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Italia: lavoriamo tanto e... male!
Dovremmo lavorare di più, sollecitava ieri il sottosegretario
all’Economia Gianfranco Polillo. La questione è annosa e più
volte riproposta: se questo Paese va a ramengo, o rischia di andarci,
è anche perché lavoriamo quantitativamente poco e abbiamo, invece,
tante ferie e tante feste comandate, civili e religiose.I numeri
dicono che è così, ma fino a un certo punto: non lavoriamo affatto
di meno rispetto agli altri Paesi comunitari (e anche Ocse), ma -
effettivamente - abbiamo più vacanze.
Ma soprattutto - è
questo il cuore del problema - se la nostra economia va male non è
per il monte ore lavorate, tant’è che Paesi mitici come Germania o
Norvegia - solo per dirne due - lavorano molto meno di noi, ma hanno
una crescita che noi ci sogniamo. La questione non è dunque il
quanto ma il come. Tradotta in termini economici, è la produttività,
e lì - in effetti- siamo a Caporetto: perché è mancata
l’innovazione, perché abbiamo bucato la rivoluzione informatica,
perché il tessuto delle nostre aziende è assai frastagliato e ha
puntato sull’innovazione in maniera diversificata e discontinua. E
infine perché l’Italia è l’Italia, e questo significa una
burocrazia che non aiuta, una rete dei servizi disomogenea, un
sistema creditizio ostico, e perfino un regime fiscale che ti fa
preferire di restare piccolo ma al sicuro piuttosto che grande e in
mezzo al guado. Fatto sta che il dato composto tra ore lavorate e
produttività espressa si traduce in una mazzata. Ma vediamo i numeri
secondo i dati di Eurofond, l’agenzia comunitaria che si occupa
delle condizioni di vita e di lavoro nei Paesi europei. Stando ai
contratti di categoria, in Italia non si lavora poco: siamo a 38 ore
settimanali contro le 37,7 delle Germania e le 35 della Francia (ma
la disastrata Grecia lavora 40 ore).
Poi si vanno a vedere non
le ore «contrattuali» ma quelle effettive (con straordinari e senza
feste e ferie) e si scopre che le cose stanno diversamente: la
Germania lavora di più eccome (40,5 ore), l’Italia si mantiene
sulle 38 (38,5), ma più della Finlandia virtuosissima (37,8) e meno
della non brillante Romania (41,3). Certo se andiamo a spulciare tra
le ferie, siamo in alta classifica (con le 9 festività comprese) ma
sempre sotto la Germania, a pari quota con la Danimarca. Sintesi del
discorso: un piccolo sforzo nel lavorare di più forse lo possiamo
anche fare, ma è del tutto evidente che non è quello che ci
salverà. Perché il vero male dell’Italia è la produttività.
Fatto 100 il valore della produttività europea nel 2000, l’Italia
era a 116,8, la Germania a 124, la Spagna allora claudicante a 102,
la brillante Francia a 137,9.
Dopo di che è passato il
decennio in cui gli altri sono organizzati e noi no. Nel 2010 i
valori erano abbastanza sconfortanti: la Germania, grande locomotiva,
si era mantenuta su quei livelli (123,7), la Spagna che aveva fatto
un forte sforzo di innovazione era risalita fino a 107,9, la Francia
aveva mantenuto la sua invidiabile posizione e l’aveva addirittura
migliorata: 140. E L’Italia? 101,5, un crollo - cioè - di oltre 15
punti, una débâcle, di più, una catastrofe. Nessun Paese
comunitario è andato indietro così tanto in così poco tempo. E la
cosa ha avuto anche un suo riflesso sulle retribuzioni. Facciamo un
solo paragone, quello con la Germania, prima della classe: la media
degli stipendi nel 2006 vedeva già i tedeschi prendere quasi il
doppio dei nostri lavoratori (39.363 euro l’anno contro 23.406).
Quattro anni dopo noi eravamo a 26.181, loro a 42.400. Noi lavoriamo
oggi 1.679 ore l’anno, la Germania 1.658, la Norvegia - che è la
ricca tra le ricche - appena 1702 ... 23 ore più di noi. Sarà il
quanto si lavora o il come?
Fonte: La Stampa
http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/467347/
Dott. Fabio Troglia
fabio.troglia@gmail.com
www.lamiaeconomia.com
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