Sul Corriere della Sera di sabato 14 maggio 2011, è apparso un editoriale di Francesco Giavazzi dal titolo "NOI E LA SINDROME GIAPPONESE".
La realtà dei fatti è, come sempre, più spietata degli spot elettorali finalizzati al consenso a tutti i costi. Nell'articolo, l'economista osserva che, la crisi finanziaria del 2009 ebbe un impatto negativo sul reddito pari al 7% in Italia, come anche in Germania, mentre in Francia fu più lieve (4%).La differenza è che Germania e Francia sono tornati ai livelli pre-crisi, mentre l'Italia, stando ai dati Istat, è ancora ad un desolante -5%.
In un decennio il reddito delle famiglie tedesche, al netto dell'inflazione è cresciuto dell'11%, quello delle famiglie francesi del 6% mentre il reddito delle famiglie italiane, al netto dell'inflazione, è sceso del 4%.
Se poi guardiamo all'efficacia delle politiche distributive, il risultato è che sulla base di un Indice Gini pari a 32 (l'Indice Gini misura la concentrazione della ricchezza, ed è pari a 0 quando essa è ugualmente distribuita), l'Italia dimostra una distribuzione della ricchezza maggiormente concentrata rispetto a Francia e Germania (Indice di Gini pari a 29) con la conseguenza che una caduta del reddito interessa maggiormente la base della piramide della ricchezza.
La diseguaglianza si diffonde anche nel mercato del lavoro assumendo caratteri generazionali: a fronte di un disoccupato adulto ce ne sono 4 giovani, a differenza dei 2,4 a livello UE e degli 1,4 della Germania.
Sulla scorta di queste considerazioni, Giavazzi fa un pertinente parallelo col Giappone, affermando che l'Italia, pur avendo un debito pubblico notevole, è un paese solido ma che ha smesso pericolosamente di crescere. In Italia e Giappone in vent'anni il reddito pro capite è aumentato del 12% a differenza degli USA (+35%) e della Germania (+28%).
Quando un paese non cresce perde anche l'influenza nel mondo; è successo al Giappone, che in Oriente ha perso posizioni importanti a favore di Cina, India e Corea.
Ma la riflessione più interessante è quella sul perché del successo della Germania.
La risposta è: perché la Germania ha avuto la fortuna di avere un cancelliere coraggioso come Schröder, che all'inizio del suo secondo mandato diede avvio al processo di riforme del welfare e del mercato del lavoro e che a causa di ciò subì la sconfitta elettorale a favore della crstiano-democratica Angela Merkel, che oggi vive di rendita anche grazie al suo predecessore.
Quando nascerà anche da noi una classe dirigente in grado di anteporre gli interessi della collettività al proprio tornaconto personale, ed avviare quell'improrogabile processo di riforme volto al ringiovanimento della struttura economica e sociale del nostro paese, anche a costo di perdere consensi elettorali? Io resto poco fiducioso...soprattutto alla luce degli ultimi indecorosi avvenimenti che hanno caratterizzato la campagna elettorale delle amministrative.