Israele contro Iran: il rischio di non fare “strike”

Creato il 28 febbraio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

La pubblicazione dell’ultimo rapporto dell’Aiea (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) relativo al programma nucleare iraniano ha ulteriormente alimentato le tensioni tra Israele e l’Iran. Sono aumentati i rischi di un possibile attacco preventivo da parte di Israele ai luoghi in cui sarebbero localizzate le strutture utilizzate per il processo di arricchimento dell’uranio. Anche se al momento non è possibile stabilire né le probabilità né i tempi dell’attacco.

Israele per adesso si sta limitando a minacciare un intervento, allo scopo probabile di intensificare le sanzioni già disposte da Stati Uniti ed Unione Europea. L’embargo economico predisposto verso la Banca Centrale di Teheran che dura ormai da tre mesi ha avuto l’effetto di causare un forte deprezzamento del Rial nei confronti del dollaro – moneta con la quale avvengono le transazioni petrolifere – danneggiando fortemente l’economia reale iraniana.

Ad oggi però la volontà di Israele di eseguire un attacco preventivo ai siti nucleari iraniani non sta trovando il sostegno sperato presso la Casa Bianca. Obama non sembra almeno per il momento intenzionato ad impiegare nuove risorse economiche e militari malgrado alcune pressioni esercitate sul governo che presiede. Negli Stati Uniti c’è infatti chi sostiene,ed è il caso del Council on Foreign Relations – il think tank più importante – che un attacco all’Iran andrebbe eseguito nel più breve tempo possibile prima che la sua efficacia venga meno.

All’interno del CFR sorgono le stesse preoccupazioni nutrite in Israele: un Iran dotato di ordigno nucleare diverrebbe l’attore regionale più importante in Medio Oriente oltre che la più seria minaccia per l’esistenza dello Stato ebraico. La capacità nucleare acquisita verrebbe trasmessa agli alleati regionali più limitrofi ai territori dello Stato ebraico. Hezbollah e Hamas, le forze alleate di Teheran presenti rispettivamente in Libano e nella Striscia di Gaza, beneficerebbero in questo senso delle capacità nucleari acquisite dall’alleato iraniano.

Dentro il CFR c’è infatti chi ha posto un termine ai tempi dell’attacco: una volta che l’Iran si sarà dotato dell’ordigno nucleare, secondo il CFR, potrebbe essere a quel punto tardivo e non risolutorio, oltreché maggiormente dispendioso, un intervento militare. Le conseguenze che andrebbero a profilarsi sarebbero quelle di una guerra tra potenze nucleari, anche se l’Iran in questo senso non potrebbe disporre di una forza lontanamente paragonabile a quella di Israele e Stati Uniti. E’ accertato il potenziale nucleare a disposizione dell’esercito israeliano, quantificato in almeno 150 testate nucleari. Alle quali si andrebbe ad aggiungere il potenziale impiegabile dagli Stati Uniti.

E’ questa però un’ipotesi che sia Washington sia Gerusalemme non vogliono neanche prendere in considerazione. Una guerra nucleare creerebbe danni enormi alle popolazioni dell’intera area geografica e non solo negli Stati belligeranti. Le conseguenze di un simile scenario sarebbero inoltre poco giustificabili alle altre potenze nucleari come la Russia e la Cina, che siedono in qualità di membri permanenti all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Russia e Cina porrebbero senza dubbio il veto ad una risoluzione che autorizzasse un dispiegamento di forze nucleari contro un Paese che per russi e cinesi rappresenta un importante partner commerciale.

Negli Stati Uniti il caso Iran e l’atteggiamento dimostrato da Obama nell’affrontare la questione stanno alimentando le preoccupazioni della potente lobby ebraica, che possiede una massiccia presenza di voti soprattutto nello Stato della Florida, da sempre visto come un ago della bilancia per la vittoria delle presidenziali. I tempi della Casa Bianca non coincidono con quelli di Tel Aviv: Netanyahu infatti potrebbe anche decidere di attaccare senza avvisare l’alleato americano. A quel punto la posizione di Obama sarebbe ancora più critica: dovrebbe rispondere del mancato appoggio allo Stato la cui alleanza, nella storia della politica estera americana, è sempre stata vista come un punto fermo e non negoziabile.

L’opzione militare è per adesso soltanto minacciata, perché i rischi di un fallimento esistono e sono reali. Ma l’opzione militare, caldeggiata in Israele e non esclusa negli Stati Uniti, sta trovando le opposizioni di Stati come la Cina, che è il primo tra gli acquirenti del petrolio iraniano, e la Russia, che si è già dimostrata contraria all’inasprimento delle sanzioni.

