Una decina di giorni fa ha preso il via una discussione telematica su un possibile istituto nazionale di fisica dall’articolo di Alessandro Figà Talamanca apparso su roars (Return On Academic Research), che a partire dalla “scoperta” del bosone di Higgs (senza chiamarlo particella di Dio e solo di questo intanto andrebbe ringraziato!) si lancia in una breve storia degli enti di ricerca italiani che hanno a che vedere con la Fisica. L’articolo di Figà Talamanca è molto interessante, perchè a grandi linee disegna quel che c’è stato di buono nell’organizzazione degli enti di ricerca, quali siano state le spinte positive e quali le cause dei fallimenti. Infine, si traccia una possibile proposta che andrebbe secondo me presa seriamente in considerazione in tempi di spending review, che è quella di creare un Istituto Nazionale di Fisica. Quest’istituto potrebbe riunire i fisici di vari settori, a partire dalla fisica nucleare e subnucleare (INFN), passando per la fisica della materia (CNISM) sino all’astrofisica (INAF), e senza dimenticare la geofisica (INGV). Il post di Figà Talamanca è poi stato citato e ripreso dall’Oca Sapiens aprendo un dibattito pubblico piuttosto variegato, e linkato da qualche presidente degli enti in questione per un dibattito riservato agli attori in questione. Sono molto incuriosita da questa problematica, perchè penso che sia un gran peccato non sapere approfittare delle occasioni di cambiamento che una crisi può offrire. Chi lavora o ha lavorato nel mondo della ricerca in Italia, sa benissimo che il suo sempre più scarso finanziamento è il problema (non uno dei problemi, ma il problema), d’altro canto è innegabile che dietro a questo ce ne sono numerosissimi altri, e che forse sarebbe il caso di mettersi a discutere per tentare di risolverli, invece di arricciare il naso di fronte all’unico insormontabile problema. Gli enti di ricerca che rappresentano vari settori della Fisica lavorano separatamente, con diverse modalità e diversissimi livelli di finanziamento. Ciononostante una gran parte dei ricercatori di questi enti sono operanti nelle Università italiane, negli stessi dipartimenti, fianco a fianco, e le potenzialità di intrecciare diverse esperienze e capacità non sarebbero così insignificanti. Però. Però manca un istituto, un’agenzia, un ente, che raccolga le varie esperienze, che le faccia incontrare, che le organizzi. Un Istituto Nazionale di Fisica potrebbe servire a questo, ma non solo.
Il punto di vista mancante, in tutto questo dibattito, mi sembra quello rivolto al futuro. Rimembrando le interazioni con il CNR, la felice esperienza dell’INFM, le litigiosità che hanno causato separazioni infauste di comunità scientifiche che sarebbero dovute procedere unite, sembra che tutti siano preoccupati di fronte alle possibili fratture che potrebbero nascere dall’unione di gruppi di ricerca di settori molto diversi. In realtà a me piacerebbe se si superasse questa empasse iniziale, per pensare ai vantaggi comuni che una tale scelta porterebbe. Intanto unire degli enti potrebbe ridurre costi burocratici e amministrativi, rilanciare l’approccio interdisciplinare che la fisica potrebbe avere, e funzionare anche da efficace agenzia per la mobilità dei giovani ricercatori. Oggi un giovane ricercatore, che sia un dottorando o un postdoc, non transita facilmente da un gruppo di ricerca italiano ad un altro, ad esempio, anche per mancanza di conoscenza diretta o di qualcuno/qualcosa che si faccia garante del proprio percorso. Un altro incarico importante che potrebbe avere l’Istituto Nazionale di Fisica potrebbe essere quello di porre una sorta di marchio di garanzia sulla progettualità dei giovani non strutturati, che spesso scrivono progetti europei assieme a un professore strutturato nell’università, che lo firma e non è tenuto a mantenere alcun patto con il giovane. Il che significa che un ricercatore non strutturato nell’università può scrivere per conto di un docente un progetto che verrà magari finanziato (spendendo energie e tempo, mentre parallelamente impegnato nelle attività di ricerca), senza avere poi la possibilità nè di prenderne parte, nè di ricevere alcun premio per il successo arrecato. Sono convinta che la mancanza di garanzie per la progettualità dei giovani sia una delle cause più importanti della scarsa progettualità a livello internazionale dell’attuale classe docente universitaria italiana. Non ultimo, l’Istituto Nazionale di Fisica potrebbe cercare di adoperarsi per una migliore interazione fra il mondo della ricerca in fisica e l’industria del nostro Paese. E’ a tutti evidente che questo settore in Italia mostra enormi carenze e di certo l’IIT, anche con il suo tesoretto, non riuscirà a colmarle da solo.
Insomma, che sia un paracadute o un trampolino di lancio, un Istituto Nazionale di Fisica sarebbe qualcosa da pensare…o forse solo sognare?