Ira Domini. Sangue sui Navigli
di Franco Forte
Qualche tempo fa, in occasione dell’uscita del nuovo lavoro di Franco Forte, IRA DOMINI, siamo stati contattati da alcuni colleghi blogger. Un nuovo Blog Tour era nell’aria e noi, come sempre, non ci abbiamo pensato due volte a lanciarci in questa avventura. L’occasione era decisamente ghiotta: dopo aver collaborato nell’arco degli anni con Franco Forte, avremmo avuto l’occasione di intervistarlo!
Il Blog Tour coinvolge blog che sicuramente conoscerete, tutti hanno preparato interviste, approfondimenti storici e recensioni correlate da bellissime immagini storiche. Vi consigliamo di tenerli d’occhio nel prossimo giorni, ma per sicurezza alla fine di ogni tappa avrete modo di trovare il link diretto alla precedente puntata e il link per la tappa successiva.
– Liberi di Scrivere
– SognandoLeggendo
– Le mele del silenzio
– Wonderful monster
Autore: Franco Forte
Edito da: Mondadori
Prezzo: 16,0 €
Genere: Giallo, Storico
Pagine: 288 p.
Trama: Il notaio criminale Niccolò Taverna è tornato. E con lui tornano i delitti e i misteri nella splendida cornice della Milano cinquecentesca. 1576, agosto, il caldo infuria ma Niccolò Taverna non può riposare e godersi la compagnia di Isabella Landolfi, bellissima, intelligente, indipendente. Anche questa volta deve fronteggiare due casi allo stesso tempo. Come se non bastasse la peste, infatti, un misterioso assassino armato di balestra va in giro a ridurre ulteriormente la popolazione di Milano. Le vittime sembrano scelte a caso, senza una logica, senza un movente. E arriva la notizia che dei banditi hanno sequestrato i figli di don Carlos de Alcante, ricchissimo nobile spagnolo, in rapporti con il governatore Guzman e la Corona. Rapitori e ostaggi sono asserragliati in un magazzino di pietre e sabbia sulle rive del Naviglio Grande, obbligando le autorità cittadine a bloccare, dopo quasi due secoli dall’inizio dei lavori, il flusso di materiali necessari alla Fabbrica del Duomo per la costruzione della cattedrale, fortemente voluta dall’arcivescovo Carlo Borromeo in persona. Il capo dei banditi, Lasser de Bourgignac, fa delle richieste assurde, è spietato, crudele e molto sicuro di sé. Anche troppo. E se ci fosse qualcosa di più di quanto appare? Con un ritmo di scrittura incalzante Franco Forte dà nuovamente vita al mondo di Niccolò Taverna e alle sue tecniche di investigazione all’avanguardia, sullo sfondo del grande scenario di una Milano oppressa dalla peste.
Milano, 1576. Una città schiacciata dalla peste, in cui i campanelli dei monatti si confondono con il lavorio febbrile della fabbrica del Duomo, la “speranza” che un Carlo Borromeo in odore di santità cerca di dare al popolo sofferente. Tra i fumi dei roghi e i giochi di potere, qualcuno uccide a colpi di balestra, scegliendo le vittime in modo apparentemente casuale. Come se non bastasse, proprio sui Navigli, il rapimento di alcuni nobili rampolli spagnoli blocca il flusso dei materiali destinati alla costruzione della Cattedrale. Chi altri può occuparsi dei casi, se non il notaio criminale Niccolò Taverna?
Merito dei suoi precedenti (già narrati da Forte ne Il segno dell’untore), dei preziosi consigli del padre Amedeo (maestro di vita, oltre che di mestiere), della sua brillante intelligenza: il giovane notaio si trova coinvolto in entrambe le indagini, che dovrà cercare di risolvere nel più breve tempo possibile, per impedire altre morti inutili e per dare una conclusione diplomatica alla misteriosa vicenda del rapimento.
