A caccia di belve feroci ed emozioni forti nel capitolo preistorico di Far Cry
Con l'espansione stand alone di Far Cry 3, Blood Dragon, Ubisoft aveva già dimostrato di saper declinare con successo la ricetta della propria saga di spoaratutto in un contesto originale, ma cosa accadrebbe se dall'equazione venissero rimossi veicoli e armi da fuoco?
Negli uffici di Ubisoft Montreal l'idea di questa visione alternativa deve essere balenata sin dalla progettazione di Far Cry 3, dove il sontuoso lavoro condotto sull'ecosistema delle Rook Island è riuscito a imprimere una vera e propria svolta per la serie. Non è un caso, infatti, che nel Kyrat di Far Cry 4 gli elementi naturalistici abbiano assunto un peso specifico ben superiore, influenzando sensibilmente sia il carattere che lo spessore ludico delle affascinanti ambientazioni. Lo step successivo, per una totale fusione del gameplay con la natura e la sua meravigliosa biodiversità, non poteva esser fatto con un passo in avanti, bensì solo attraverso un deciso balzo indietro nel tempo, in un'epoca in cui non esistevano tecnologie e l'essere umano era tutto fuorché in cima alla catena alimentare. Far Cry Primal, parafrasando il produttore esecutivo dell'opera Dan Hay, "riduce Far Cry alla sua essenza", proiettando il giocatore in pieno Mesolitico nel cuore della cosiddetta Età della pietra, a dodicimila anni di distanza dalle avventure di Jason Brody e Ajay Ghale. Ci siamo immersi in questo crudo, spietato mondo preistorico immaginato da Ubisoft per decine di ore, e questo è il resoconto del nostro incredibile viaggio.
Evoluzione della specie
Il peso contenuto del pacchetto dati (circa 13 GB su PlayStation 4) e l'assenza di un numero che incastoni il titolo nella linea temporale della saga, non debbono trarre in inganno: Far Cry Primal non è infatti una semplice espansione a tema primitivo di Far Cry 4, ma un solido spin-off con i medesimi valori produttivi della serie principale e una sostanziosa mole di contenuti. La storia narrata ruota attorno al protagonista Takkar e alla sua tribù dei Wenja, una comunità di cacciatori/raccoglitori che dopo generazioni di nomadismo decide di insediarsi nella fertile Terra di Oros. In pratica, nel titolo Ubisoft si ripercorre il germogliare della civiltà, che proprio nel Mesolitico fu innescato dalle prime comunità stanziali e dal successivo sviluppo di agricoltura e allevamento.
All'epoca, verosimilmente, vi furono anche le prime guerre tribali per il possesso delle risorse migliori, la prima vera e propria "frontiera" che in Far Cry Primal viene contesa dai già citati Wenja, dai rudi cannibali Udam, chiaramente ispirati all'Uomo di Neanderthal (benché esso si estinse nel Paelolitico), e dagli schiavisti Izila, le cui origini mesopotamiche gli conferiscono conoscenze "tecnologiche" superiori. Nell'incipit viene raccontato come il popolo dei Wenja venne quasi sterminato dai sistematici attacchi dei rivali, che costrinsero gli ultimi superstiti a vivere in piccoli gruppi isolati e sotto costante minaccia. Takkar fa parte proprio di uno di questi, e dopo esser sopravvissuto a una sfortunata caccia al mammut, raccontata nel prologo, si ritrova catapultato nei panni del principale artefice della rinascita dei Wenja. Dopo il fortuito incontro con Sayla, uno dei personaggi più riusciti del titolo, il protagonista viene infatti spinto alla ricerca degli altri superstiti e alla fondazione di un nuovo villaggio, che continuerà ad accrescersi per tutta la durata dell'avventura. Tra gli aspetti più interessanti della produzione vi è la cura riposta nella caratterizzazione delle tre comunità primitive, rese credibili grazie al coinvolgimento di antropologi, linguisti e storici delle Università del Kentucky e della McGill University di Montreal, reclutati per l'occasione dal producer Vincent Pontbriand. Particolarmente efficace il lavoro condotto sui dialetti delle tribù, estrapolati dal protoindoeuropeo del quale è stato ricreato un vero e proprio vocabolario con grammatica annessa.
