Il giorno seguente passò lentamente. A metà pomeriggio cucinai una torta con i pochi ingredienti rimasti; l’indomani sarei scesa per la spesa. J fiutava l’aria e mi guardava incuriosito, gli sorrisi e gli allungai una ditata d’impasto. Finita la torta, lessi per qualche ora e poi, lentamente com’era iniziata, la giornata finì. Chiusi gli occhi pensando al futuro.
Mi ero dimenticata di chiudere le persiane: un raggio di sole mi colpì in pieno volto e mi svegliò. Cercai di riaddormentarmi, ma non vi riuscì e così decisi di alzarmi.Feci colazione con la torta che avevo cucinato il giorno prima, diedi da mangiare a J e sbrigai qualche altra faccenda. Verso le undici ero pronta per scendere in paese. Salutai affettuosamente il mio compagno e mi assicurai che non mi seguisse.Il supermercato era pieno di gente. Qualcuno mi guardò come se fossi venuta da un altro pianeta, qualcuno evitò proprio di incrociare il mio sguardo, pochi altri mi salutarono cordialmente. Riempii il carrello con tutto il necessario e mi diressi alla cassa.“Tesoro!”Carla. Gli altri clienti si girarono a guardarla con aria interrogativa. Credo che nessuno avesse all’epoca ancora capito che si, Carla e Finni erano mie amiche! E incredibile, non le avevo mai minacciate di morte! La salutai e le chiesi come stava. Mi rispose che sarebbe venuta sua sorella a pranzo e che dunque aveva ancora un bel po’ da fare. Le dissi di tornare pure alle sue commissioni e ci salutammo.Uscii dal supermercato e mi venne voglia di Pirandello.Salutai il proprietario della piccola libreria e gli chiesi se aveva l’Enrico IV. Mi rispose che forse ne era rimasta una copia in magazzino, doveva controllare. L’uomo scomparve così dietro una tenda, in quello che si poteva definire più uno sgabuzzino che un magazzino, e tornò con una copia del libro, impolverata e risalente come minimo al dopoguerra. La presi.Appena uscii dal negozio decisi di fare un salto da Annetta: dopo la storia che mi aveva raccontato Carla, la mia immaginazione aveva preso a girare e volevo vederla per cercare di capire se potesse avere avuto una storia d’amore con il forestiero. Entrai nella sua piccola bottega e per giustificare il mio ingresso le chiesi un parere riguardo a dei pantaloni che avrei dovuto stringere e che in realtà non possedevo. Mi disse che senza poterli vedere non mi sarebbe stata molto d’aiuto e mi consigliò così di tornare con essi. Mentre mi parlava, la guardai attentamente: sotto un classico vestito da donna di campagna, si nascondeva un corpo esile e ingobbito da una vita trascorsa china sui fili; gli occhi azzurri le illuminavano il volto e i capelli raccolti in uno chignon, lo incorniciavano. In passato doveva essere stata sicuramente una donna bellissima. La ringraziai e le dissi che allora magari la settimana seguente le avrei portato i pantaloni. La salutai e uscii. Camminando fino alla macchina mi ritrovai a pensare che potesse essere stata davvero lei la famosa, e presunta, fortunata.
J e io trascorremmo il resto della settimana come meglio sapevamo fare, ossia non badando troppo alle giornate e al tempo che lentamente passava.Un pomeriggio mi sdraiai sull’erba con lui e, osservando gli alberi e la collina, mi venne voglia di dipingere. Andai a prendere le tempere e ritrassi il paesaggio. Non ero mai stata molto portata, ma era un’attività che mi rilassava e che aveva la capacità di mandare in stand by i miei pensieri, sempre troppo invadenti. J dormiva accanto a me e io respiravo l’aria della mia vita, una vita che mi ero ritrovata a dover vivere, mentre quella cicatrice continuava a bruciare. Mi capitava, sebbene assai raramente, di ripensare all’operazione, o meglio, al prima e al dopo: gli unici momenti che ricordavo. I medici erano riusciti quasi in un miracolo: avevano salvato una gamba che sarebbe stata da amputare talmente bene che, a parte qualche dolore legato al cambiare del tempo, non ne avevo mai avvertiti molti altri.Il ricordo peggiore della mia permanenza in ospedale furono i “se” e i “come sarebbe potuto essere”: rischiarono di uccidermi. Quando venni dimessa nessuno venne a prendermi. Ero rimasta completamente sola.Fu dopo poco meno di un anno che mi trasferii qui, sebbene non fossi sicura che potesse essere la scelta più giusta. Fin da subito, mi adattai a vivere di poco e a non avere amici all’infuori di J, Carla e Finni, se amici si possono definire. Avevo il minimo indispensabile per sopravvivere, dal momento che tutto ciò di cui avevo realmente bisogno non esisteva più. Nonostante avessi moltissimi soldi da parte, non li usavo: la voglia di vivere i miei sogni era svanita. Un tempo risiedevano in me speranze, desideri, idee e progetti, ma mi ero ritrovata, per inerzia, ad accettare ciò che (non) avevo e ad accantonare tutto ciò che mi rendeva davvero viva. Lottavo ogni istante con i fantasmi di ieri e spesso mi chiedevo dove tutto ciò mi avrebbe portata e se mai mi sarei imbattuta in un altro orizzonte, in un’alba diversa dalle aurore che accendevano debolmente le mie giornate vuote.
[Continua...]
B.
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