Dove e come Israele può attaccare

I siti chiave del programma nucleare iraniano visibili sulla cartina geografica sono quattro, nella parte centro- nord del Paese: due nella regione d’Isfahan – Natanz e Isfahan – e altri due – Qom e Arak – più vicini alla capitale Teheran. Ma le fonti in possesso dell’intelligence israeliana e americana rilevano la presenza di impianti costruiti anche nel sottosuolo, a più di 20 metri di profondità, allo scopo di proseguire nelle strutture sotterranee i lavori per l’arricchimento dell’uranio.

Israele al momento sta valutando la fattibilità di un attacco aereo in cui tutte le strutture del programma nucleare iraniano vengano distrutte. I piani preparatori per un attacco alle strutture nucleari sono stati intensificati negli ultimi anni, anche se è dalla seconda metà degli anni Novanta che Israele ha iniziato a preoccuparsi seriamente di un Iran dotato di armi nucleari. E’ del 1995 infatti il primo vero allarme lanciato da Aman, l’intelligence dell’esercito israeliano e dal Mossad che avvisavano delle aspirazioni nucleari di Teheran.

La responsabilità di coordinare e pianificare un’operazione di attacco contro l’Iran è stata affidata all’Aeronautica. L’obiettivo che l’Aeronautica israeliana intende raggiungere è di riuscire a sviluppare una capacità di attacco contro obiettivi situati a 1000 chilometri di distanza. A partire dal 2008 sarebbero in corso allo scopo esercitazioni specifiche eseguite mediante l’utilizzo di aerei F-15 e F-16 che sarebbero stati avvistati nello spazio aereo soprastante alcuni Stati mediterranei. Sia in Grecia sia in Italia l’Aeronautica israeliana ha eseguito diverse esercitazioni allo scopo di testare la capacità di attacco verso obiettivi di lunga distanza.

Il numero di aerei impiegati- circa un centinaio – e la distanza percorsa inducono a ritenere che Israele stia preparando i suoi piloti ad affrontare le difficoltà incontrabili, che non derivano solo da agenti di natura militare. Voli a lunga distanza sopra porzioni di cielo non conosciute, ognuna con possibili diverse condizioni climatiche e soprastante territori dalla diversa morfologia, rientrano in questo addestramento.

L’Aeronautica israeliana può disporre inoltre di droni capaci di rimanere in volo anche 24 ore di seguito, pilotati a distanza grazie all’utilizzo di sofisticate tecnologie di comando. La questione che rimane aperta e preoccupa analisti e governi è se, mediante un attacco aereo di simili proporzioni, si riescano a distruggere le strutture adoperate dall’Iran per la messa a punto del suo programma nucleare. L’opinione comune è che al momento non esista la capacità necessaria per distruggere totalmente le strutture, ma solo per danneggiarle. Per riuscire a colpire anche le strutture collocate nei bunker sotterranei Israele si è attrezzato dotandosi di ordigni GBU 28 di produzione nordamericana.

La preoccupazione maggiore nutrita dalla Difesa israeliana in questo senso è di facile comprensione: l’Iran, una volta riparati gli eventuali danni, continuerebbe a portare avanti il suo programma e dunque il rischio che riesca a dotarsi di un ordigno nucleare sarebbe solo rimandato di qualche anno.

Insieme alle forze aeree, Israele può vantare anche importanti risorse navali. Il governo israeliano negli ultimi anni ha investito, e tanto, nel settore marittimo. Gerusalemme ha firmato accordi con alcune importanti compagnie tedesche per la costruzione di due sottomarini di attacco Dolphin che vanno ad aggiungersi agli altri tre di cui già dispone. Gli accordi commerciali prevedono che sia il governo israeliano a finanziare la costruzione dei sottomarini per due terzi dei costi, con la parte restante a carico del governo tedesco. La forza dei sottomarini Dolphin sta nel poter lanciare missili a testata nucleare contro il territorio nemico; ipotesi che Israele prenderebbe in considerazione qualora fossero distrutte le basi terrestri. La struttura dei Dolphin è inoltre basata sul sottomarino tedesco 212A, in grado di ospitare dieci postazioni per il lancio di siluri. C’è chi sostiene che la Marina israeliana abbia voluto modificare il tubo lanciamissili adattandolo al lancio di missili da crociera con testata nucleare. I tempi previsti entro i quali i due sottomarini dovrebbero essere nella disponibilità della Marina militare israeliana non sembrano inferiori al biennio, e dunque si arriverebbe a cavallo tra gli 2013 e il 2014.

