Tutti oramai sanno che domenica e lunedì si svolgeranno "le operazioni di votazione per quattro referendum popolari".La mia opinione circa il contenuto dei suddetti referendum (che poi se sono più d'uno sarebbero referenda, questa regola non dovrebbe valere con il latino, ma questo è solo puntiniismo, quindi vabbè) non ha una grande importanza, perciò, al limite, la terrò per ultima.Francesco Costa, dopo aver finito di complimentarsi con se stesso per la generosa percentuale di pronostici elettorali da lui azzeccati, ci fornisce in questi giorni un'utile guida ai referendum e ci fa sapere come si comporterà nella cabina elettorale. Nella chiusa dell'articolo scandisce queste parole: "Non mi piace che i referendum su questioni puntuali finiscano per diventare dei voti simbolici". Ecco, è su questo che, piuttosto, vorrei brevemente trattenermi.Il meccanismo dei referendum non funziona un granché bene. Come sappiamo la Costituzione prevede soltanto due modalità di ricorso ai cittadini: una generale, il referendum abrogativo, che esclude alcuni ambiti, come trattati internazionali (è la ragione per cui il Trattato di Lisbona fu ratificato dal Parlamento, e non, come in altri paesi Ue, dal popolo) e imposte, e una speciale, il referendum confermativo, per le modifiche alla Carta stessa quando non approvate dai 2/3 del Parlamento, ma a maggioranza semplice (nel 2001 approvammo, nel 2006 rigettammo).
Il punto è che (mi scuso per l'orrendo termine) l'"abrogatività" del referendum è una camicia un po' stretta, specie perché esso è stato spesso interpretato, nei fatti, come qualche cosa di più. In particolare, ciò è avvenuto a causa dei Radicali, che negli anni passati hanno proposto referendum a raffica, spesso oscuramente formulati e su materie fin troppo specifiche, come un metodo di politica "dal basso", antipartitocratica, in grado di opporsi al sistema corrotto della politica.Il risultato è che da anni non si raggiunge il quorum. Già perché nella versione generale il referendum è valido solo se si recano al voto la metà più uno degli aventi diritto (cosa che non è richiesta per le leggi costituzionali). Negli ultimi anni l'astensione è diventata una quarta modalità di voto: chi non è d'accordo con il quesito non vota più scheda bianca, ma lo boicotta, dotandosi così di un doppio voto: si astiene, e al contempo impedisce che il voto altrui abbia valore. Trovo l'astensione dal referendum una scelta scorretta. Si tratta di approfittare di una scappatoia, quale il raggiungimento del quorum è diventato, per sabotare un libero voto. La scheda bianca garantisce pienamente il diritto di astenersi, che è giusto sia sempre riconosciuto. Ma è una pratica che avviene nel contesto delle regole democratiche, non al di fuori. (Per questo, anche se apprezzo molto la sua analisi dei problemi, non sono d'accordo con Yoshi). Tra l'altro il referendum è costoso, come è giusto che (entro limiti che in Italia sono ampiamente superati) la democrazia sia. Farlo fallire è anche permettere che il denaro dei contribuenti venga gettato al vento. Ricordo con orrore la richiesta di Ruini, nel 2005, di non partecipare al voto per i referendum sulla legge 40 (procreazione medicalmente assistita). Ricordo, da scrutatore, la consultazione anti-Porcellum del 2009, miseramente affondata. Penso che nel primo caso abbiano contato di più la percezione della materia come ostica e delicata che le reprimende anni Cinquanta di Eminenz, che nel secondo sia stata più l'infelice tempistica a decidere le sorti del quorum (era il momento di massimo consenso per il premier, oggi i cittadini sarebbero più disposti a modificare quella legge vergogna) che il tema del voto. Sia come sia, sono a favore dell'abolizione del quorum. Per come l'art. 75 della Costituzione viene strumentalizzato oggi, cancellare il quorum significa ritornare a confrontarsi ad armi pari: sìsì, nono, il resto viene dal maligno (come direbbe qualcuno che Ruini dovrebbe conoscere). Ma oggi, e in specie