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Iran: la rivincita degli esperti di relazioni internazionali e dell’élite religiosa

Creato il 17 giugno 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Iran: la rivincita degli esperti di relazioni internazionali e dell’élite religiosa

La (prevedibile) elezione di Hasan Ruhani: in cantina filosofi e seguaci del messianismo; spazio a esperti di relazioni internazionali, marja’ al-taqlid, e grandi famiglie dell’establishment religioso sciita. Al vertice, c’è sempre la Guida, ‘Ali Khamene’i. [Nella foto a destra: Raffaele Mauriello, autore dell'articolo riceve il premio di "Libro dell'anno nella Repubblica Islamica d'Iran 2013"].

 
La Repubblica islamica dell’Iran ha un nuovo presidente, Hasan Ruhani. Dopo il profondo trauma degli scontri di piazza seguiti alle elezioni presidenziali del 2009, i giovani e le donne iraniane del campo progressista hanno mostrato la loro maturità appoggiando il percorso moderato e conciliatore di Hasan Ruhani, in mancanza di quello in difesa dei principi di giustizia ed eguaglianza, ma senza capacità di compromesso, di Mir Husayn Musavi.

Il giorno dopo l’annuncio ufficiale delle elezioni, i media italiani e internazionali gridano alla sorpresa e all’imprevedibilità per la vittoria di una delle figure più importanti del panorama politico e culturale iraniano, Hasan Ruhani1. Eppure, per l’Autore non era stato difficile descrivere, più che prevedere, l’atteso risultato delle elezioni: individuando i tre candidati più importanti in Hasan Ruhani, Muhammad Baqer Qalibaf, e Sa‘id Jalili – risultati rispettivamente primo, secondo e terzo per numero di voti –, e dando per favorito proprio Ruhani, in risposta a quanto previsto dal The Economist che parlava invece di Jalili2. Il perché è semplice. Il perché risiede nella conoscenza, più che nella consapevolezza, del fatto che l’Iran è fra le più avanzate democrazie del Vicino Oriente3 (insieme alla Turchia, attualmente alla prova della Piazza, e di Israele, che però andrebbe giudicato all’interno della drammatica questione palestinese). Infatti, il sistema iraniano, il Nezam, invece di essere una dittatura è un’ampia e variegata oligarchia che si regge sull’alternanza e la convivenza, sia nel Parlamento che alla Presidenza della Repubblica, delle quattro litigiose componenti ideologico-culturali del Paese: i conservatori-tradizionalisti, i conservatori-riformisti/rivoluzionari, i moderati, e i progressisti (o, meglio, la “sinistra islamica”).

L’Autore conosce personalmente parte importante del team e dei gruppi di potere che hanno portato Hasan Ruhani alla vittoria. Ruhani è conosciuto dalla stampa e dalle cancellerie europee e americane per essere stato a lungo segretario del Consiglio per la Sicurezza Nazionale (Shura-ye ‘Ali-ye Amniyat-e Melli) in Iran, dal 1989 al 2005, e quindi volto dei negoziati per il nucleare venuti in essere in seguito alla “rivelazione” nel 2002 della possibile esistenza di un programma nucleare militare parallelo a quello civile. Nessuno sembra sapere, però, che Ruhani è anche stato direttore dal 1992 a oggi del Centro per la Ricerca Strategica4/Istituto per la Ricerca Strategica5 (Markaz-e Tahqiqat-e Estratejik) del Consiglio per il Discernimento dell’Interesse del Sistema (Majma‘-e Tashkhis-e Maslahat-e Nezam), l’istituto di studi strategici della più importante istituzione conciliare della Repubblica Islamica dell’Iran (dal 1997 ad oggi; in precedenza il Centro era legato alla Presidenza della Repubblica). Tale Consiglio, va ricordato, è stato guidato dalla sua creazione nel 1989 sino a oggi da Ali-Akbar Hashemi-Rafsanjani (presidente dell’Iran dal 1989 al 1997).

