Nevrosi di un eroe playboy e filantropo chiuso dentro un’armatura. Iron Man 3 (2013): quando l’aspetto psicologico di un personaggio ha la meglio sulle battaglie per la difesa del mondo da noi conosciuto. Epilogo o semplice deviazione tematica?
Sono passati più di dieci anni da quando, nel corso di una serata in Svizzera, un giovane Stark si intratteneva con la bella Maya Hansen e lasciava sul tetto (letteralmente) l’ambizioso Aldrich Killian. Nel mentre Stark ha salvato il Mondo dalle armate di Loki e soffre di frequenti attacchi di panico. Ma una nuova minaccia si staglia all’orizzonte: il suo nome è Mandarino e il suo obiettivo è il Presidente degli Stati Uniti.
Cambia la partitura musicale (non più Ac/Dc, ma gli Effeil 65) e di conseguenza si modifica l’approccio nei confronti dell’eroe tutto cervello e tecnologia Marvel. Tuttavia il cambio di incipit musicale non è del tutto rilevante, apre esclusivamente una nuova fase (votata al passato di Tony Stark) che il pubblico non conosceva. Sicuramente più rilevante è il cambio al timone della pellicola. Non più Jon Favreau, ma Shane Black e si sente. La volontà è quella di effettuare un trait d’union riconoscibile con l’ultimo film (non Iron Man 2 (2010), ma The Avengers (2012), nel quale il supereroe non era semplicemente una comparsa nel calderone Marvel, ma forse IL protagonista. Infatti la battaglia per la difesa della Terra ha smosso in Stark qualche dubbio e ha tirato fuori dal cilindro qualche fantasma in più. E Downey Jr. si trova a suo agio nella nuova veste, meno spocchiosa, arrogante e vincente, ma sicuramente più umana. Il regista lavora su questo, sulle nevrosi del protagonista e sul ruolo dell’armatura, non solo maschera appariscente e riconoscibile, ma vero e proprio guscio protettivo. Iron Man 3 è la pellicola più verosimile delle tre e dimostra come un supereroe viva in modo angosciante il suo ruolo nel mondo. Le precedenti pellicole ci avevano abituato a uno Stark, che si era velatamente preoccupato del suo problema principale: la fragilità psicologica, conseguenza di diverse schegge conficcate nel petto e pericolosamente vicine al cuore. Ma non solo perché l’ansia e la nevrosi abilmente ostentate dal regista permettono al protagonista di pensare al prossimo, al suo futuro. E la prima parte della pellicola cavalca senza remore tutto questo, senza evitare puntatine sarcastiche e risate sparse. Purtroppo (o per fortuna) si tratta di un film su Iron Man e di conseguenza non possono mancare battaglie e villain. E se i combattimenti, esibiti in un confusionario e metallico finale da fuochi d’artificio, fanno ritornare la pellicola a livelli standard, per quanto riguarda il cattivo di turno si assiste a una svolta interessante, anche se inizialmente banale e stereotipata. Difatti il Mandarino ricorda e ricalca Bin Laden (messaggi televisivi agghiaccianti contrappuntati da esecuzioni di massa, una barba lunga, un turbante in testa, il dono dell’invisibilità e dell’imprevedibilità), riportando gli spettatori statunitensi a recenti eventi. Tuttavia Black, volutamente, si discosta dal fumetto (scelta coraggiosa) e costruisce un villain forse più pericoloso: una forza sconosciuta, che si compone esclusivamente di immagini. Pare un messaggio subliminale; l’abito non fa il monaco. Le apparenze ingannano. È tutto un trucco.
Di conseguenza Iron Man 3 si fa apprezzare a metà. Perché quando Black scende nel privato del personaggio alla ricerca dell’autenticità si assiste a una pellicola, mentre quando scivola nell’esibizione di grossi giocattoli volanti se ne osserva un’altra. «Sei grosso con l’armatura. Ma senza quella, cosa sei?». «Un miliardario, playboy filantropo». Iron Man, ma anche un uomo fragile.
Uscita al cinema: 24 aprile 2013
Voto: ***