domenica e lunedì, il quorum c'è eccome. Allora, sia sì o sia no, il voto va rispettato, e occorre recarsi alle urne. Il referendum è una cosa seria. Si va dal popolo a chiedere un pronunciamento diretto quando la materia è tale da renderlo inevitabile. O almeno dovrebbe essere così. Per questo il referendum ha, di per sé, una sconvolgente potenza. E' anche il motivo per cui mi fa un po' paura. Tutto ciò che, nella vita pubblica, ha il carattere dell'immediatezza, possiede un'energia che va controllata. Sarebbe meglio, su molte questioni, che il Parlamento se la cavasse da solo. Non ci sarebbe bisogno di sondare i cittadini su nucleare e legittimo impedimento. L'acqua, o meglio, la gestione dei servizi pubblici locali, mi pare una questione troppo complessa. Sarebbe stato meglio risparmiarci tutto questo. Il fatto è che, nelle campagne elettorali, non si discute a sufficienza di contenuti o non si dice la verità su ciò che si ha in animo di fare una volta eletti. Il bisogno di referendum cela l'incapacità della politica di rappresentare: che non significa inseguire gli umori della gente, ma mediarli in una prospettiva lungimirante. Almeno tre dei quattro quesiti di questa tornata, in fondo, rivelano una domanda: come sarà l'Italia tra 50 anni? Questa dovrebbe essere la misura della politica. Ma un governo dal respiro corto, tutto preso dai propri affari di cui al quesito 4, non si colloca in questa dimensione. E allora tocca raccogliere le firme.
I referendum, quindi, sono spie di un contesto, e, allo stesso tempo, se riescono e valgono la pena di essere celebrati, lanciano un messaggio, vibrante, ai nostri rappresentanti. Il referendum, comunque vada, rinvia sempre, di nuovo, alla politica. Per queste ragioni non sono d'accordo con Francesco Costa: i referendum hanno un valore simbolico eccome. Essi muoiono proprio quando vengono percepiti come riguardanti questioni particolari, tecniche, complessità che è compito degli elettori passivi sbrogliare. Il Parlamento non dice solo "sì" o "no" a questa o quella legge: esiste un iter, cioè un percorso, fatto di relazioni di maggioranza e minoranza, dichiarazioni di voto, studi preparatori, con i quali la legge è istruita, e che restano, a documentare intenzioni, orientamenti, idee, che magari eccedono il testo che sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale, ma lo arricchiscono. Il referendum, al contrario, è laconico: dice sì o no, non perché sì o perché no. Pertanto, anche se ovviamente esso si esercita su di un terreno specifico, offre a chi di dovere un segnale che eccede la sua talvolta astrusa formulazione. Fu così per il referendum sul nucleare del 1987, che in punta di diritto riguardava l'abolizione dell'intervento forzoso dello Stato laddovo un Comune non concedesse un sito per le centrali nucleari, ma che di fatto provocò la fine dell'atomo in Italia (senza che con ciò evitassimo di approvigionarcene all'estero: un'ipocrisia che il nuovo referendum, se vinceranno i sì e ci sarà il quorum, dovrà superare - ancora una volta una palla che torna ai nostri rappresentanti).
In questo frangente, i referendum, oltre a chiederci di esprimere la nostra volontà su alcune questioni piuttosto importanti, riveleranno, è inutile nasconderlo, un punto di vista sull'operato di questo governo, e sulla direzione che vogliamo l'Italia prenda nei prossimi anni. Anche per questo è importante andare a votare.
poscritto: 2) sì 3) sì 4) sì; su 1) ho qualche perplessità, anche perché non riguarda solo l'acqua, ma la possibilità di privatizzare/liberalizzare (ovviamente non è la stessa cosa) i servizi pubblici locali in generale. Una questione su cui si era soffermato anche il centrosinistra, con un disegno di legge dell'allora ministro Lanzillotta, che pure conteneva una "moratoria" sull'acqua e non andò in ogni caso da nessuna parte. Comunque, credo che voterò sì anche su questo.da TEMPI FRU FRU http://www.tempifrufru.blogspot.com
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