Un thriller storico molto accattivante, questo Ira Domini, dal titolo efficace, popolato di personaggi interessanti, accurato nell’ambientazione, ben gestito nel dipanare due trame separate che solo nel finale (e per un puro caso) convergeranno. Niccolò Taverna, alla sua seconda indagine, è un protagonista che tira subito dalla sua parte il lettore, mostrandogli il suo lato umano e sorprendendolo con deduzioni e tecniche investigative assolutamente all’avanguardia. A rendere più intrigante la lettura, Franco Forte mette accanto al notaio due ottime spalle, Rinaldo Caccia e Tadino José Del Rio, che con intuizioni più o meno volontarie e interventi diretti risultano indispensabili alla risoluzione dei casi, e gli contrappone un antagonista che resta impresso per la sua “leggera spietatezza” (niente spoiler, leggete per capire). L’unico appunto lo faccio al personaggio di Isabella Landolfi: pur essendo adorabile, a volte mi è parsa fuori contesto, forse troppo moderna per il suo tempo, il che le fa perdere credibilità in molte situazioni.
Ci sono diverse ispirazioni manzoniane in questo libro, non solo nell’ambientazione che precede di qualche decennio i fatti dei Promessi sposi (a mio parere, il Carlo Borromeo di Franco Forte è un personaggio molto, molto manzoniano), non manca qualche riferimento a fatti contemporanei (l’assassino con la balestra mi ha ricordato un triste “delitto perfetto” di qualche anno fa), il tutto impreziosito da un’accurata ricostruzione storica e condito dall’autore con un bel pizzico d’amore per la sua città. Il tocco sapiente dello sceneggiatore (Franco Forte è anche questo, oltre che scrittore, editor, curatore, traduttore, direttore di collana, consulente editoriale) compare qua e là, nelle zoomate sulle scene dei crimini, nelle dissolvenze tra una scena e l’altra, nei dialoghi condotti con scioltezza e abilità. La bella penna dell’autore prepara nel finale (non senza un pizzico di furbizia) il terreno a una nuova indagine.
Avrei gradito qualche pagina in più, c’erano infatti parecchie situazioni da poter ulteriormente sviluppare, ma tirando le somme il romanzo è gradevole, scorre via con facilità e tiene il lettore sempre sulle spine, fino al cliffhanger in cui le due indagini si incontrano per poi sbrogliarsi. Una lettura sicuramente consigliata.
PS – Il mio personaggio preferito è il nonno di Isabella, un simpatico truffatore, per il quale mi auguro ci sia più spazio nelle prossime avventure di Niccolò.
APPROFONDIMENTO: LE ARMI
Grazie all’accurata ricostruzione del periodo storico in cui ha ambientato le indagini di Niccolò Taverna, Franco Forte offre al lettore diversi spunti di riflessione su usi e costumi del tempo. Uno di questi riguarda le armi, che soprattutto per motivi di trama, l’autore descrive con attenzione. Ce ne sono due in particolare che hanno un ruolo primario nel romanzo e che rappresentano in un certo senso i cambiamenti epocali in corso nel periodo narrato, quasi simboli del vecchio e del nuovo, del passato e del futuro: la balestra e l’archibugio.
Tra il XV e il XVI secolo, diverse componenti di ordine sociale, economico, politico e tecnologico rivoluzionarono il modo di fare guerra, in particolare modificando gli armamenti in dotazione agli eserciti medievali che venivano impiegati solo in alcuni periodi dell’anno, avevano un’efficienza limitata ed erano formati per lo più da mercenari. L’arma più micidiale usata all’epoca era la balestra, le cui origini risalgono all’antichità. Si trattava di un’arma da lancio costituita da un arco di legno, corno, o acciaio montato su di un fusto detto teniere e destinato al lancio di quadrelli, frecce, strali, bolzoni, palle, o dardi. Fino alla comparsa delle prime armi da fuoco, la balestra fu l’arma più devastante che un singolo soldato potesse utilizzare, dato il potere di penetrazione in grado di forare le armature dei cavalieri.
Attentato a Carlo Borromeo
Il primo esercito nazionale fu quello spagnolo, che iniziò a usare su vasta scala i fanti e diede spazio alla cavalleria leggera a discapito di quella pesante. Furono gli spagnoli a introdurre nella fanteria l’archibugio e a poco a poco le armi da fuoco conquistarono terreno: nel 1508, per esempio, la Repubblica di Venezia decise di sostituire tutte le balestre con archibugi, seguita subito da molti altri Stati italiani.
Tuttavia, queste armi non furono subito determinanti: un arciere ben addestrato poteva lanciare 10 frecce al minuto con una certa precisione e con un raggio di 200 metri, mentre ci voleva diverso tempo per ricaricare un archibugio degli inizi del ‘500 e il suo fuoco era accurato fino a 100 metri. Una simile arma, quindi, non richiedeva grossi addestramenti, mentre erano necessari anni e un intero stile di vita per produrre un arciere capace.
