Protagonista del romanzo è Kushami, un docente di inglese in un liceo di Tokyo: un uomo con molti tratti della biografia di Sōseki, ancora giovane (non dovrebbe avere quarant'anni), eppure tacciato della più ruvida decrepitezza. Studioso un po' sì e un po' no, si chiude nella sua stanza con i capolavori della letteratura occidentale (da Marco Aurelio ed Epitteto a William James), salvo poi addormentarsi inevitabilmente ogni pomeriggio e lasciare a metà le sue "intense" letture. Sposato e tre volte padre, Kushami sembra incarnare l'ozio e abitare in una casa aperta alle stranezze del mondo e a una giostra coloratissima, eppure parecchio credibile, di tipi umani.
La casa del protagonista ha, difatti, la fissità versatile del set di una sit-com: uno spazio ben architettato, incapace di chiudersi alle esperienze del mondo: questo perché Kushami è come una spugna indifesa, un uomo di buona pasta che vive delle sue relazioni, delle porzioni di mondanità portate fin nel suo studio o nel suo salotto, fatti che lui si guarda bene dal verificare. Frutto di una tradizione anglosassone (e spesso capace di richiamarne gli umori e lo spirito), Io sono un gatto è divertentissimo, una continua fonte di sorprese e molto stimolante sul piano intellettuale. La baraonda di maschere al suo cospetto (in particolare, l'irriverente Meitei e l'assorto Kangetsu) equivale alla ricchezza di storie e di inserti narrativi che il romanzo sfoggia con la disinvoltura di una raccolta di novelle con cornice. Notevoli, d'altra parte, le sequenze filosofiche, in linea con una certa cultura occidentale del romanzo, e le poche - ma superbe - pagine poetiche, che mantengono inalterata l'intuizione lirica nello spirito degli haiku (di cui pure Sōseki era autore).
Fulcro della storia, il confronto tra oriente e occidente, in un periodo storico, l'era Meiji (1868-1912) che corrisponde in pieno all'arco temporale vissuto da Sōseki e che portò il Giappone molto più vicino all'Europa e agli USA. Sotto questo aspetto, Io sono un gatto è una disamina satirica senz'altro incisiva e l'autore si rivela (sia pure nella cornice drammaturgica di un canovaccio comico con raisonneur animale al suo centro) capace di cogliere gli aspetti più significativi di un confronto impossibile (ma non pregiudiziale) tra due antitetiche polarità antropologiche: l'una - quella occidentale - proiettata sul mondo e sulla brama di esplorarlo fino a diluirsi in esso, l'altra - quella cinese e giapponese - colta nel suo focalizzarsi sull'autodisciplina della persona nel mondo e nella vita.
Io sono un gatto è un romanzo d'appendice di strepitosa fertilità narrativa e insieme stupisce per l'autoconsapevolezza con cui è progettato: il versatile e colto Sōseki cita episodi della mitologia classica greco-latina e delle coeve letterature europee e americana con lo spirito ironico di chi si diverte a scombinare le carte, ma nello stesso tempo colloca il suo romanzo al centro di una tradizione narrativa e poetica davvero altra. In questo senso, il numero considerevole di note integrative (a cura della traduttrice, Antonietta Pastore) aiuta molto chi non abbia dimestichezza con le culture dell'estremo oriente, sebbene - credo - questo corpus di note vada un po' rivisto, trasferendo tutti i termini significativi nell'agile dizionarietto in appendice e spostando le altre voci a pie' di pagina, onde evitare fastidiosi andirivieni a fine libro che distolgono l'attenzione di chi vuol capirci di più.
Si tratta, del resto, di problemi secondari, che non squalificano una lettura stimolante e briosa, davvero significativa.