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Iran, Turchia ed Arabia Saudita: cosa succede in Siria?

Creato il 22 febbraio 2016 da Pietro Acquistapace
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Fonte immagine – Youtube

Una premessa giusta e necessaria è quella di dire che quello che segue non è scritto da un’analista esperto del settore, ma soltanto da una persona che tenta di capirci qualcosa, non sempre con successo. Quello che sta accadendo in Siria è la creazione di un groviglio che, proprio per la sua complessità, rischia di essere esplosivo. Un po’ come quando scoppiò la Prima guerra mondiale, un conflitto iniziato non si bene per quale vera ragione, molteplici le cause al tempo possibili. Andremo quindi a tentare di riflettere su alcuni punti importanti, nella speranza di chiarirci le idee sulla questione.

Altra premessa necessaria è quella di dimenticare la maggior parte di quanto riportato riportate dai mezzi di informazione, almeno quelli a più larga diffusione. In Italia la politica estera è sempre ridotta a polemica politica, usata per fini che di estero non hanno nulla. Riportare la guerra in Siria alla campagna elettorale di un paese della Brianza non ci può essere d’aiuto. In ogn caso ci sono blog, testate giornlalistiche e persone molto informate, ma bisogna investire in tempo e pazienza per trovarle. Altra tara da considerare è una visione eurocentrica del mondo, cosa che come vedremo non corrisponde al reale stato delle cose.

Iran e Arabia Saudita

Il vero problema geopolitico oltrepassa la Siria, ma investe tutto il Medio Oriente e la Penisola Araba. In gioco c’è la supremazia nella regione ma anche una profondissima lotta interna al mondo islamico. Iran ed Arabia Saudita si stanno combattendo, in maniera più o meno velata da anni. Il conflitto tra l’Arabia Saudita (sunnita) e l’Iran (sciita) è emerso chiaramente con la guerra civile che si sta combattendo in Yemen, una guerra ignorata a livello internazionale per le sue implicazioni geopolitiche. Gli iraniani stanno già combattendo in Siria chimati da Assad, i sauditi dicono di voler intervenire con truppe di terra ma a sostegno di combattenti islamici contrari al presidente siriano. Se queste due forze dovessero entrare in collisione sul campo, vi sarebbe una miccia potentissima per lo scoppio di una guerra molto più vasta.

Turchia ed Arabia Saudita

Le scelte turche stanno diventando sempre più un elemento decisivo per il futuro della guerra in Siria. Come l’Arabia Saudita i turchi vogliono una Siria a guida sunnita, quindi senza Asssad che è Alawita. La Turchia sembra essersi impantanata in Siria ed in una posizione difficile. Nonostante i rapporti stretti con i sauditi (tre visite ufficiali turche in un anno) Ankara tenta di tenersi in equilibrio senza schierarsi completamente al fianco di Riyad. La Turchia è un membro NATO, il che significa che una guerra in cui la Turchia scenda in campo potrebbe avere conseguenze di portata maggiore con una sorta di effetto a catena. Da non sottovalutare l’importanza delle tensioni interne alla Turchia dove l’estremismo islamico sembra avere un peso non indifferente. La Turchia ha riallacciato i rapporti con Israele, interrotti dal 2010, ma non ha rotto con l’Iran nemmeno dopo la crisi internazionale creata dall’Arabia Saudita con l’esecuzione di Nimr al-Nimr, importante leader religioso sciita.

Turchia ed Iran

Come appena detto, i due paesi non hanno rotto le relazioni diplomatiche nemmeno dopo la crisi provocata da Ryad probabilmente proprio allo scopo di isolare diplomaticamente Teheran. Per la Turchia l’Iran è un importante partner commerciale, soprattutto dopo la fine delle sanzioni. Il gas iraniano è un’alternativa fondamentale a quello russo, inoltre la Turchia è un canale fondamentale per portare il greggio iraniano verso i mercati occidentali. Nonostante quello che vorrebbero i sauditi sembra che turchi ed iraniani non vogliano andare oltre una rivalità regionale, tuttavia la Turchia sembra davvero in bilico. Il citato estremismo islamico turco, ad esempio quello dei Lupi Grigi, è già sul campo in Siria, combattendo contro Assad a volte tra le file dell’ISIS. I recenti attentati in territorio turco non sembrano essere avvenuti a caso, ma potrebbero essere stati precisi segnali al governo. Non va poi dimenticato che secondo la costituzione turca l’esercito ha il compito di difendere la laicità dello Stato.

