni di scegliere, faccio altro. Ci siamo capiti, direi.

Capitemi, è un libro spesso

Ad allontanare da me il concetto di minimalismo, c’era un tunnel cognitivo nel quale credo siano cadute anche altre femmine bellissime e boccalone come la sottoscritta. Un stile di vita minimalista non ha niente a che vedere con lo stile minimalista, che identifica una corrente estetico-architettonica degli anni ’60 che oggi viene impropriamente riciclata citata ad ogni più sospinto. Basta insomma che ci siano righe bianche e nere, stoviglie candide, mensole con 3 libri e una candela, cabine armadio semivuote —-> there we have minimalismo.

Niente comodino per appoggiarci un libro, in compenso uno specchio per contemplarsi appena svegli. Tutto torna

Un’ambiente minimalista stimola il riposo, la riflessione, la pulizia mentale, il riconoscimento delle priorità. A giudicare dall’inglese meravigliosamente no-frills di Anuschka di Into-Mind, aiuta anche la chiarezza espositiva e linguistica.

Il fatto che io non mi riconosca in un’estetica così pulita ed essenziale (e che forse non lo desideri tanto, direi, visto che ho arredato ex novo 3 case in vita mia e nessuna di esse era così) ma che ricada sempre nella trappola del fronzolo/orpello/gadget, il fatto che mi piacciano antiche e nobili forme di opulenza come il frigo pieno, le dispense strabordanti e le nicchie piene di barattoli, il fatto che ho una scrittura avvitata fatta di periodi lunghi/incisi/anacoluti/avverbi, il fatto che se mi vesto con una t-shirt bianca e pantaloni neri non sembro elegante né semplice ma solo una cameriera della pizzeria O’ Scarrafone: tutti questi fatti insieme mi hanno aperto gli occhi.

IO NON SONO UNA MINIMALISTA.

Se non vi fosse chiaro, la mia cabina armadio è quella a destra

Risolta abbastanza pacificamente la questione dello stile, rimane per fortuna la questione dello stile di vita. Sempre citando il già menzionato Into Minds, un approccio minimalista alla vita consiste nel decidere consapevolmente, secondo un personale metro di valutazione, quali oggetti, persone e azioni sono importanti, e quali no. E se ho difficoltà a stabilire priorità sul fronte “possedimenti”, mi sono da tempo attivata sul resto. Negli ultimi anni, ho inconsapevolmente fatto decluttering di persone e impegni che mi innervosiscono, frustrano o annoiano, mi provocano fastidio e delusione, mi sottraggono tempo che potrei dedicare ad altro. Ho lasciato perdere alcune consuetudini come i regali di Natale, o gli auguri di compleanno a tutti i costi. Ho iniziato a correre per liberarmi della pressione psicologica che la palestra e le coreografie mi hanno sempre creato. Ho smesso di andare in snowboard perché mi metteva ansia, di guardare la TV per noia, di finire sempre e comunque i libri per senso del dovere. Ultimamente, ho abbandonato alcune “presenze” digitali che stimolavano il mio latente-ma-sempre-pronto-a-manifestarsi senso di inadeguatezza: fashion blog troppo aspirazionali, account Twitter troppo polemico-aggressivi e soprattutto alcuni marketing guru dal forte taglio “success-oriented”, che seguivo in nome del continuous learning. E devo dire, sto meglio.

Ma la vera sfida di uno stile di vita minimalista sono i risvolti etici. Il primo -eccitante- è riempire il vuoto lasciato dal superfluo con rapporti umani edificanti, relax, solitudine e meditazione, apprendimento (questo è il post più bello che abbia letto sull’argomento). Il secondo -complesso- è minimizzare l’impatto del nostro passaggio sul pianeta adottando comportamenti ecologicamente responsabili. Il terzo -eroico- è destinare le risorse economiche in surplus (ricordiamoci che, teoricamente, il minimalista spende meno) verso l’occulta e misteriosa pratica del risparmio. Ma tutti questi ambiziosi traguardi sono abbastanza lontani, un po’ come le cime dell’Himalaya dove vorrei tanto fare trekking.

PS Gli Americani hanno ufficialmente sdoganato il peccato di vanità e non temono di menarsela tantissimo. Avete presente quei professionisti à la Richard Branson, che continuano a dire quanto sono talentuosi, ad elencare i loro successi, i loro guadagni rimanendo però delle gran brave persone nonostante quei milioni di dollari o di lettori? Quelli che hanno sudato tanto per ottenere quello che ora hanno, ma sono anche generosi di se stessi e ti offrono 10-semplici-e-utili-step per diventare come loro, almeno un pochettino? Persino Leo Babauta, autore di Zenhabits, il blog-Bibbia americana del minimalismo, un uomo così intriso di understatement da cambiare le magliette solo quando sono bucate, quando parla di sé e vuole essere convincente finisce in questo meccanismo. Leggete la sua biografia e ditemi se non vi viene subito voglia di mangiarvi un timballo di cinghiale ripieno di sugna, fumarvi una Marlboro rossa e poi fare scorta di camicie in poliestere H&M da 9,99 euro.


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