“Io sono Malala” di Malala Yousafzai: il diritto all’istruzione ed alla libertà delle donne e dei bambini

Creato il 13 ottobre 2014 da Alessiamocci

“Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne. [...] Sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo.” – “Io sono Malala” –  Malala Yousafzai

Il 10 ottobre 2014 sarà ricordato alla storia come un giorno memorabile, non solo per gli episodi che già sono riconosciuti e continuamente ripetuti, ma, soprattutto, perché questa è la data in cui si è verificato un evento importante. Per la prima volta, infatti, a vincere il premio Nobel per la Pace è una giovane donna di diciassette anni, Malala Yousafzai, che, insieme a Kailash Satyarthi, ha ricevuto l’importante riconoscimento da parte del comitato di Oslo con questa motivazione: «Per la loro lotta contro la soppressione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione». Un’approvazione della loro attività pacifista che, nel caso di Malala, si rivolge anche al diritto delle donne per la loro libertà e l’istruzione.

Nel libro che è stato prima citato Io sono Malala, un’autobiografia della ragazza che è stata scritta con la giornalista internazionale Christina Lamb e pubblicato per i tipi di Garzanti, si leggono alcune parole chiave che ben riassumono i temi che sono stati portati avanti per una battaglia sofferta, ma finalmente riconosciuta, quali: «Libertà», «istruzione», «cultura», «tolleranza» e «educazione». Nel prologo si leggono queste parole: «Il giorno in cui tutto è cambiato era martedì 9 ottobre 2012: di certo non il giorno migliore, dato che eravamo sotto esami, anche se io, da vera secchiona, non ero preoccupata quanto le mie compagne».

Il giorno in cui tutto è cambiato è per Malala il vero inizio della sua battaglia. Infatti, dopo l’aggressione subita da uomini armati i quali nutrono astio nei confronti di una ragazzina che è in grado di smuovere le coscienze e di far riflettere sui metodi crudeli adottati dal regime dei talebani pakistani – contrari ai diritti delle donne e alla loro libertà e istruzione –, Malala continua la sua campagna universale per il diritto all’istruzione attraverso il Malala Fund, un’organizzazione non profit che raccoglie fondi da adoperare per i progetti educativi in tutto il mondo. Il 12 luglio 2013, dal Palazzo di Vetro di New York, lancia il suo grido di appello all’istruzione per tutti i bambini e lo fa rivolgendosi alle Nazioni Unite.

E ancora, sempre nel prologo, si legge: «Per noi ragazze quella porta era come una magica soglia che portava al nostro mondo speciale. Appena entrate, ci toglievamo subito il velo, come quando un soffio di vento spazza via le nuvole per fare posto al sole, poi correvamo su per la scala saltando i gradini a due a due. In cima alla scala c’era una terrazza su cui si aprivano le porte delle aule: buttavamo per terra gli zaini nelle classi e ci preparavamo per l’adunata mattutina all’aperto, sull’attenti, con le montagne alle nostre spalle».

La storia di Malala è molto commovente. Nasce il 12 luglio 1997 a Mingora, città della provincia della Frontiera del Nord Ovest in Pakistan, e fin da subito la gente del villaggio ebbe compassione della sua famiglia, giacché aveva avuto una femmina e per la cultura del luogo non è di certo una circostanza felice, poiché le donne non hanno voce in capitolo nella società; il loro ruolo è relegato a moglie e madre senza alcun diritto nel decidere per se stesse. Mentre i figli maschi sono sempre festeggiati, per le figlie femmine, invece, si prova quasi vergogna, soprattutto se sono le primogenite.