L’utilizzo dell’archibugio fu accompagnato anche da un evolversi delle tecniche di combattimento, basate su attacchi alle spalle o con utilizzo dei più vari stratagemmi, dando il colpo di grazia a quella che era stata per secoli la base del combattimento tra cavalieri: il codice cavalleresco.
Tra i suoi i titoli: Gengis Khan – Il figlio del Cielo (2014), Il segno dell’untore (2012), Roma in fiamme (2011), I Bastioni del Coraggio (2010), Carthago (2009) e Operazione Copernico (2009). Ha inoltre lavorato per la televisione, come autore delle serie “Distretto di Polizia” e “RIS: Delitti imperfetti” e dei film TV “Giulio Cesare” e “Gengis Khan”.
Due Chiacchiere con… Franco Forte
In occasione di questa tappa del blog tour di Ira Domini, Franco Forte si è accomodato nel nostro salotto e ne ho subito approfittato per togliermi qualche curiosità. Speriamo che l’esperienza non si sia rivelata troppo traumatizzante!
Molly: Ciao Franco, benvenuto nel nostro salotto. Per quelli tra i nostri lettori che non ti conoscono: chi è Franco Forte?
Franco: Semplicemente, un grande appassionato di scrittura e lettura, che è riuscito a coniugare queste sue passioni con il mondo del lavoro. Sono dunque uno scrittore, con dodici romanzi all’attivo, uno sceneggiatore televisivo (ho partecipato a produzioni come “Distretto di polizia” e “RIS – Delitti imperfetti”) e cinematografico (ho scritto il film “Giulio Cesare” e lo sceneggiato “Gengis Khan”), un giornalista professionista (dirigo diverse testate, fra cui la rivista Writers Magazine Italia e il network di siti di Delos Books, ma sono stato direttore del mensile Fiction TV e vicedirettore di PC World Italia), un editore (Delos Books e Delos Digital) e un editor (curo per Mondadori le collane storiche dei Gialli Mondadori, Urania e Segretissimo).
Molly: Oggi sei con noi per presentare il tuo Ira Domini. Sangue sui Navigli, un thriller storico condotto con eleganza espressiva e accuratezza storica, seconda indagine del notaio criminale Niccolò Taverna. Non sei nuovo alla stesura di romanzi storici: quanto è stato complesso per questo libro il lavoro di documentazione?
Franco: Quando si ambienta un romanzo in un’epoca storica diversa da quella contemporanea, il lavoro di documentazione è fondamentale. Occorre studiare tanto e raccogliere quanto più materiale possibile, per avere una panoramica a 360° delle condizioni sociali, politiche, economiche e della vita di tutti i giorni in cui si dovrà ambientare la propria storia. Dopodiché non sarà necessario sfruttare tutte queste informazioni per la stesura del romanzo, perché si finirebbe per sovrastare il lettore con un eccesso di spiegazioni. L’importante è che il lettore percepisca il valore della ricostruzione storica che è stata fatta, da parte di chi sa tutto ciò che c’è da sapere, ma che sfrutta solo una parte di questo materiale per dare coerenza e credibilità all’impianto narrativo dell’opera. Il tutto, naturalmente, condito con gli elementi indispensabili di fantasia del costrutto narrativo.
Molly: Nei Promessi Sposi, se non ricordo male, durante i tumulti di Milano Renzo finisce davanti a un notaio criminale. Perché hai scelto proprio questa figura tra tutte quelle del sistema giudiziario dell’epoca? Quanto ha pesato nell’ispirazione delle avventure di Taverna il romanzo di Manzoni?
