Isadora Duncan: Danza e Passione

Creato il 09 luglio 2014 da Dietrolequinte @DlqMagazine

«Apro gli occhi, mi giro su un fianco, scosto la tenda e vedo Nizza che si muove. Il campanile della cattedrale suona otto volte, e la città danza». Così inizia Isadora Duncan (David and Matthaus), libro di Sara Cerri incentrato sulla figura della celebre danzatrice americana. In poche righe siamo immeditamente trascinati nel vortice di passione che è stata la vita di Isadora, o meglio Dora Angela Duncan, la donna che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, negli anni vibranti della Belle Époque, rivoluzionò l’arte del balletto classico gettando le basi della danza moderna. La Duncan fu la prima a ribellarsi alle rigide regole della danza classica sia a livello formale, niente tutù e niente scarpette da punta, sia a livello più profondo, abbandonando stili e stilemi e lasciando che questa ed i suoi gesti sgorgassero da dentro. Isadora, o Isadorable come la chiamavano i suoi amici più cari, danzava ispirandosi alla natura (e non per nulla Cerri narra la nascita dello stile Duncan come frutto dell’incontro tra Isadora, qui novella Venere botticelliana, e l’oceano), portata dal vento, illuminata dal sole, mossa dai moti del cuore ed avvolta in tuniche morbide e leggere, quasi una vestale greca, ed a piedi scalzi. Ebbene sì, a fine Ottocento, quando il massimo della “pruderie” era poter vedere la caviglia di una signora, la Duncan, in preda ad un‘estasi quasi dionisiaca, si mostrava a cuor leggero avvolta in pepli che ne accarezzavano le forme, qualche volta mostrandole, e senza calzari. Poteva essere scandalo ed oblio ed invece fu scandalo e successo, meraviglia e passione, molta, forse troppa. Per vent’anni Isadora danzò sui palcoscenici del mondo, soprattutto del vecchio continente, lei americana di San Francisco, lei orfana di padre e cresciuta tra gli stenti, lei ribelle e passionaria come poche altre, e li infiammò. Osannata dalla critica, adorata dagli intellettuali (Francis Picabia e Jean Cocteau sono più volte citati nel romanzo come amici fidati e sostegni preziosi), amata da milionari pronti a dilapidare intere fortune per lei (per diversi anni fu la compagna di Paris Singer, rampollo della dinastia a cui dobbiamo le famose macchine da cucire), lusingata da principi e leader politici, Isadora attraversò quarant’anni di storia guidata da un solo desiderio: danzare e far danzare.

Sara Cerri racconta nelle sue centocinquanta pagine la cavalcata quasi senza fiato della danzatrice. Niente la fermò: non l’amore, né la famiglia e neppure le difficoltà o i dolori. Amante del coreografo Gordon Craig si legò a lui per qualche tempo, diede alla luce una figlia, ma rifiutò sdegnosamente qualsiasi legame o qualsiasi idea di abbandonare la sua arte per relegarsi al ruolo di madre e moglie. E dopo una breve pausa riprese la sua avventura e si trasformò, buona antesignana, in una giovane mamma single che deve rientrare nel mondo del lavoro e ricostruire le fila del suo impegno professionale ed umano, per di più in un ambiente, quello della danza, in cui l’immagine stereotipo è quella della giovinetta acerba e non della donna con prole. Isadora ce la fece, riprese il suo lavoro, riprese a sognare la sua scuola, si occupò anche della piccola Deirdre e seppellì il suo sogno d’amore con Craig perché «l’amore che dà il tormento non è amore». Per magia, fortemente invocato, arrivò anche un principe a salvarla sotto le spoglie di un industriale pronto a legare il suo destino a quello della danzatrice e a regalarle il sogno di una scuola e di un figlio. Isadora chiamava Paris Singer il suo Lohengrin, il salvatore. Ma Lohengrin non poté risolvere l’enigma Isadora Duncan o fermarlo. Niente arrestò mai Isadora e la sua arte, neppure il dramma della morte dei due figli, ancora piccoli, e neppure la perdita di un terzo bambino, tanto desiderato, ma nato morto. E nel sottofondo di queste vicende, quasi ad annunciare l’ultima tragedia, Cerri fa comparire una fugace macchia rossa che subito svanisce. Nacque la scuola di danza di Isadora a Bellevue ed il sogno divenne quasi perfetto, concreto, ma la guerra travolse tutto e tutti. Isadora tornò negli Stati Uniti per una tournée dagli esiti altalenanti e poi fu di nuovo nell’Europa che usciva dal conflitto: lei stessa povera, malata, ridotta allo sfinimento. Ed ecco aprirsi una nuova strada, un nuovo capitolo, una nuova patria: la Russia dei bolscevichi.

È il 1921, Anatoli Lunacharskij, commissario del popolo per l’educazione, la invitò a Mosca per fondare lì la sua nuova scuola: arte ribelle e rivoluzionaria in uno stato nuovo e rivoluzionario, pare perfetto. A Mosca conobbe l’unico uomo che abbia sposato, Sergej Esenin: lo sposò più per proteggerlo da se stesso e dagli altri che per suggellare una grande storia d’amore. Seguirono anni di entusiasmo, di sacrificio, di scontro con la realtà sovietica e di amore folle e battagliero: sia Sergej che Isadora erano volubili e schiavi dei loro demoni interni, ma Sergej era anche molto fragile e preda di pensieri di autodistruzione, «un bambino con un animo di poeta» lo definì lei, una combinazione pericolosa. Si recarono in America e furono fuoco e fiamme: molti decenni prima di divi come Johnny Depp e Kate Moss, Isadora e Sergej distrussero camere d’albergo e rilasciarono dichiarazioni oscene e scioccanti, che accesero gli animi di molti. Il dolore era però troppo, la danza non ne traeva giovamento e Isadora ripartì da lì; da sé e dalla sua arte. Tre anni più tardi Sergej si uccise. Lei pianse “tutte le sue lacrime”, ma andò avanti comunque e sempre. Sara Cerri ce la racconta da questo momento: Isadora vive a Nizza, nell’indigenza, ombra della donna di un tempo, più vecchia, più povera ma mai doma. Il mondo non si ricorda più di lei, non con lo stesso clamore e la stessa passione di un tempo, ma Isadora ha i suoi amici a sostenerla ed i suoi amori ed ecco, infatti, l’ultimo farsi strada sui sinuosi tornanti della Costa Azzurra, ecco quella macchia rossa che è una splendente Bugatti guidata da Benoît Falchetto. E qui Cerri, dopo un lungo ed emozionante viaggio sul filo della memoria, interrompe la sua narrazione, purtroppo. Qui, esplorate le ragioni di questa meravigliosa esistenza, costantemente filtrata attraverso le emozioni della sua protagonista, decide di non voler procedere oltre, di non voler mettere nero su bianco la conclusione dell’avventura terrena di un’eroina che, si sente, ha molto amato.

Invece, la Storia, più crudele, ci racconta che Isadora salì sulla roboante Bugatti e urlò alla sua amica Desti «Je vais à l’amour», un viaggio questa volta senza ritorno. Isadora morì il 14 settembre 1927 a Nizza soffocata dalla lunga sciarpa che indossava le cui frange restarono impigliate nelle ruote di una lussuosa automobile di colore rosso. «Certe affettazioni possono essere pericolose», disse freddamente l’amica Gertrude Stein, quando le venne comunicata la notizia. Eppure certe “affettazioni” sono proprio quelle che regalano forma e sostanza alla vita, che la rendono degna di finire poi in un romanzo o in un film.


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