Sara Errani parteciperà tra quindici giorni al Master di Istanbul, torneo di fine stagione riservato alle migliori 8 giocatrici al mondo. Un risultato storico per il tennis italiano, perché a riuscire nell’impresa era stata in passato la sola Francesca Schiavone nel 2010. L’impresa di Sarita, tuttavia, per certi versi assume uno spessore addirittura maggiore rispetto a quello della Leonessa. In primis, la milanese conquistò la qualificazione principalmente grazie alla rendita derivante della vittoria del Roland Garros, anche se riuscì comunque a conquistare l’accesso ai quarti di finale degli Us Open. L’emergente emiliana, invece, viene da una stagione ben più consistente, avendo raggiunto la finale a Parigi, la semifinale a New York e vinto ben 4 tornei (Acapulco, Barcellona, Budapest e Palermo). Insomma, una continuità di rendimento che certifica al meglio il suo nuovo ruolo da top10.
La più grande differenza tra Schiavone ed Errani, inoltre, riguarda l’età: se la prima raggiunse l’apice della carriera a 30 anni, la seconda è invece appena 25enne , dunque con margini di miglioramento ancora importanti. La giovane emiliana può e deve ancora incrementare molto il rendimento al servizio, quanto meno rendendo più solida una seconda che, contro avversarie potenti come Williams, Azarenka e Sharapova, si rivela oltremodo attaccabile. Per quanto riguarda le superfici, invece, Errani si trova a perfetto agio sulla terra rossa e non è escluso che, dopo averlo sfiorato quest’anno, non possa coronare un giorno il sogno di vincere il Roland Garros. Ottime anche le prestazioni sul cemento, mentre sul veloce indoor e sull’erba c’è ancora tanto da lavorare. Si capisce, dunque, come la scalata dell’azzurra ai vertici mondiali sia ancora in pieno corso d’opera, con un ranking che potrebbe migliorare ulteriormente. L’arma vincente di Sarita è rappresentata dalla testa, dalla consapevolezza della propria forza. Grazie ai numerosi doppi vinti con Roberta Vinci (le due sono in vetta alla classifica globale di questa disciplina), è migliorata molto anche nel gioco di volo, riuscendo a variare i colpi e rendersi imprevedibile per le avversarie. Il tennis italiano femminile, tuttavia, non è solo Sara Errani: con la maturazione ormai completa della Vinci, la crescita della giovane Camila Giorgi e gli auspicati ritorni ai vertici di Flavia Pennetta e Francesca Schiavone, il Bel Paese potrà ambire per diverse stagione alla conquista della Fed Cup.
Nella pallamano femminile l’Italia ha vinto un match ufficiale in trasferta a 19 anni di distanza dall’ultima volta (clicca qui per leggere l’articolo completo). Un dato che la dice lunga sul livello attuale in cui naviga questa disciplina e sulle difficoltà del percorso intrapreso dalla Federazione e dai tecnici per cullare un chimerico sogno olimpico.
La realtà è questa: in tutti gli sport olimpici il Bel Paese ha sempre vinto almeno qualche trofeo internazionale o medaglia in passato, o quanto meno si difende su posizioni accettabili. E’ il caso ad esempio dell’hockey su prato, dove la nazionale femminile ha partecipato per due volte negli ultimi anni agli Europei (dunque tra le migliori 8 squadre del Vecchio Continente) ed ha sfiorato in due circostanze la qualificazione alle Olimpiadi. Per la pallamano è diverso. Non solo non possiamo vantare in bacheca alcuna coppa o medaglia (a meno che non vogliamo contemplare anche i Giochi del Mediterraneo…), ma le nostre selezioni non riescono neppure ad accedere ai grandi eventi (né tanto meno ci vanno vicine). L’ultima grande partecipazione dell’Italia ai Mondiali risale al 1997, ovvero all’epoca d’oro targata Lino Cervar, ct croato che diede una svolta al movimento, rimasta in seguito inattuata.
Perché siamo relegati a questo ruolo di comparse? I motivi sono molteplici: carenza di praticanti (la poca promozione in tv e sui media non aiuta certo i ragazzini ad avvicinarsi a questo sport), mancanza di tradizione, strutture inadeguate ad attirare un pubblico di appassionati (spesso palestre obsolete e senza tribune), semi-professionismo (in quasi tutte le squadre di club i giocatori sono obbligati anche a lavorare, oltre che ad allenarsi) e gap fisico importante rispetto alle corazzate mondiali.
Eppure qualcosa si sta muovendo, almeno in campo femminile. Dallo scorso anno la Federazione ha avviato, in collaborazione con l’Esercito Italiano, il progetto Futura Roma, ovvero una squadra composta quasi integralmente da under20 che hanno l’opportunità di allenarsi da professioniste e sotto la guida dei migliori tecnici del panorama nostrano capeggiati da Marco Trespidi. Dopo il convincente debutto nella A1 italiana coinciso con la qualificazione ai play-off, il team tricolore sta partecipando quest’anno al più competitivo campionato sloveno, dove è già arrivata una vittoria. I miglioramenti, in effetti, si possono già notare anche per quanto riguarda la nazionale. A differenza di qualche tempo fa, infatti, le ragazze riescono a reggere alti ritmi su tutti i 60 minuti, mentre in precedenza il calo fisico alla distanza appariva evidente. Si è elevata anche la tecnica individuale, con il gioco di squadra che ne ha tratto immediati benefici. Eppure è ancora troppo presto per pensare di poter colmare il gap con le nazionali migliori e la Polonia ce lo ha dimostrato (clicca qui per l’articolo). Il problema principale delle azzurre è rappresentato dalla costituzione corporea, con le nostre rappresentanti che pagano dazio in termini di altezza e potenza. Il segreto per sopperire a queste carenze si chiama velocità. I tecnici ne sono consapevoli e stanno lavorando sotto questo aspetto, anche se la crescita dovrà necessariamente rivelarsi graduale e rispettare la politica dei piccoli passi. La missione può sembrare proibitiva, eppure lavoro, forza di volontà ed unità d’intenti tra club e Federazione possono realmente contribuire alla crescita di una disciplina che, per spettacolarità ed anche per il blasone complessivo dell’Italia nel mondo dello sport, merita di affermarsi pienamente anche nello Stivale.
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