Franco: Da esperto di gialli come mi ritengo di essere, credo che una delle difficoltà maggiori quando si pensa a una storia per questo genere letterario sia proprio trovare un protagonista originale, di cui non si sia letto troppo. Ormai gialli con commissari, carabinieri, preti e suore che indagano, giornalisti, cuochi e chi più ne ha più ne metta ce ne sono a bizzeffe. Quando, nei miei decennali studi su Milano, mi sono imbattuto nella figura del notaio criminale, tipica della capitale lombarda nel 1500, ho capito di avere di fronte un investigatore del tutto nuovo, originale e che mai nessuno aveva sfruttato, se non per qualche rapida comparsata. Una figura che racchiudeva in un unico funzionario del Tribunale di Giustizia di Milano l’equivalente di un moderno commissario di polizia, di un magistrato e persino di un tecnico della scientifica. Ecco dunque che Niccolò Taverna, il mio notaio criminale, indaga sfruttando tutte le conoscenze dell’epoca, e mettendo in campo le tecniche investigative che si usavano nel 1500, tutte documentate e su cui mi sono basato per costruire le mie storie. Non c’è nulla di inventato, nei primi due romanzi con questo protagonista, “Il segno dell’untore” e “Ira domini”. E chi li leggerà scoprirà che anche nel 1500 era possibile condurre delle indagini criminali con raziocinio e ottime conoscenze delle specialità che anche oggi danno vita alle discipline di criminologia tecnica, come la balistica, lo studio delle macchie di sangue e così via.
Per quanto riguarda il Manzoni, la sua influenza è stata grande soprattutto con il libretto “La storia della colonna infame”, più che con i “Promessi sposi”.
Molly: Ira Domini viaggia su due trame parallele, che nel finale convergono. La vicenda del rapimento ti ha dato occasione per mostrarci un paio di interessanti personaggi, Lasser e Carlo Borromeo, ma la sotto-trama che mi ha colpito di più è quella del “delitto perfetto”: ci vedo solo io un richiamo a fatti di cronaca di qualche anno fa?
Franco: Nei miei romanzi i fatti di cronaca attuali sono sempre presenti, perché anche se ambiento i miei libri nel passato è evidente che i lettori sono persone d’oggi che leggono i giornali e che seguono i fatti di cronaca che affliggono le nostre città. Inserire dei richiami all’attualità è secondo me un valore aggiunto, che rende più partecipativa l’attenzione del lettore, costruendo un ponte emotivo fra ciò che si legge in un romanzo e ciò che avviene nel mondo reale.
Molly: Ci piacerebbe scoprire i tuoi gusti letterari: qualche titolo della tua biblioteca ideale?
Franco: Io leggo di tutto, un po’ per mestiere (chi scrive devo capirlo: non si può mai smettere di leggere) un po’ per passione, e a seconda del momento passo dai grandi classici (Dostoevskij è per me il più grande scrittore mai esistito) ai contemporanei, svariando dal thriller/noir (l’amico Maurizio De Giovanni è una lettura ormai obbligata, per chi vuole masticare questo genere) a Italo Calvino, che considero il numero uno fra gli scrittori italiani di sempre, insieme a Giovanni Verga. Se guardate il mio comodino accanto al letto vedrete una ventina di romanzi impilati, di tutti i generi e con autori di tutte le estrazioni, che leggo contemporaneamente.
Molly: Quando un’intervista si avvia alla conclusione, la domanda è di rito: progetti futuri?
Franco:Al momento sto lavorando sul mio prossimo romanzo, che sarà una sorta di biografia romanzata di Caligola, l’imperatore che regnò per soli tre anni, lasciando un profondo segno nella storia di Roma. Poi mi dedicherò al terzo romanzo della serie di Niccolò Taverna, che spero di fare uscire nel 2016. Ma il vero progetto a cui tengo molto e che sto seguendo in questi giorni è per un film, dal titolo “Hamburger”, di cui sono autore e sceneggiatore, e che vedrà la regia di Renato Recchia e la partecipazione come attore protagonista di Stefano Chiodaroli. Produttore esecutivo, Nicola Disapio. “Hamburger” è un film ambientato a Milano, nelle periferie malfamate dove i randagi della notte si muovono all’ombra della malavita organizzata, e racconta la storia di un uomo che semina morte inseguendo una vendetta, e che presto da cacciatore si ritroverà a essere braccato, fino alla resa dei conti finale.
Molly:Concluderei con una curiosità: c’è una domanda che avresti voluto ricevere e che in nessuna intervista ti è stata fatta?
Franco:Be’, sì, in effetti nessuno mi ha mai chiesto: ma fra tutte le cose che fai, quale ti piace di più? Ecco, questa domanda non mi è mai stata fatta. Risponderò quando qualcuno, prima o poi, deciderà di farmela…
Molly: Grazie, Franco, per la tua disponibilità.Ti aspettiamo con la prossima avventura del Notaio criminale.
Franco: Grazie a voi!