Come e con quali mezzi saprà difendersi l’Iran

Se Israele sta pensando all’ipotesi di un attacco preventivo all’Iran e al suo programma nucleare, a Teheran non hanno certamente perso del tempo. Alla fine del 2011 l’Iran aveva accumulato oltre tre tonnellate di uranio debolmente arricchito, mostrando una capacità di arricchimento fino almeno al 20%. Secondo l’intelligence israeliana la quantità di uranio altamente arricchito, fino alla soglia prevista per la costruzione di un ordigno nucleare, sarebbe di almeno 70 chilogrammi.

E’ possibile che una volta raggiunto il livello di arricchimento ottenibile utilizzando le strutture tradizionali, il processo di arricchimento prosegua ma all’interno delle strutture sotterranee. Secondo le previsioni stimate, se i lavori proseguissero all’interno delle strutture-bunker i tempi di realizzazione non supererebbero i sei mesi. Beninteso, ad oggi, non esiste alcuna indicazione tale da poter confermare un’ipotesi simile. Si è ancora nel campo delle ipotesi.

Quel che è certa è invece la presenza in tutto il territorio iraniano di impianti nucleari per proteggere i quali il governo iraniano sta mettendo a disposizione un’imprecisata quantità di risorse. Non è ancora possibile quantificare le cifre perché non si conosce con esattezza la quantità di strutture presenti nel sottosuolo, costruite ad una profondità di oltre i 20 metri di profondità. Dall’ultimo rapporto dell’Aiea si può allo stesso modo capire che i lavori per il trasferimento del materiale nucleare siano già cominciati. Nell’opera di mimetizzazione degli impianti l’Iran gode del sostegno russo. E’ il governo di Mosca infatti ad aver fornito le reti speciali, già utilizzate ai tempi della Guerra Fredda, che impediscono le fotografie satellitari e aeree. L’utilizzo di simili risorse ha lo scopo di impedire il reperimento delle informazioni recepibili attraverso l’utilizzo di satelliti spia dotati sia di sensori termici presenti nelle attrezzature di spionaggio occidentali, sia di radar ad apertura sintetica (Sar).

La strategia di Teheran passa inoltre per l’impiego di ingenti risorse destinate alla difesa contraerea. Anche in questo caso la fornitura di attrezzature e strumenti proviene dalla Russia: missili a corto e medio raggio, SA-5 e SA-6, così come la quantità di missili antiaerei (circa 30) giunti dalla Russia almeno cinque anni fa. Si tratta però di strumenti di vecchia produzione, dei quali sembra che i governi occidentali non si preoccupino più di tanto.
Sarebbe stato diverso se la Russia avesse accettato di fornire all’Iran anche sistemi missilistici di tecnologia più avanzata. E’ questo il caso dei missili S-300, che hanno un raggio di azione fino a 100 chilometri. Le pressioni dei governi di USA e Israele sul Cremlino hanno evitato che i rapporti commerciali esistenti tra la Russia e l’Iran portassero a Teheran simili apparecchiature.

Il governo iraniano, prima di essere smentito, aveva fatto sapere di essere riuscito a sviluppare un sistema missilistico, basato sugli S-300, in grado di produrre prestazioni anche migliori dei missili russi. Esiste una possibilità invece che la Difesa iraniana sia riuscita ad entrare in possesso di un’imitazione dell’attrezzatura missilistica cinese denominata HQ-9. Sulla base di queste informazioni, sostengono fonti del Mossad, è possibile che l’Iran sia riuscito a costruire un modello proprio.

Sono di produzione russa anche la maggior parte degli aerei da guerra in dotazione all’Iran. Sono strumenti di vecchia produzione, risalente al conflitto Iran e Iraq, arrivati a Teheran nella metà degli anni Ottanta. Anche se i migliori velivoli da guerra sono considerati i MiG-29 e alcuni F-14 acquistati da Teheran agli inizi degli anni Novanta. L’Iran ha cercato di sviluppare la produzione di alcuni prototipi di aerei da guerra sulla base dei modelli costruiti in altre parti del mondo, in Russia ma anche negli Stati Uniti ed Inghilterra. Gli aerei da caccia più noti sono i due modelli Saeqeh e Azarakhsh, entrambi costruiti sulla base del Northrop F-5. L’aviazione militare iraniana può inoltre usufruire di alcuni vecchi Phantom di produzione americana, risalenti agli anni Settanta, che Washington aveva venduto ai tempi dello Scià.

