Io vi avviso: in questo post salta tutto. Amico e nemico, Bene e Male, ridicolo e appropriato, Arte e ciofeca sono coppie di antonimi che quest’oggi si sono svuotate di ogni elemento concettuale per restare meri significanti, gruppi isolati di lettere assemblate secondo le regole della nostra fonetica, semplicemente parole vuote. Oggi la sostanza della nostra lingua ci sfugge tra le mani e ci ritroviamo catapultati nel regno dell’ineffabile. Trovare il modo per descrivere quanto ho da poco scoperto, a queste condizioni, è quasi una sfida impossibile. Ma tacere non è un’opzione.
Infatti vi voglio parlare di Isabella Santacroce, una delle tante inutili presenze del variegato panorama letterario (lo definiscono ancora così) italiano di cui i naviganti più fortunati saranno senz’altro all’oscuro. Mi sto interrogando sull’aggettivo che le ho affibbiato, "inutile", e ancora non mi pare sufficiente ad abbracciare il vuoto siderale che pervade la sua opera, il personaggio che si è costruita, i suoi fan. Ma non c’è modo di rimediare. Il fatto è che l’italiano non ha un aggettivo per Isabella Santacroce e credo anche di sapere perché: è la giusta vendetta contro l’inusitata e la gratuita violenza che ha dovuto sperimentare nelle pagine dei suoi romanzi. Mai e poi mai, infatti, la lingua di Dante è uscita tanto malconcia da un romanzo come dal suo "Luminal" – nemmeno dall’arrancante sintassi sfoggiata da Melissa P. quale brillante esempio di alta letteratura, nemmeno dai dimessi e modesti pensierini di Fabio Volo, nemmeno dalla prosa ingenua di Federico Moccia, ma neanche, scendendo sempre di più, dalle barzellette di Totti. No, Isabella Santacroce distanzia anzi doppia l’intera produzione di questo sfavillante bestiario, di questo consesso di menti di scarsa inventiva e sviluppatissimo olfatto commerciale, per ben due motivi. Il primo dev’essere senz’altro la sua supponenza, quell’arroganza un po’ patetica tipica di chi è talmente occupato a pensar bene di se stesso da non accorgersi del coro fragoroso di risate alle sua spalle (toccate con mano, prego). Isabella Santacroce, questo sia chiaro, crede di essere un genio. E perché lo crede? Perché, per arrivare al secondo motivo, si figura di aver introdotto forme espressive mai sperimentate prima, tanto da capeggiare un fantomatico movimento letterario chiamato nevroromanticismo. È convinta di aver decostruito la lingua, di averla rimontata a modo suo – e magia: non è più il nostro italiano, è il suo e il suo soltanto. In questa buffa pretesa di unicità, a onor del vero, è supportata da quella stolida miscela di dabbenaggine e prosopopea che risponde al nome Alessandro Baricco, il quale ebbe a dire: "[Isabella Santacroce] scrive musica, carambola timbri, stacca ritmi incrociati e asimmetrìci, organizza caos, guarda strabico, stampa dissonanze. Se lo lasci suonare, quel libro, quel che senti è musica, vera e non qualunque" – tutto questo per non ammettere invece che non ci aveva capito niente (o per non parlare, come onestà intellettuale avrebbe voluto, di lezione futurista del tutto travisata). E come avrebbe potuto capirci qualcosa, del resto? Senza la bussola della sintassi, in pressoché totale assenza di punteggiatura e senza nemmeno l’illusione di poter rinvenire il filo conduttore della trama, al lettore ammutolito di fronte a quel cumulo di parole rovesciate sulla pagina non rimangono che due possibilità: nicchiare e gridare al capolavoro oppure dare fuoco al romanzo. Proprio il primo esito ha portato alla formazione di un’enclave piuttosto tenace di adoratori, un po’ emo un po’ goth-pop un po’ alternativi vorrei-ma-non-posso, che si ostinano a difendere strenuamente qualunque prodotto dell’invidiabile ingegno di questa "vergine pornodiva dell’analfabeto" (l’unica ridondante autodefinizione che mi sento di sposare, insieme alla contigua "dislessica professionista del nulla") gridando, davvero molto a sproposito, di quell’Arte e quel Genio che evidentemente non hanno mai conosciuto né incrociato, neppure per caso o contro il loro volere, in un romanzo (né altrove). Siamo al giro di boa. Convinta com’è nell’incrollabile supporto dei suoi lettori (7.141, mi informa Facebook), Nostra Signora del Nulla tira fuori dal cilindro nientemeno che un’autobiografia, dilatando nel tempo la distribuzione di misteriosi indizi e seminando attesa e giubilo nel suo popolo. Poi, d’un tratto, un rovescio d’acqua gelata sui 7.141 capini fiduciosi e inconsapevoli. Sulle prime faticano ad afferrare, non ci vogliono credere: Isabella non può fare questo a chi tanto si è adoperato per lei, elevandola dall’oscurità e dall’anonimato per trasformarla in una specie di simulacro vuoto di queste tenebre così trendy, riversandosi con devozione in libreria all’apparire di ogni nuovo ammasso di parole a caso, adottando il suo frasario sghembo e riverberandolo in ogni angolo del web. Isabella non può rispondere a tanto amore con un tale malgarbo e un così evidente sprezzo dell’affettuosa gratitudine che ogni miracolato dell’arte dovrebbe all’insipienza e alla mancanza di mezzi critici altrui. E invece, poveri loro, Isabella può tutto questo e lo ha fatto: Isabella Santacroce ha stampato la sua autobiografia in dieci copie e ora intende metterle all’asta su Facebook (prezzo base 200 euro). Vi darò un momento per riprendervi dalle risate convulse che immagino vi stiano scuotendo illustrandovi l’elegante packaging dell’ennesimo crollo verticale del genere autobiografico (fonte).Allo stesso modo per cui non abbiamo in casa un’opera d’arte come un quadro di Raffaello. "Io non so chi sono" è un’opera biografica davvero sentita e divinamente scritta, inoltre come tutti sappiamo, negli anni non è mai trapelato nulla della vita personale di Isabella, il che renderà la lettura oltremodo intrigante anche al di là del suo valore prettamente artistico…Numero due:
Tutti i fan hanno la possibilità di accalappiarsi una copia, ma solo dieci ci riusciranno. Per soldi? Forse. Ma ancor più spesso per pure volontà d’animo nel possedere un’opera che, anche solo intimamente, è importante per la persona in questione. Spesso chi dice "costa troppo", poi parte in vacanza spendendo dieci volte di più. Da qui la domanda: Ti interessava davvero l’opera? Risposta: No. Non hai saputo dare valore alle opere d’arte e per te un libro vale meno di andarsi a sballare una sera per lo stesso prezzo.Io spero che ora la mia rivendicazione iniziale sia chiara. Di fronte a questo, e di fronte all’ultima offerta della prima asta (630 euro), il buonsenso non può che tacere. Ci vorrebbe non un post, ma un blog intero per commentare il paragone tra l’autobiografia di una scrittorucola da strapazzo e l’opera di Raffaello. Dieci blog per dar voce ai sentimenti di indignazione, schifo e avvilimento suscitati dai conti della serva che la sua amministratrice-satellite non si perita di esporre rispondendo a una studentessa fuorisede che di certo conosce il valore del denaro meglio di Isabella Santacroce. Cento blog per smontare pezzo per pezzo questa assurda idea di mecenatismo distorto, questo concetto plutocratico di fruibilità dell’opera d’arte (l’avrai non se sei in grado di apprezzarla ma solo e solo se te la puoi permettere). Mille blog per denunciare l’arroganza di questo ennesimo mistero della lettura, questa scrittrice così priva di talento ma così piena di sé da avere l’ardire di definire i suoi scarabocchi Arte – e di trattarli come tali. Non lo so, lettori, oggi il nemico sceglietelo voi. Isabella Santacroce, Anita Blake, chi sta partecipando all’asta o la vostra affezionatissima che ha impiegato ore e ore per raccontarvi questa storia?
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