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Quattro milioni 115mila e 235: sono gli italiani all’estero, secondo l’ultimo Rapporto Italiani nel Mondo 2011 della Fondazione Migrantes. Come ogni anno, il Rapporto ha fatto parlare di se’, per una serie di ragioni.
Non è stato tanto l’incremento di 90mila unità rispetto all’anno precedente a sorprendere: la vera novità è che la nostra popolazione di emigrati si sta ringiovanendo. Il Rapporto ricorda come quasi il 40% dei 25-34enni ritiene che vivere in Italia sia una sfortuna. Il 40,6% degli intervistati -di tutte le fasce d’età- si trasferirebbe all’estero: la percentuale sale addirittura al 50,6% tra i 25-34enni. Perché? Fondamentalmente, per la precarietà sul posto di lavoro. Ma non va sottovalutato un altro aspetto più “culturale”: l’Italia più onesta, quella che emigra, non sopporta più la mancanza di senso civico, l’eccessivo livello di corruzione, la classe politica, la condizione economica.
Francia, Stati Uniti, Spagna, Inghilterra e Germania sono i Paesi più desiderati dagli aspiranti emigranti. L’emigrazione italiana, secondo la Fondazione Migrantes, è sempre più composta da donne, single e -appunto- giovani.
Tuttavia, possiamo rilevare dei dati più sottotraccia, che possono essere letti in modo ambivalente: riguardano l’emigrazione per motivi di studio. Sono ben 42.433 gli studenti universitari italiani all’estero. Altri 17.754 utilizzano una Borsa Erasmus. Tutti gli indicatoriparlano di nuove generazioni che si formano all’estero, ampliando notevolmente i propri orizzonti culturali. Ciò non può che essere positivo. Anche se non possiamo escludere che saranno proprio loro i primi a lasciare l’Italia, o restare dove sono, non appena termineranno gli studi. Chi lo fa fare loro di tornare nel primo Paese del Terzo Mondo?
Ancora più sorprendenti i dati sui liceali che partono per periodi di studio all’estero: sono sempre di più i 16-18enni del Belpaese che effettuano esperienze al di là delle Alpi. Parliamo dei progetti Intercultura, Wep, Comenius. Due trend si rivelano molto interessanti: il periodo di studi si è allungato, da tre mesi a un anno. In secondo luogo, i nostri giovanissimi si stanno già orientando verso le destinazioni del futuro: in primis l’Asia, con la Cina e l’India. Il che dimostra una proiezione verso l’avvenire delle nuove generazioni, assolutamente non indifferente. Sono più avanti rispetto al loro stesso Paese, che ancora guarda con sospetto e diffidenza all’Estremo Oriente.
E’ sempre più un Paese bloccato, che non respira futuro perché nessuno guarda più al futuro, a far fuggire ogni anno decine di migliaia di giovani, come ben spiega Irene Tinagli nell’articolo “Costretti a giocare in difesa“. L’articolo costituisce una illuminante istantanea di cosa è divenuta l’Italia nell’ultimo decennio: un Paese ormai preda e vittima sacrificale di una classe dirigente vecchia e inetta. Classe dirigente senza futuro, che si arroga la pretesa di togliere il futuro persino ai suoi figli: “Negli ultimi vent’anni l’Italia si è mostrata terribilmente aggrappata all’esistente, terrorizzata da tutto quello che accadeva fuori, costantemente tesa a tentare di proteggersi da tutti gli attacchi dei «nemici» come si fa nei videogame, seguendo una metafora cara al nostro ministro dell’Economia”, scrive Irene Tinagli. “Un’Italia che prima era spaventata dalle tecnologie e dalla concorrenza degli altri Paesi industrializzati come Germania o Stati Uniti, poi dalla manifattura a basso costo dei Paesi emergenti come Cina e India, e oggi semplicemente dalla fame e dalla disperazione dei Paesi africani come la Libia, la Tunisia o la Somalia, i cui profughi potrebbero rubarci anche i posti da raccoglitori di pomodori. Un’Italia abituata ormai a giocare in difesa, e che nonostante le sfide sempre più difficili non cambia mai squadra, ma ricicla continuamente i soliti giocatori. Basta pensare alle tensioni e agli accordi tra Bossi e Berlusconi di questi giorni, per avere la sensazione di rivivere un film già visto molti, troppi anni fa. Un arco temporale di 15 o 20 anni può sembrare un’inezia a chi calca la scena politica da 30 o 40 anni, ma rappresenta l’unico orizzonte temporale di cui hanno memoria gli italiani che oggi hanno 25 anni. E per questi giovani l’Italia è il Paese in cui non cambia mai nulla e si parla sempre delle stesse cose (senza farle): dal ponte sullo Stretto alla Salerno-Reggio Calabria, dalla riforma fiscale a quella dello Stato. Il Paese in cui, per riprendere la metafora dei videogame amata da Tremonti, i politici giocano ancora al Pac-man, mentre il resto del mondo funziona con la Wii. E’ guardando a questa Italia che si capiscono le ragioni di quei giovani che se ne vorrebbero andare. Sanno bene che altrove troveranno la stessa crisi, ma sperano almeno di poter respirare un po’ di aria diversa, di veder muoversi qualcosa, di potersi misurare con un mondo che gira invece di stare fermo. Chiaramente non tutta l’Italia è così asfittica, ci sono realtà che pur con fatica provano a muoversi suscitando anche begli entusiasmi. Ma la sensazione che ancora prevale è di un immobilismo che sta facendo la muffa. Gli unici a non sentirne la puzza sono quelli che ci sono seduti sopra“.
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