Una delle prime cose di cui ci si rende immediatamente conto quando si mette piede in Islanda è che la natura domina il corso naturale delle cose e le vite degli uomini. In ogni momento. Non solo quando uno dei suoi vulcani, come in questi giorni l'Eyjafjallajokull, si mette a sputare nubi di polvere silicia che trasportate dal vento se ne vanno in giro nei cieli di mezza Europa facendo precipitare nel panico il traffico aereo di mezzo mondo.
L'Islanda è una terra affascinante di ghiaccio e fuoco, deserti di sabbia vulcanica e oceano che lambisce le coste, di fiordi e piccoli villaggi di pescatori, geyser e fonti d'acqua a 100 gradi che esce naturalmente dalle rocce, cascate e parchi naturali, fattorie dai tetti di fieno e leggende di gnomi ed elfi. La Ring Road è l'arteria stradale più importante e segue il periplo dell'isola. Lungo questa strada i piccoli rifugi rossi attrezzati con coperte, fornellini e beni di prima necessità per gli automobilisti sorpresi dalle bufere danno la misura di quanto l'uomo e i suoi ammennicoli tecnologici siano nulla quando le forze primordiali si scatenano.
Altro esempio lo restituisce il ghiacciaio Vatnajokull incastonato come un diamante nel parco nazionale Skafatell. Nel centro documentazione del parco va a rullo continuo un filmato di quando nel 1996 un'eruzione del vulcano subglaciale Grimsvotn, provocò uno scioglimento di parte del ghiacciaio e gli enormi iceberg staccatisi spazzarono via alcuni dei ponti stradali mai più ricostruiti.
L'Islanda è una terra della quale non ci si può non innamorare... anche chi come me, nata all'ombra dell'Etna, ha una familiarità naturale con i vulcani ne subisce il fascino prepotente. Che fa accettare anche le aringhe affumicate servite a colazione insieme con il latte e il fatto che tentino di far passare come una leccornia i cubetti di arkal, carne di squalo lasciata imputridire tre mesi sotto la sabbia il cui solo odore è capace di mettere un uomo ko per l'intera giornata.