Is the man who is tall happy?
Creato il 14 luglio 2014 da Veripaccheri
Is the Man Who Is Tall Happy?
di Michel Gondry
con Noam Chomsky, Michel Gondry
Francia, 2013
genere, documentario, animazione
Ci sarebbero molti modi per iniziare a parlare del nuovo film di Michel
Gondry, tanti quanti sono i rivoli di un tessuto visivo che nelle opere
del regista francese arricchisce di spunti, trovate e microstorie la
descrizione del soggetto principale. Gondry, infatti, è uno di quegli
autori che si fatica a incasellare in uno spazio artistico definito.
Formidabile inventore di immagini che sfuggono alla normalità attraverso
la contaminazione di forme e di stili (dalla video-arte al videoclip, dall'animazione alla pittura), il nostro autore è riuscito con una manciata di film, anche non completamente riusciti ("Mood Indigo - La schiuma dei giorni"),
a guadagnarsi la fama di demiurgo cinematografico in grado di competere
per fantasia e suggestioni con quella di un collega talentuoso e
altrettanto alla moda come Wes Anderson. Per non smentire la sua fama,
Gondry si ripresenta sulla scena con un lavoro che in un certo senso
esula da quello a cui ci ha abituato e nello stesso tempo ci rientra
pienamente. Cercheremo d'essere più chiari, non prima di aver premesso
che "Is the Man Who Is Tall Happy?" è il resoconto di una serie di
incontri con Noam Chomsky, linguista di fama universale, ma anche
personaggio che sfugge a qualsiasi tentativo di normalizzazione, se è
vero che pur in presenza di riconoscimenti e tributi da parte dell'establishment,
Chomsky si è distinto per una militanza radicale e antimperialista
rivolta non solo contro la politica estera degli Stati Uniti ma anche di
quella di Israele, terra promessa di cui è impossibile condividere le
scelte.
È infatti la personalità dell'interlocutore, insieme al
tema dell'intervista, tanto specifico quanto astratto per chiunque non
sia un addetto ai lavori e abbia voglia di saperne di più sulle origini
del linguaggio e sull'influenza che esso produce nella percezione della
realtà, ad accendere la spia su un soggetto che, fin da subito, denuncia
una singolarità affine alla poetica dell'autore francese. Senza
rinunciare alla finalità di quell'incontro, con il consueto schema di
domande e risposte che, salvo qualche eccezione - quella che accenna al
legame con l'adorata moglie, da poco scomparsa, lo è di sicuro - si
mantengono sempre in linea con le premesse del documentario, Gondry si
comporta da par suo, rappresentando quell'intervista attraverso disegni
animati, che egli stesso si prende la briga di realizzare. Un lavoro
"pazzo e disperatissimo", come egli stesso afferma, che Gondry compie in
concomitanza con la fase di pre-produzione di "Mood Indigo" (è forse
questa la ragione della sua parziale riuscita?), e che, però, gli
consente di illustrare come meglio non si potrebbe l'ineffabilità
dell'argomento in questione e i molti paradossi di cui Chomsky si serve
per cercare di rendere comprensibili le proprie affermazioni.
Collocati
su uno sfondo nero e grezzo, immersi nel rumore della telecamera demodé
utilizzata dal regista e dominati da un segno stilistico che sembra
pensato da una "spotless mind", i disegni di Gondry sembrano rifarsi a
un cinema che riesce a coniugare le possibilità della moderne tecniche
alla purezza del cinema muto. Una fantasmagoria di linee che si
reinventano continuamente per dare vita a una gemmazione di storie
pronte a spiccare il volo sulle ali di un'immaginazione febbrile e
instancabile. Ma a dispetto di altri lavori dove il lato più artistico
del regista sembrava prendere il sopravvento sulla centralità dei
contenuti, quanto vediamo sullo schermo si sposa perfettamente con
l'inafferrabilità delle parole, di cui l'animazione ci permette se non
di afferrarne i significati, almeno di sfiorarne il senso.
Se
Gondry, d'accordo con Chomsky, è convinto della parzialità dell'opera
cinematografica che, anche nelle versioni più genuine, è il frutto della
manipolazione operata dal regista sul materiale filmato, allora
l'animazione diventa - come afferma il regista nella sequenza iniziale -
un atto di onestà nei confronti dello spettatore, avvertito fin da
subito del carattere unilaterale dei contenuti mostrati. Speculazioni
che poco incidono sul valore di un'opera tra le più personali fra quelle
realizzate dall'autore francese e che, in prospettiva, potrebbe fornire
nuovi strumenti per un'eventuale esegesi della sua filmografia.
(pubblicato su ondacinema.it)
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