Sempre dall’America risultano essere giunte alcune decine di elicotteri da combattimento Cobra, mentre sono russi gli elicotteri Mi-171 acquistati circa una decina di anni fa. Rispetto agli Stati limitrofi del Golfo Persico, l’Iran può vantare alcuni punti di forza per ciò che concerne le strutture aeree. I Paesi membri del Consiglio di Cooperazione nel Golfo (GCC), pur potendo di disporre di risorse più avanzate, non dimostrano un grado di competenza militare comparabile alle forze iraniane. Gli aerei da guerra di alcuni Paesi del Golfo hanno anche sofferto l’invecchiamento delle macchine in mancanza di adeguate strutture di desalinizzazione, che invece l’Iran al contrario possiede. In sostanza rispetto ai Paesi confinanti, l’Iran sembra aver acquisito una competenza più adeguata ad affrontare l’eventualità di un conflitto bellico.

Un settore dell’industria militare iraniana, che più degli altri sembra aver impegnato risorse producendo i migliori risultati è la produzione di velivoli senza pilota in grado di trasportare esplosivi a bordo. E’ recente infatti – del 2011- una dichiarazione del governo iraniano, secondo cui avrebbe prodotto un velivolo, denominato Karrar, simile nel processo di reazione all’apparecchio russo DR-3, in grado di trasportare una bomba. Le informazioni che hanno permesso all’Iran di raggiungere un livello così avanzato di apparecchiature militari sono pervenute dalla cattura di un drone americano Rq-170, caduto a seguito di un guasto durante una missione nei cieli afghani. In possesso del velivolo sono entrate le forze militari iraniane che, così analizzandone la struttura hanno potuto trarre le informazioni necessarie per produrne altri.

Gli iraniani hanno saputo potenziare anche il settore della difesa marittima. La marina militare iraniana ha infatti sviluppato alcuni efficaci sistemi missilistici anti-nave, operando alcune variazioni rispetto alle apparecchiature utilizzate per le operazioni sulla terraferma. Derivato da un missile terra-terra è il missile Khalij Fars, una minaccia per i mezzi navali e le imbarcazioni che navigano non lontano dalle coste iraniane. Durante una manifestazione celebrata negli ultimi mesi è stata anche testata l’efficacia di un nuovo missile da crociera dalla lunga gittata, con un raggio di azione fino ai 200 chilometri.

La Marina iraniana può disporre di alcuni modelli di sottomarini da guerra di fabbricazione russa (Kilo 887) e di un sottomarino di fabbricazione propria utilizzato nelle missioni di perlustrazione nel Golfo Persico e nello Stretto di Hormuz. E’ ipotizzabile che l’Iran in caso di un attacco sferrato ad ampio raggio dalle forze israeliane e americane, propenda per l’immediata chiusura dello Stretto di Hormuz, rispondendo agli attacchi utilizzando i minisommergibili Ghadir ed una tale quantità di imbarcazioni da guerra che, piazzando ordigni in tutta l’area, riesca a rendere impossibile la navigazione. Una tattica di difesa simile è suffragata da quanto avvenuto nel corso dell’esercitazione “Grande Profeta”, svoltasi nell’estate del 2011, in cui le forze iraniane oltre ad effettuare diverse manovre all’interno dello Stretto hanno anche testato i missili supersonici lanciati dalla costa verso obiettivi in mare.

La parte più importante del potenziale militare iraniano è però nelle forze di attacco impiegabili. Teheran potrebbe avvalersi dell’apparato missilistico dislocato nei luoghi geograficamente più prossimi ai territori israeliani: in Libano grazie all’alleanza con Hizbullah e nella Striscia di Gaza dove è ancora forte la presenza di Hamas. Secondo alcuni analisti, il potenziale missilistico raggiunto da Teheran è superiore anche a quello di Pyongyang .Nel arsenale di Teheran sono inclusi i missili Shabab 3 con gittata fino a 1300 chilometri, così come anche i missili Kader che possiedono una gittata ancora maggiore, fino ai 1800 km. In sostanza un missile di questo potenziale sparato dall’Iran sarebbe in grado, oltre che di arrivare a colpire i territori israeliani, di oltrepassare buona parte del Mar Mediterraneo per cadere in prossimità delle coste greche. D’altro canto, va detto che la gittata dei missili in dotazione ad Israele – i missili Jericho I e II- è ancora maggiore, quantificata in un raggio di azione fino a 4500 chilometri.

Infine il conflitto finirebbe per interessare le strutture cibernetiche di entrambi i Paesi. Se l’Iran aspira ad acquisire le più avanzate capacità in questo senso, Israele ha già potuto dimostrare le sue potenzialità, riuscendo quanto meno a disturbare il programma nucleare iraniano proprio grazie ad un attacco cibernetico sferrato con l’utilizzo del virus Stuxnet.


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