Tuttavia il padre di Malala, Ziauddin, è diverso dagli uomini del posto. La nascita di sua figlia lo rende felice e fiero di sé, sebbene sia deriso persino da suo cugino, ma lui non gli dà troppa importanza. Prosegue nel suo disegno che ha tratteggiato per la figlia, e le sceglie un nome importante: Malala, come l’omonima eroina di Maiwand che è riconosciuta «la Giovanna D’Arco afghana», poiché nella battaglia che vede le truppe afghane scontrarsi con quelle inglesi – che tentano di occupare il territorio – la donna, con le sue compagne, si reca nel campo per soccorrere i feriti e, quando sembra che l’esercito afghano stia per perdere, solleva il suo velo bianco e marcia contro le truppe inglesi. Malala diventa l’eroina di un Paese che, in seguito, non riconoscerà alle donne i diritti alla libertà. Fin da subito, dunque, Malala Yousafzai riceve un’eredità difficile e, al tempo stesso, importante; quasi che il suo nome l’abbia guidata nelle scelte difficili di denunciare le continue violenze e i soprusi denunciati sul suo blog creato a tredici anni e da lei curato per la BBC.

Nel paese dei talebani, le donne non hanno alcun diritto. Anzi, sono usate solo per perpetuare la specie, soddisfare i bisogni sessuali dei mariti – inutilmente gelosi e onnipresenti –, i quali hanno ricevuto una rigida cultura che ha insegnato loro a sfruttare le donne capaci solo di svolgere ruoli considerati minori, di moglie e di allevatrice dei figli. D’altra parte alcuni versetti del corano lo dicono chiaramente: «Le vostre donne sono come un seme da coltivare e quindi potete farne quello che volete» (2:223).

Le donne, quindi, sono private di tutto persino della loro dignità, poiché devono indossare i soffocanti burqa che non solo coprono il loro volto, ma anche il corpo che è di proprietà del marito. Non possono e non devono accedere all’istruzione, che è prerogativa dell’uomo; sono private della loro voce e della libertà di movimento. Eppure fino al 1994, quando ancora l’Afghanistan non era stata occupata dal regime, le donne avevano un ruolo importante, giacché esercitavano la professione di medico, infermiera e altri lavori importanti. Malala non accetta tutto ciò, anzi, si prodiga affinché lei e le sue compagne ricevano l’istruzione, la stessa che le è data dal padre che pensa sia un grande dono.

Perché nella società odierna, caratterizzata dalla precarietà, è impossibile non ricevere un’istruzione, che permette di osservare con sguardo curioso e vigile gli eventi che circondano l’uomo. Pertanto l’ambiente scolastico e quello familiare dovrebbero fornire le occasioni affinché i giovani possano confrontarsi. Tutti, senza alcuna distinzione, hanno il diritto imprescindibile a ricevere l’educazione, sebbene questo principio sia di difficile attuazione in ambienti socioculturali che reprimono la libertà. Ed ecco che, quindi, ci sono persone come Malala che fin da subito sente il bisogno di rivendicare i propri diritti e difendere la gente bisognosa di attenzione e di affetto.

D’altronde solo in un carattere forte e deciso come quello della giovane possono esserci riflessioni come questa: «Ma mentre guardavo i miei fratelli correre sulla terrazza del tetto, far volare gli aquiloni e spostare avanti e indietro abilmente le corde per abbattere quelli degli altri, mi chiedevo fino a che punto una femmina avrebbe potuto essere libera». Perché Malala non intende cedere alle minacce del regime talebano, colpevole fra l’altro di aggredire il suo popolo. Al contrario, proprio come le eroine che hanno fatto la Storia dell’uomo, si ribella con tutta la sua forza, la stessa che le ha dato il premio Nobel.

Tuttavia per lei è stata una grande sorpresa, benché il suo nome figurasse già tra i candidati. Infatti, nel corso della conferenza stampa a Birmingham ha dichiarato: «Sono onorata per aver ricevuto il prezioso Nobel. Mi rende più forte e coraggiosa». Per la sua giovane età ha ottenuto un traguardo rilevante, ma il suo impegno continuerà senza sosta perché, ci tiene a precisarlo: «Tutti i bambini hanno diritto a ricevere un’istruzione di qualità, a non soffrire per il lavoro minorile, per la tratta degli esseri umani. Hanno diritto a essere felici».

Written by Maila Daniela Tritto


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