La fase due dell’universo Marvel comincia laddove aveva deciso di aprirsi cinque anni fa la fase uno.
Tocca ancora ad Iron Man riaccendere i motori della giostra più visitata e più vivace del mondo, motori spenti dopo quel devastante sovraccarico sostenuto in “The Avengers” ma adesso raffreddati e pronti a riprendere i giri insieme a Tony Stark e alla sua armatura, che proprio da quell'esperienza sono rimasti segnati e contaminati.
C’era un handicap considerevole a minare però la lavorazione di “Iron Man 3”, ed era il polpettone servito dal suo secondo capitolo, il ritratto irriconoscibile dell’inaspettato, fresco e piuttosto ben scritto originario. L’unica maniera di risollevare le sorti di una situazione incrinata era prendere allora uno sceneggiatore davvero capace, che sapesse dove andare a mettere le mani per sistemare gli strappi, e magari ricucire sopra di essi una nuova, bella, federa resistente, che riportasse il franchise più amato targato Marvel ai livelli che gli spettavano. Il compito era senz'altro arduo ma la fortuna ha voluto che si andasse addirittura oltre le previsioni, perché non solo questo sceneggiatore è saltato fuori ma, oltre ad essere un vero mago del mestiere, era perfino capace di dirigere con scioltezza una pellicola cinematografica, senza contare che al suo curriculum allegava scritture di buddy-cop movie così importanti da esser diventati nel corso del tempo eterni: “L’Ultimo Boyscout”, i primi due capitoli di “Arma Letale” e la regia di un piccolo cult intitolato “Kiss Kiss Bang Bang” (con Robert Downey Jr.), ovviamente da lui rigorosamente ideato.
Il nome del personaggio misterioso è Shane Black, per molti sconosciuto ma per altri una garanzia.
Il processo apportato da lui in Iron Man in realtà è talmente elementare che a vederlo al traguardo suona quasi come prevedibile e geniale allo stesso tempo. Il padre di “Arma Letale” fa di Robert Downey Jr. e Don Cheadle gli eredi perfetti di Mel Gibson e Danny Glover, punta all'action e incarna il buddy movie attraverso un finale emozionante, stratosferico e micidiale. Ma non è tutto. Black è consapevole che il punto di forza del suo titolo non è affatto l’armatura da cui prende il nome ma bensì l’uomo difficile che la indossa, e così scrive un plot in cui ad emergere totalmente è la figura di Tony Stark disarmata, costretta a rinunciare al rivestimento e a scavare a fondo tra le sue ferite per curare una volta per tutte i demoni che lo abitano, riconoscendo i valori di quegli affetti troppo spesso appannati dal suo spropositato egocentrismo e perdendo la sensazione d’invulnerabilità grazie alla leva di un’antagonista sottile e dalla piega sconcertante (Il Mandarino di Ben Kingsley).
La sceneggiatura assume il ruolo di colonna portante a questo punto e Shane Black ci infila dentro il meglio della sua esperienza di regista e sceneggiatore: intrecci, colpi di scena (uno sensazionale), azione, umorismo, sentimenti. “Iron Man 3” si veste inesorabilmente da blockbuster impeccabile, dove ogni piccolo passo è assolutamente indispensabile per arrivare all'obiettivo finale e dove ogni personaggio è scritto ed inserito per un motivo distinto e mai per andare ad ornamentare la storia.
Non ci vuole molto a bollarlo insomma come miglior film Marvel di sempre: confezione e sostanza diretti da un maestro talentuoso che sicuramente in questo momento starà mandando il papino di “The Avengers”, Joss Whedon, in crisi esistenziale. Perché ora la patata bollente passa nelle sue mani: come farà a muovere Tony Stark nel campo in costruzione di “The Avengers 2” e, soprattutto, come farà a superare la grandezza e l’imponenza di un giocattolo così completo e spassoso come “Iron Man 3”?
Sinceramente siamo molto curiosi di conoscere la risposta ma purtroppo per averla dovremo aspettare fino al 2015.
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