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ISRAELE: Tra Gaza e il futuro. Se la crisi turca portasse alla pace

Creato il 14 settembre 2011 da Eastjournal @EaSTJournal

di Matteo Zola

ISRAELE: Tra Gaza e il futuro. Se la crisi turca portasse alla pace

Il nuovo Nasser

“I leader di Israele hanno sbagliato nell’interpretare la realtà circostante, hanno perso i loro sostenitori, anche negli Usa”. Così il premier turco Erdogan, senza mezze parole, stigmatizza il governo di Tel Aviv dalle colonne del quotidiano egiziano el Shorouk. Proprio quell’Egitto che ieri lo ha accolto “come il nuovo Gamal Nasser“, secondo le parole del Wall Street Journal. Un paragone che nasconde un po’ di malizia: Nasser fu l’uomo che seppe contrastare Gran Bretagna, Francia e Israele per il controllo del Canale di Suez nel 1956. Definire Erdogan il “nuovo Nasser” significa connotarlo anche come antagonista della leadership occidentale che, nella regione, è rappresentata da Israele. 

Israele, un bambino viziato

E con Israele non è tenero il premier turco: “Israele è abituata a non rendere conto dei suoi comportamenti e si considera al di sopra della legge. E poi, col tempo si è trasformata in un bambino viziato, rovinato da chi le sta intorno. Non solo pratica il terrorismo di Stato contro i palestinesi, ma si comporta con arroganza, e si meraviglia se qualcuno la richiama al rispetto delle leggi”.

Il rapporto Palmer non è legge

Leggi internazionali che nulla c’entrano con il recente rapporto Palmer, rigettato da Ankara, che in modo cerchiobottista critica un po’ la Turchia e un po’ Israele riservando però a quest’ultima un trattamento di favore dichiarando legittima l’occupazione di Gaza. Ora, questa “legittimità” non è sancita all’Onu poiché il rapporto Palmer non è un rapporto ufficiale dell’Onu ma un “Panel“: per essere ufficiale deve venire adottato attraverso il voto di uno degli organi (o delle agenzie dell’organizzazione) delle Nazioni Unite. Lo stesso rapporto lascia perplessi dal punto di vista del diritto internazionale stesso, si legga quest’analisi di Chantal Meloni, ricercatrice di Diritto Penale a Milano. Insomma, la Turchia non ha compiuto alcun abuso nel rifiutare le conclusioni del Panel.

La causa comune turco-araba

Le dichiarazioni turche sulla Palestina sono coraggiose, la sfida di Erdogan è epocale: raggruppare intorno ad Ankara i principali Paesi della regione, sfruttando la nascita dei nuovi regimi sorti a seguito delle primavere arabe, e costringere Israele a sedere al tavolo con i nemici di sempre. Proprio ieri, al Cairo, Erdogan ha parlato di una “causa comune” che deve unire turchi e arabi. Simbolo di questa causa comune è la Palestina. La sfida, favorita dalla debolezza iraniana e dal disimpegno americano nei confronti di Israele, si scontra con l’ottusità dell’amministrazione Obama. Il presidente americano, nobel per una Pace che non ha per nulla favorito, ha dichiarto il 9 settembre scorso che “gli Stati Uniti porranno il veto Gli Stati Uniti a un tentativo (previsto per il 20 settembre prossimo, ndr) dei palestinesi di ottenere il riconoscimento del loro Stato all’Onu”. Barack Obama mostra così di essere un presidente americano in linea di continuità con i suoi predecessori, pur nella moderazione: il riconoscimento dello Stato palestinese, sotto l’avallo americano, sarebbe un gesto di portata storica e farebbe entrare Obama nei libri di storia non solo per il fatto di essere il primo nero alla Casa Bianca.

Israele tra Gaza e il futuro

Israele intanto è sempre più isolata, ma per sua stessa mano. La speranza di un cambiamento però c’è. Israele è ora sottoposta alla pressione di due forze: l’una esterna (che chiede a Israele una nuova politica nei confronti di Gaza e dei paesi arabi) e l’altra interna: un forte movimento di opposizione giovanile sta mettendo in discussione la struttura stessa dello stato d’Israele. Questi giovani “indignati” chiedono democrazia in un paese senza Costituzione in cui il Diritto è fondato sul Talmud. Uno stato  di diritto ma a vocazione teocratica ed etnica. Uno stato in crisi sociale ed economica. Si parla troppo poco di loro ma erano 400 mila in piazza a Tel Aviv lo scorso 4 settembre.


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