Russia e Stati Uniti

Ultimamente i toni tra questi due paesi sembrano essere tornati a quelli del tempo della Guerra Fredda. Eppure una sostanziale differenza per quanto riguarda la Siria esiste: i russi sanno cosa vogliono, gli americani no. La politica russa è chiara, ossia mantenere al potere Assad, costi quel che costi. Per i russi una Siria amica significa l’accesso alle acque calde del Mediterraneo, obiettivo che guida la politica estera russa da secoli. Capito questo si capiscono anche i bombardamenti di Mosca in Siria, prima viene la difesa della base navale di Tartus e del governo di Assad, poi viene la lotta all’ISIS. In quest’ottica Mosca sta anche tentando di riunire i gruppi islamici combattenti recuperandoli alla causa di Assad, formando un fronte che sia anti ISIS ma pro governo siriano, tutti gli altri sono nemici da combattere. Gli Stati Uniti non sanno invece cosa fare, alle prese con le elezioni presidenziali non possono lasciare l’iniziativa ai russi ma nemmeno inviare truppe di terra, sono quindi alla disperata ricerca di chi combatta per conto loro. Tuttavia la formazione di un fronte islamico siriano moderato si è rivelata un fallimento, sulle cui ceneri sta intervenendo Mosca, per questo gli americani stanno pressando tutti, Europa compresa, ma senza nessuna strategia concreta. Anche la fine delle sanzioni all’Iran può essere vista come una richiesta di aiuto nella risoluzione delle crisi in Afghanistan e Medio Oriente, tuttavia gli iraniani sono molto legati alla Russia e nemici giurati dei sauditi, teoricamente alleati degli Stati Uniti. Tutti sono cosapevoli che un’eventuale alleanza militare tra Turchia e Arabia Saudita non avrebbe la forza di sconfiggere la Russia.

Il petrolio

Se si uniscono Ankara, Teheran e Ryad otterremo un triangolo, all’interno del quale si trova il 55% delle riserve di petrolio mondiali. Iran e Arabia Saudita sono membri dell’OPEC, l’associazione che riunisce i paesi esportatori di petrolio. Il prezzo a picco del barile danneggia questi paesi, al punto che in alcuni di essi si temono rivolte sociali come conseguenza del crollo dei profitti. A rendere peggiori le cose il rallentamento delle economie cinese e americana. Per far risalire il prezzo del greggio servirebbe un blocco della produzione, come chiesto da molti paesi OPEC. A questo fine si era recentemente raggiunto un accordo tra russi e sauditi, a cui si era detto disponible anche l’Iran. Tuttavia l’Arabia Saudita ha poi deciso di agire diversamente, il basso prezzo del petrolio è infatti un modo per buttare fuori dal mercato gli Stati Uniti e la loro produzione di shale oil, ossia idrocarburi estratti in maniera non convenzionale. Un blocco della produzione favorirebbe inoltre il clima del pianeta e andrebbe nella direzione di sviluppare energie alternative. Per quanto riguarda la Siria, le mancate entrate dovute al basso prezzo del petrolio sono da deterrente per un’escalation su larga scala del conflitto.

I curdi

Chi rischia di pagare più di tutti, dopo il popolo siriano, sono i curdi, esaltati dalla stampa internazionale ma che rischiano infatti di combattere senza altro guadagno che quello di salvare la pelle. I curdi vivono a cavallo di quattro nazioni: Siria, Iraq, Turchia ed Iran. Non è un mistero che uno stato curdo indipendente non è molto voluto dalla politica internazionale, eppure i curdi sono necessari per combattere nella guerra siriana. Divisi da profonde lacerazioni interne che hanno portato in passato anche a guerre intestine, oggi i curdi sono appoggiati da Stati Uniti e Russia e combattuti dalla Turchia che sembra più interessata a combattere loro piuttosto che l’ISIS. A complicare le cose il fatto che gli americani appoggiano i curdi iracheni, mentre la Russia appoggia quelli siriani. Riguardo ai teorici fronti, il problema curdo è trasversale, visto che come detto Usa e Russia li appoggiano, la Turchia li combatte (non va dimenticato che i turchi ritengono il PKK curdo un movimento terrorista) e l’Iran si dice desideroso che i curdi vivano felici ed abbiano diritto di cittadinanza, ma senza tuttavia arrivare ad uno stato curdo. Quella curda rischia di essere un’altra questione il cui peso si vedrà forse in futuro.

L’ISIS e l’Europa

Alla luce di quanto visto sopra, questo è solo uno degli aspetti della vicenda siriana, nemmeno la più importante. Probabilmente la predisposizione mentale eurocentrica e la “vicinanza della paura” non permettono di capire che ISIS e UE sono solo alcuni degli attori in campo. Sulla Siria, come su tutto il resto, l’Unione Europea è alla deriva senza una posizione chiara e comune, spinta dall’interesse verso la Russia ma dalle alleanze verso gli USA. Molto più pericoloso dell’ISIS è per i paesi europei il suo brand, ossia il potere mediatico che lo Stato Islamico ha saputo costruire. Mentre un attentato dell’ISIS può essere un calcolato mezzo di pressione politica, la rabbia degli esclusi dal sogno occidentale è cieca e irrazionale. Senza capire questo l’Europa può andare incontro a periodi ancora più bui, tanto più che l’ISIS sta cercando di “internazionalizzare” la crisi siriana aprendo altri fronti che indeboliscano la coalizione internazionale, ad esempio in Libia dove è molto attivo il Katibat Al-Battar Al-Libi (KBL) fromato da reduci della Siria. Ideologicamente il paese più vicino all’ISIS sarebbe l’Arabia Saudita, dove vige un regime islamico wahabita, anche se la gestione dei mezzi di propaganda e la propensione ad una guerra che sia anche mediatica avvicina molto lo Stato Islamico all’Occidente, in particolare agli Stati Uniti.

Sicuramente in questo articolo ci sono errori ed elementi da approfondire e probabilmente non sono state toccate tematiche importanti, ma resta il fatto che la guerra in Siria è molto più complessa di come viene spesso rappresentata.


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