Alcuni anni fa, l’Autore fu invitato dall’Istituto per la Ricerca Strategica a scrivere un contributo sul ruolo degli esperti di sciismo nella comprensione della geopolitica e delle relazioni internazionali della Repubblica Islamica dell’Iran6. Il successo del saggio aprì a chi scrive le porte della bellissima sede dell’Istituto e lo catapultò al settimo piano dell’edificio, a fare la diretta conoscenza di Mahmud Vaezi7, vice di Ruhani e de facto in carica della gestione quotidiana dell’Istituto, oltre che ex Viceministro degli Esteri per gli Affari Europei e Americani. Nel corso della stesura e revisione del saggio, durata un paio di mesi, e delle visite fatte in seguito all’Istituto, l’Autore poté costatare l’elevatissimo livello di preparazione e organizzazione dei membri dello stesso e soprattutto come, di fatto, perlomeno durante la seconda legislatura di Ahmadinejad, l’Istituto stesse fungendo da riparo ad alcuni dei più importanti diplomatici e analisti sia riformisti che moderati del Paese sempre più esclusi dall’amministrazione pubblica in favore delle nuove leve portate al potere dai gruppi in sostegno del presidente Ahmadinejad. Le buone intenzioni dell’alleanza fra Rafsanjani e Khatami erano state messe concretamente alla prova ben prima dell’alleanza elettorale “a sorpresa” delle recenti elezioni.

Cosa ci aspetta: tanta geopolitica, ma ancor più relazioni internazionali

La vittoria di Hasan Ruhani rappresenta la vittoria dell’alleanza fra i tecnocrati moderati del Sistema (Nezam) e le forze più riformiste dell’Islam ideologico à la ‘Ali Shariati. Non è difficile descrivere, più che annunciare, il ruolo di preminenza che ricopriranno gli esperti di relazioni internazionali in luogo dei filosofi, adepti del messianismo islamico sciita (mahdaviyat), e ideologi ammucchiatisi attorno all’Amministrazione Ahmadinejad. Esemplare può essere un dibattito andato in onda nel corso delle elezioni fra Mahmud Vaezi, in rappresentanza di Hasan Ruhani, e ‘Ali Bagheri, in rappresentanza di Sa‘id Jalili. Nel dibattito, Vaezi denunciava l’insensatezza dell’utilizzo a fini di politica estera della vicenda dell’olocausto, che egli descriveva come “tirata fuori dalle profondità della Storia”, dichiarando, inoltre, la necessità di rimettere innanzitutto in ordine le relazioni dell’Iran con l’Europa e con i paesi della regione del Vicino Oriente, prima di preoccuparsi di zone come l’America Latina. La risposta di Bagheri era che “la questione dei negoziati sul nucleare in realtà non è legata alla questione del nucleare, ma alla contrapposizione del sistema attuale [i.e. dei poteri internazionali] con la Repubblica Islamica dell’Iran”, e aggiungeva che, “loro [i.e. i poteri internazionali] non sono contrari a un Iran nucleare, ma a un Iran islamico”8.

Cosa ci aspetta: il ritorno della marja‘iyya e delle grandi famiglie dell’establishment religioso sciita di Qom (e Najaf)

La marja‘iyya rappresenta l’evoluzione della struttura informale di gestione del fatto religioso in ambito sciita imamita, la forma di sciismo maggioritaria in Iran9. Per farla breve, lo sciismo imamita prevede che ogni credente segua le prescrizioni religiose così come interpretate da uno dei grandi giurisperiti islamici a livello internazionale (marja‘ al-taqlid) residenti nelle città con i centri di studio religioso tradizionale; sostanzialmente, e sempre più solo, Najaf (Iraq) e Qom (Iran)10. L’appoggio e gli auguri fatti dall’Ayatollah al-‘Uzmà Asad-Allah Bayat-Zanjani, marja‘ al-taqlid di riferimento in ambito progressista e membro a pieno titolo della marja‘iyya, a Ruhani sono più che sufficienti a documentare quanto vengo dicendo11. A tal riguardo, pochi sembrano sapere che le due legislature di Ahmadinejad hanno rappresentato una sfida senza precedenti alla marja‘iyya e alle tradizionali élite dell’establishment religioso sciita. Inoltre, rispetto a questo tema, ancora più minoritari sono coloro a conoscenza del ruolo di assoluta preminenza rivestito all’interno dell’establishment religioso sciita – e più in generale delle società islamiche – da parte di alcune grandi famiglie di presunti discendenti del Profeta Muhammad; conosciuti come “alidi” in ambito accademico12. Esemplificativa è la famiglia degli al-Sadr, quella del famoso Imam Musa al-Sadr in Libano (scomparso in Libia nel 1978), di Muqtada al-Sadr in Iraq, e della suocera dell’ex presidente Muhammad Khatami (1997-2005) in Iran. Ebbene, è più che prevedibile che i membri di queste famiglie torneranno alla ribalta dopo le forti difficoltà incontrare durante l’Amministrazione Ahmadinejad, sostenuta da ambienti religiosi in netto contrasto con le menzionate élite tradizionali.

Gli auguri

A chi scrive non rimane che fare gli auguri al nuovo Presidente e al laborioso e accattivante popolo iraniano. Il tutto sotto lo sguardo vigile e lucido della Guida.


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