Il meticoloso studio del team di sviluppo emerge con forza nelle cutscene, dove al linguaggio rudimentale, agevolato da sottotitoli peculiari, si accompagnano movenze decontaminate da gesti e influenze moderne. La recitazione degli attori coinvolti è inoltre assolutamente credibile e appassionata, riuscendo a proiettare il giocatore in una genuina e cupa atmosfera primordiale. Menzione d'onore per la prova dell'interprete dello sciamano Tensay, caratterizzato in maniera semplicemente superba. La trama, com'era lecito attendersi, è ridotta all'osso ed è strettamente legata alle esigenze di sopravvivenza dei vari membri della comunità, non perdendosi in elucubrazioni filosofiche o sentimentalismi come nei precedenti capitoli; insomma, i cattivoni con le loro esigenze (e credenze) sono sì presenti, ma appaiono piuttosto raramente e potete dunque dimenticare gli elogi della follia di Vaas o l'egocentrismo esasperato di Pagan Min. All'epoca, del resto, l'essere umano lottava per la sua stessa sopravvivenza e gli istinti animaleschi ne dominavano la condotta; Takkar, nonostante tutto, nel corso dell'avventura avrà comunque modo di dimostrare il suo buon cuore e di meritarsi il ruolo di leader.
Maestro di belve
Nonostante il peculiare contesto preistorico, Far Cry Primal è un Far Cry a tutti gli effetti, e se avete apprezzato i precedenti capitoli vi troverete perfettamente a vostro agio nei panni del nuovo protagonista. Anche troppo. L'infrastruttura ludica, infatti, è plasmata a immagine e somiglianza di quella delle ultime iterazioni, e troverete praticamente inalterate molte delle dinamiche che caratterizzano i tripla A di Ubisoft. La mappa di Oros, di dimensioni ragguardevoli, si dipana lentamente esplorandone le ambientazioni, suddivise in aree che vanno "rivendicate" accendendo le cosiddette pire, l'alternativa preistorica ad antenne e monumenti di altre produzioni francesi.
In questo caso vanno raggiunte su alture più o meno impervie (ma mai troppo impegnative) e ripulite dai nemici che le occupano, esattamente come gli accampamenti e le due fortezze, che in Primal sono legate alla liberazione di personaggi rilevanti. Per quanto concerne le missioni secondarie, spaziano dalla scorta di piccoli gruppi alla liberazione di prigionieri, passando per l'uccisione di "comandanti" sino alla caccia di specifici animali; tutte mansioni già note a chi ha giocato i precedenti Far Cry e non solo. Quelle primarie non si discostano molto da questa ricetta base, aggiungendo ingredienti come la raccolta di oggetti, la fuga, estenuanti battaglie con i boss (davvero duri) e qualche piacevole cammeo. Non mancano all'appello i collezionabili da recuperare e gli eventi casuali dinamici, come corrieri da uccidere (chiamati portatori) e alleati da slegare prima che vengano eliminati dai rivali, oltre che missioni "mistiche" dopo aver bevuto gli intrugli dello sciamano Tensay. L'approccio stealth è sicuramente il più raccomandato per affrontare l'insidiosissima Terra di Oros, ma nulla vieta di fare irruzione a clave spiegate o in groppa a qualche poderosa belva. Takkar è conosciuto tra i Wenja col nome di "Maestro di belve" e la sua capacità di ammaestrare e governare gli animali è una delle caratteristiche principali del gameplay, in parte tradotte dalle sezioni nello Shangri-La di Far Cry 4. Particolarmente importante l'utilizzo del gufo, che fondamentalmente sostituisce le fasi di ricognizione con fotocamera e mirini telescopici dei capitoli moderni.
Il rapace notturno, infatti, con la sua vantaggiosa vista dall'alto può marcare i nemici per Takkar, inoltre possiede alcune interessanti funzioni di attacco da potenziare nell'apposito menù delle abilità. Per quanto concerne i predatori terrestri, il nostro eroe può addomesticare orsi, canidi e varie tipologie di felini che possiedono specifiche doti in velocità, forza e furtività. Gli animali migliori si sbloccano attraverso le missioni chiamate "Caccia da Maestro", che impegnano il nostro eroe in lunghe sequenze di pedinamento sino all'immancabile scontro finale. In questa e altre tipologie di missioni si avverte una forte somiglianza con le indagini dello Strigo in The Witcher 3: per seguire le tracce e visualizzare agevolmente oggetti, materiali e nemici nell'ambientazione, infatti, premendo R3 Takkar può contare sulla cosiddetta "Vista del cacciatore", una sorta di Occhio dell'Aquila che illumina in giallo o in rosso gli elementi di interesse. Benché si tratti di una funzione utilissima, essa smorza un poco l'immersione nel setting preistorico e agevola sin troppo il recupero delle risorse necessarie al crafting. Quest'ultimo funziona esattamente come negli altri Far Cry ed è utile per migliorare il proprio equipaggiamento e soprattutto le capanne del villaggio Wenja, in particolare quelle dei sette specialisti, che con una casa più grande e accogliente possono fornire nuove missioni e abilità al nostro eroe.
