Il meeting point è a Cho Chu Chan dove abitano R. e N., ci arriviamo in taxi.
R. guiderà il van che abbiamo noleggiato e che ci porterà a Mersig, il porto Malese dal quale prenderemo la speedy boat per Rawa. Io e P. ci siamo già stati, questa volta vogliamo portarci G. e S. che non l’hanno mai vista.
L’isola di Rawa si trova nella regione di Johore e il mare che la circonda è quello del Sud della Cina.
Dopo i saluti di rito, mezzi addormentati, prendiamo posto. In mezz’ora, minuto più minuto meno, arriviamo alla frontiera con la Malesia.
Passiamo senza problemi la dogana, abbiamo facce rassicuranti e sorrisi forzati.
Il confine è un taglio netto tra due mondi vicini ma completamenti diversi tra loro. Ce ne aggorgiamo subito perchè il paesaggio cambia drasticamente dopo poche centinaia di metri.
Attraversiamo la città di Jhobahru e imbocchiamo la North-South Expressway. Questa specie di superstrada a due corsie corre in mezzo alla jungla, non posso fare a meno di augurarmi che non succeda nulla all’auto poichè siamo in mezzo al nulla ed è buio pesto.
Verso le 7 comincia a schiarire così abbiamo modo di osservare meglio la natura selvaggia che ci circonda e rimaniamo colpiti sopratutto dall’abbondanza di palmeti a perdita d’occhio.
Alle 8 raggiungiamo Mersig, siamo in anticipo, per cui, ci concediamo di sorseggiare un buon caffè dal termos appoggiati al van con l’aria salmastra che ci solletica il viso e ci corrobora.
Mezz’ora dopo ci fanno imbarcare e temerariamente affrontiamo la traversata diretti all’isola. La barca va veloce e sobbalza per trenta lunghissimi minuti.
Prima ancora di attraccare al pontile di legno, rimaniamo abbagliati dalla purezza dell’acqua cristallina e dal bianco della sabbia finissima.
L’isola è piccolissima, ci sono pochi chalet, qualche palafitta sul mare, un solo ristorante a buffet e un capanno dove affittano: maschere, pinne per fare snorkeling e canoe.
Rawa non è publicizzata da operatori turistici, la si conosce solo attraverso il passa parola ed è l’ideale per riposarsi e rinfrancarsi nello spirito.
Lo chalet che ci hanno assegnato è sul mare, il grande letto è appoggiato alla porta finestra e da sdraiati si vede il mare e si sentono le onde che si infrangono sulla riva. Io con il mare ci parlo e lui mi risponde. Mi piace fare delle lunghe, intense chiacchierate con lui, ci intendiamo bene noi due, sin da piccola mi ha sempre confortato e rallegrato. Rino mi prende un pò in giro per questo, ma io lo lascio dire.
Tutti gli chalet si mimetizzano bene con la natura circostante, sono interamente in legno, ma all’interno non mancano di confort: c’è un ventilatore a soffitto, l’aria condizionata, un bagno ampio con doccia. Niente televisione, i televisori a Rawa non esistono!
Indossiamo i costumi da bagno e scesi 4 gradini siamo in spiaggia. Per i prossimi tre giorni questa sarà la nostra breve vacanza. Sull’isola non c’è altro, si può solo godere, e vi garantisco che non è poco: della vista della barriera corallina, dei pesci dai mille colori che ti danzano intorno, dell’acqua tiepida e limpida che accarezza la pelle, del sole che scalda il cuore, della compagnia delle persone con le quali scambiare le proprie sensazioni, ma anche dei lunghi silenzi interrotti solo dal verso degli uccelli che popolano l’isola.
La sera ci riuniamo a tavola. Il ristorante è all’aperto, c’è solo una tettoia che lo protegge dalla pioggia e dal sole. E’ situato davanti al mare e serve molte varietà di cibo a buffet compreso bbq di carne e pesce.
Con la vista che offre ci si potrebbe anche dimenticare di mangiare. Ho detto “potrebbe”! Il cibo è talmente gustoso e i commensali buone forchette, per cui non può accadere di sicuro.
La passeggiata serale lungo il molo, che si spinge in mare per una cinquantina di metri, è molto romantica. I lampioncini e il chiarore lunare ci illuminano con discrezione e le stelle viste da qui sembrano più vicine alla terra. Ho l’impressione che se allungo una mano le posso toccare.
Dalla fine del molo, guardando verso la riva, con un solo sguardo si può abbracciare tutta l’isola che si riflette, con la luna e le stelle, nelle acque increspate del mare argentato.
Poche flebili luci segnano i sentieri e le finestre degli chalet sembrano occhi di animali selvatici acquattati nella jungla in attesa della preda predestinata.
Non occorrono parole, il silenzio dice tutto.
Lunedì arriva in un attimo, rifacciamo il tragitto al contrario, ognuno di noi immerso nei propri pensieri. Stiamo rimpiangendo il “paradiso” lasciato alle spalle.
Non è tardi, per cui decidiamo di fermarci per uno spuntino a Johbahru e di curiosare questa città Malese che si trova poco distante dal confine con Singapore.
Nessuno di noi ha problemi con la cucina Malese, G. e S.chiedono solo che non sia troppo spicy.
La cucina Malese condivide ingredienti e ricette con la confinante Indonesia e fa uso di diverse tecniche culinarie Thailandesi. Comprende sia pietanza musulmane tradizionali sia la cucina Peranakan (i peranakan sono uomini cinesi sposati con donne malesi). Entrambi gli stili gastronomici rispettano le regole della cucina halal (senza carne di maiale).
Quello che ci appare subito evidente sono gli edifici e le abitazioni fatiscenti, le strade sono un labirinto in cui si rischia di perdersi.
Infatti abbiamo cercato invano il Tempio di Vetro Indu che tenevano a visitare.
Dopo un’ora di “gira di qui, gira di là, torna indietro, vai avanti” di suggerimenti dati dal navigatore e da alcuni passanti a cui Nur ha chiesto indicazioni in malese, abbiamo rinunciato a malincuore. Questo la dice lunga sull’urbanistica della città.
E’ l’imbrunire quando arriviamo a Singapore.
Non sono ancora scesa dall’auto che già progetto, con la fantasia, di tornare a Rawa o meglio di visitare qualche altra isola della Malesia, Tioman magari…
In fondo…. non abbiamo ancora incontrato Sandokan….. i pirati……. perciò….
[ Racconto di viaggio di Lella G. F. ]