Ma è solo dalla metà del secolo scorso che gli storici riconoscono anche alla tradizione di studi di magia, ermetismo e alchimia un ruolo importante nei primi sviluppi della scienza seicentesca. Per tutto l’Ottocento e la prima metà del Novecento l’idea dominante era che la nascita della scienza fosse direttamente correlata al declino di quegli studi. Si tendeva così a concentrare l’attenzione sugli aspetti moderni del pensiero scientifico nascente, marginalizzando tutto quello che pareva essere in contraddizione con questa modernità, con il risultato di produrre un’immagine parziale di quel momento cruciale per la cultura europea.
Mattheus van Helmont, L'Alchimista, XVII secolo /td>
Un esempio notevole è quello di Isaac Newton che nella cultura diffusa è ancora oggi dipinto come un campione di razionalismo, artefice della matematizzazione dei fenomeni fisici. Gli studi storici che sono iniziati dopo la seconda guerra mondiale ci restituiscono un’immagine diversa di questo gigante della scienza. Intorno al 1670, avvicinandosi all’età matura, Newton si immerse intensamente in studi alchemici tanto da considerare una perdita di tempo occuparsi d’altro. Si costruì anche un laboratorio con una fornace incessantemente accesa, dove fece esperimenti di trasmutazione dei metalli e almeno un decimo della sua vasta biblioteca conteneva libri di alchimia.Adriaen van Ostad, L'Alchimista, 1661
Abituati ad un’immagine di Newton come innovatore, impegnato nella costruzione di un nuovo approccio allo studio della realtà, facciamo fatica a pensarlo cultore di ermetismo e di alchimia. Ma questo non dovrebbe stupirci più di tanto. L’autore dei Principia fu uomo del suo tempo e visse in una società permeata dalla cultura rinascimentale e dal mito della superiorità culturale degli “Antichi”. Era un’idea accettata da molti quella per la quale i testi frammentari che si andavano via via traducendo dal greco, dal latino e dall’arabo, fossero la testimonianza di una cultura superiore, andata incontro ad un periodo di decadenza e corruzione; e molti intellettuali si diedero il compito di approfondire e ripristinare le conoscenze degli antichi studiosi. Newton pensava questo del proprio lavoro al punto da ritenere di aver riscoperto le antiche conoscenze di ottica e meccanica celeste possedute dagli antichi saggi. Ma era anche legato all’ambiente culturale che si respirava a Cambridge, dove ricopriva la carica di Professore Lucasiano al Trinity College. Lì erano attivi pensatori come Henry Moore e Isaac Barrow preoccupati delle conseguenze teologiche della scienza cartesiana contraria all’idea di un intervento della Provvidenza divina o, addirittura, all’esistenza stessa di Dio. Queste motivazioni di ordine teologico furono affiancate in Newton dalla convinzione che il mondo non potesse essere spiegato solo in termini di collisioni e arrangiamento di particelle, come voleva la “filosofia dei moderni” che seguiva il canone del cartesianesimo. La sua concezione della struttura della materia era ricca di problemi irrisolti e di domande senza risposta. Quali processi erano coinvolti nella generazione di una pianta? Quali nella putrefazione di un organismo prima animato? Che cosa induceva un ordine e un finalismo negli esseri viventi?
In questo quadro va letta la ricerca incessante di Newton di risposte che la sua scienza non poteva dare e il rivolgersi agli studi alchemici, che non si limitarono a proseguire lungo le vie già tracciate nel passato ma puntarono, attraverso precisi programmi di ricerca, a ricostruire in forme controllabili i risultati di quegli antichi studi. E da questo quadro scaturisce l’immagine di un uomo profondamente cosciente degli ostacoli ancora da superare, dei limiti del proprio lavoro e della debolezza del suo edificio intellettuale. Trattandosi di Isaac Newton, ciò non può che destare infinita ammirazione.
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Archeologia & Cultura
Cronache Laiche
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