Pelle e ossa
La varietà del preistorico arsenale di Takkar risulta comprensibilmente limitata, tuttavia non mancano armi interessanti, da potenziare più volte nel corso del gioco grazie a materiali più robusti e rari, come i palchi di megalocero e le pietre chiamate "Sangue di Oros". Al di là di clave e mazze di diverso tipo, compresa quella a due mani, il nostro eroe può impugnare lance, sassi scheggiati, una fionda, archi e persino bombe rudimentali composte da sacchi di api inferocite e veleno. Peccato che la fisicità degli impatti lasci a volte (non sempre) a desiderare, facendo rimpiangere la "cattiveria" dei colpi apprezzata in The Last of Us o nel più recente Dying Light. All'arsenale va aggiunto il fondamentale supporto degli animali, che spesso riesce a fare la differenza nell'esito degli scontri.
Grazie ad alcuni di essi, come lo smilodonte "Tigre dai denti di sangue" da sbloccare in un'apposita missione, aiutandosi col gufo è possibile liberare interi insediamenti nemici senza intervenire mai direttamente nella battaglia. Ciò crea un pizzico di sbilanciamento negli equilibri del gameplay, considerando anche il fatto che facendosi accompagnare da una di queste belve "speciali" praticamente non si viene più infastiditi dagli altri predatori, piuttosto oppressivi nelle prime fasi di gioco quando è necessario tenerli a bada col fuoco, soprattutto di notte. Per quanto concerne i nemici, suddivisi nelle consuete classi tradizionali, compresi il resistentissimo bruto e la sentinella pronta a chiamare i rinforzi con un corno, non presentano un'intelligenza artificiale particolarmente avanzata, e il loro modus operandi è del tutto in linea con quello già visto in altre produzioni Ubisoft. Nonostante si sia parlato a lungo di sopravvivenza, in Far Cry Primal gli elementi survival risultano piuttosto semplici e limitati: se si eccettua la necessità di indossare abiti pesanti per percorrere la taiga ghiacciata e quella di assumere un antidoto per specifici sentieri avvelenati, non vi sono altre accortezze da prendere, se non quella di difendersi dalle brulicanti minacce di Oros. Takkar può comunque raccogliere piante di vari colori che, combinate con la carne, forniscono effetti analoghi a quelli delle siringhe dei precedenti Far Cry, come un aumento di resistenza al fuoco o all'annegamento. Approfondiremo il discorso sulle abilità del protagonista e degli specialisti a essi legate in un apposito speciale.
Mondo perduto
Tra i punti di forza di Far Cry Primal vi è indubbiamente il sontuoso comparto tecnico, esaltato dal Dunia Engine tirato a lustro per l'occasione. Il risultato complessivo, a 1080p e trenta fotogrammi al secondo sull'ammiraglia Sony, non si discosta troppo da quanto già apprezzato in Far Cry 4, tuttavia Oros risulta molto più affascinante del Kyrat per il suo alternarsi di lussureggianti biomi incontaminati e per la copiosa fauna che li abita.
Da questo punto di vista ci saremmo comunque aspettati più "coraggio" da parte di Ubisoft, dato che molti degli animali presenti - vi sono una sessantina di specie in tutto - sono stati tradotti proprio dal quarto capitolo della saga, compreso il resistentissimo e odiato ratele. Se vi aspettavate di esser circondati da fauna principalmente "esotica" resterete delusi per buona parte del tempo, anche se naturalmente non mancano animali iconici del periodo come mammut, rinoceronti lanosi, i già citati megaloceri e le tigri dai denti a sciabola. Le numerose specie introdotte offrono comunque una buona varietà e nel complesso sono tutte ben animate, modellate e divertenti da cacciare, con le più possenti che richiedono un approccio tattico piuttosto accorto per essere abbattute. Tornando al comparto tecnico, risultano eccellenti gli effetti di illuminazione, con un delizioso ciclo giorno-notte e una perfetta riproduzione del fuoco; elementi fondamentali anche sotto il profilo del gameplay. Mole poligonale e texture sono generalmente valide, ma non manca qualche elemento più grezzo (come alcune rocce) e superfici poco definite, visibili soprattutto quando si utilizza l'artiglio-rampino per le scalate. Ottimo il lavoro condotto sull'audio, caratterizzato da campionature incisive e tridimensionali da godere con un buon impianto home theatre: in alcuni casi sembra davvero di essere immersi in una primordiale foresta boreale. Ricordiamo che il gioco non offre modalità multiplayer ma la sola avventura, che vi impegnerà moltissime ore per essere completata al 100%.
Clicca per votare!
8.2
Redazione
8.1
Lettori
(5)
Pro
-
Caratterizzazione delle tribù
-
Graficamente spettacolare
-
Solido, longevo e divertente
-
Audio estremamente coinvolgente
-
Brutalità non gratuita
Contro
-
Struttura ludica inflazionata e poco coraggiosa
-
È Far Cry in tutto e per tutto, o quasi
-
Qualche specie preistorica in più non avrebbe guastato