Rifondare l’Italia. E’ l’imperativo cui deve ispirarsi ogni azione politica dopo la lunga, sordida e laida stagione dei partiti. Rifare la nostra Patria dopo il buio periodo in cui le fazioni cieche, il manicheismo partigiano, il maramaldismo dei vincitori, il nostalgismo dei vinti hanno messo in ginocchio, peggio che nella guerra perduta, la dignità di un popolo ormai agonizzante, debilitato dalle flogosi tribali seppure ipervitaminizzato da un processo consumistico che ne ha ingrassato la carne ma denutrito l’anima. Siamo all’Anno Zero. Per i partiti, cosche immonde di pustole suppurate, s’alza il de profundis.
Ma da dove si ricomincia?
L’inizio deve aversi laddove incominciò la nostra fine di popolo e iniziò lo scorrazzamento delle bande, intese come partiti politici che, mentre la Patria era allo sbando, si misero al servizio del nemico della Democrazia.
Noi prendiamo atto della storia e delle miserie dei suoi uomini. Le Patrie non si conquistano con il sangue, ne con le sfilate e nemmeno con la logorrea facile (intesa come parlata demagogica ed incostruttiva) ma con persone capaci di amministrare la Res Pubblica con lungimiranza ed onesta. Onestà intesa non come fedina penale pulita, perché anche qui bisogna sempre fare dei distinguo, ma come onestà intellettuale ed onesta morale.
Quel che si vuole rimarcare è un dato, sul quale si vuole insistere seppure ripetitivo. Noi siamo artefici del nostro destino e dobbiamo fare in modo di rivendicare questa prerogativa. Possiamo decidere anche di non votare oppure votare. Ma rivendichiamo il diritto di farlo da noi. Come popolo sovrano. Senza che alcuno c’imponga più quel che dobbiamo o non dobbiamo fare.
Quando le chiavi dell’uscio sono in mani altrui, non si può invocare la violazione di domicilio. In casa propria non si può vivere da famigli. Questo accade quando “chi non sa comandare, va a servire”.