IRAN: Rouhani, riformista a chi? Il nuovo presidente non è l’uomo del cambiamento

Creato il 20 giugno 2013 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 20 giugno 2013 in Iran with 0 Comments
di Giada Neski

Alle elezioni presidenziali iraniane del 14 giugno erano in pochi ad aspettarsi la vittoria del religioso Hassan Rouhani che, con il 50,71% delle preferenze, è riuscito a conquistare la presidenza al primo turno. Stravolti i pronostici che davano come favoriti il sindaco di Teheran, Mohammad Bagher Ghalibaf, e il negoziatore sul programma nucleare iraniano, Said Jalili, fermatisi rispettivamente al 16,56% e all’11,36 %. Soprattutto, Rouhani è riuscito a sorpresa a scacciare il fantasma dell’astensionismo, che aveva infestato le ultime due settimane di una campagna elettorale semiletargica. L’affluenza, che ha subìto un lieve calo rispetto all’85 per cento delle ultime presidenziali del 2009, è stata comunque piuttosto alta, assestandosi al 72%. La vittoria di Rouhani è stata accolta con entusiasmo da molti simpatizzanti dell’Onda verde, il movimento che, dopo i presunti – nonché probabili – brogli elettorali del 2009 che avevano portato alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad, era sceso in piazza chiedendo al governo: “Dove è il mio voto?”. La risposta era arrivata sotto forma di una repressione violenta sui manifestanti ricordando agli iraniani che, nel periodo post elettorale, la loro mobilitazione politica non era più gradita.

Diritto di critica… per due settimane

Durante la breve campagna elettorale iraniana il regime in genere permette di allentare parzialmente le briglie sulla società civile e a Rouhani è stata concessa sufficiente libertà di critica al sistema da infondere speranza a molti dei delusi dalle violenze del 2009. Al religioso è stato permesso di scagliarsi pubblicamente contro l’eccessivo ruolo dello Stato nella vita dei cittadini, contro il clima claustrofobico nelle università; si è espresso anche sul problema della fuga dei cervelli dal Paese e sulla necessità di istituire un ministero per affrontare la questione femminile. La sua retorica riformista è stata convincente a tal punto che, qualche giorno prima delle elezioni, l’unico candidato veramente riformista, Mohammad Reza Aref, è stato invitato dagli ex presidenti Hashemi Rafsanjani e Mohammad Khatami a mettersi da parte. I due politici, che sono diventati i punti di riferimento dei riformisti, hanno annunciato il loro appoggio a Rouhani e definito la candidatura di Aref “sconveniente”, in quanto avrebbe finito per disperdere i voti dei moderati.

Una primavera iraniana?

Nonostante Rouhani abbia vinto anche grazie al voto dei riformisti, al momento è difficile etichettarlo come l’uomo del cambiamento; in fondo, se lo fosse, non sarebbe lì. Bisogna sempre tenere a mente, infatti, che in Iran i candidati alle presidenziali sono passati al vaglio dal Consiglio dei guardiani, un organo vicino alla Guida suprema Ali Khamenei, che quest’anno ha bocciato almeno 678 candidature di personaggi ritenuti non sufficientemente leali al regime. Vicino sia all’ex presidente riformista Khatami, sia al padre della Rivoluzione islamica – l’ayatollah Khomeini – Rouhani, più che riformista, può essere visto come figura aperta al dialogo, dialogo in cui il nuovo presidente non sarà che uno degli interlocutori. Questo risultato elettorale quindi è ben lontano dal poter essere definito uno schiaffo al regime della Repubblica islamica. Anzi, l’unica vera minaccia sarebbe stata l’astensione. Lo ha ammesso anche la stessa Guida suprema che qualche giorno prima delle elezioni, invitando la popolazione a votare, ha ricordato che “un voto per ognuno dei candidati è un voto per la Repubblica Islamica. È un voto di fiducia al sistema e al meccanismo delle elezioni”.

Thank you for voting

Ora infatti, grazie all’alta affluenza alle urne, Khamenei esce rafforzato e la Repubblica islamica può prendere respiro e guadagnare tempo. Ha un nuovo presidente legittimato dal voto di più di 18 milioni di iraniani e benvisto dalle cancellerie internazionali. Rouhani, infatti, è stato capo negoziatore sul nucleare iraniano dal 2003 al 2005, periodo durante il quale ha spinto per una posizione meno intransigente dell’Iran. Tuttavia, questa aura di politico moderato volto al cambiamento sarà difficile da mantenere in un regime complesso come quello iraniano che da un lato non può sopravvivere senza la mobilitazione e la legittimazione popolare, ma dall’altro stronca qualsiasi opposizione che metta in discussione i pilastri su cui si regge la Repubblica islamica. Forse un segnale incoraggiante nei prossimi mesi potrebbe essere la liberazione dei due leader simbolici del «Movimento verde» del 2009, Mir Hossein Mousavi e Mehdi Karroubi, ancora agli arresti domiciliari. Ma alla società civile iraniana, che chiede autentiche aperture, questo non basterà.

Che attraverso il voto per Rouhani gli iraniani abbiano lanciato nuovamente una domanda per il cambiamento è certo. Ciò che è meno ovvio è come il neo eletto presidente dell’Iran, non così lontano dallo stesso regime che represse con violenza la mobilitazione politica del 2009, potrà/vorrà trovare nuove risposte a questa domanda.

Tags: Ali Khamenei, elezioni presidenziali, Giada Neski, Iran, Mehdi Karroubi, Mir-Hossein Mousavi, riforme, Rouhani Categories: Iran


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