Italian Zombie: il progetto. Intervista a Dario Coriale

Creato il 14 luglio 2013 da Frailibri

Il suo racconto, anzi, la sua cronaca della resistenza agli zombie, apre il volume edito da 80144 edizioni e il suo personaggio, Giuseppe Rimondi, osserva il mondo fuori attraverso le suole delle scarpe che gli passano sulla testa. Il pavimento di vetro della Sala Borsa, piazza coperta, biblioteca e mediateca di Bologna, li separa dal delirio.
Leggete l’esperienza di Giuseppe sul volume; noi intanto esploriamo l’esperienza di Dario con la scrittura.

Paolo ti ha chiamato. E tu?
“Pronto, ciao Paolo, come va? Hai letto quel racconto sul jazz?” (80144 aveva infatti lanciato il bando di “Il jazz è una palla” e io gli avevo proposto un racconto per quella raccolta).
“Sì, l’ho letto – mi fa lui – ma parla con Simone (Arminio: siamo entrambi bolognesi d’adozione e abbiamo un’esperienza pregressa di scrittura di coppia), perché c’è qualcosa che bolle in pentola”.
“E di che si tratta?”, gli faccio io.
“Si tratta di zombie!”
Che rapporto avevi con gli zombie?
“Di zombie!?!? – gli chiedo io – E allora devi aver sbagliato persona”.
Ecco, questo era il rapporto che avevo fino ad allora con gli zombie. Per me erano solo dei tipi mezzo rincoglioniti dal passo dinoccolato, che se ne andavano in giro strascicando i piedi in cerca di gente da azzannare. Che poi, tutto sommato, è così. Solo che mi mancava tutta la parte dell’epidemia, del virus, della risurrezione che non riguardava tutto il corpo, ma solo il cervello. E soprattutto mi mancavano le nozioni sulle modalità di eliminazione di uno zombie. Questa cosa, in qualche modo, ho cercato di trasferirla anche nelle competenze di Giuseppe Rimondi, che è il protagonista del mio racconto.

Ti sei confrontato subito con gli altri scrittori/le altre scrittrici?
Mi sono confrontato subito con Paolo e con Simone. Una sera, da casa di Simone, io Simone e il vivavoce del suo smartphone abbiamo attivato quella che la gente seria definirebbe “conference-call”. Paolo era dall’altra parte e ci spiegava le linee guida che ci aveva da poco inviato. Per un confronto con tutti gli altri Paolo ha poi aperto un gruppo su Facebook. Anzi 2 gruppi.

Hai deciso subito come avreste potuto far incontrare i vostri personaggi o incrociare le storie?
Appunto. Nel primo gruppo ognuno interpretava se stesso (cioè, ogni autore era semplicemente l’autore): lo usavamo proprio per gestire le dinamiche con cui i nostri personaggi avrebbero dovuto interagire. Si discuteva del periodo in cui ambientare i racconti, se citare un avvenimento di attualità oppure se a-temporalizzare le storie, se parlare o meno della letteratura e della cinematografia sugli zombie ecc. Nel secondo gruppo, ogni autore si calava nei panni del proprio personaggio. Da lì sono venuti fuori gli stralci di comunicazioni da social-network che poi sono finiti nel libro per raccordare i racconti.

Ti sei documentato sugli zombie?
Non avevo altra scelta. Mi sono sparato tutti gli episodi delle tre serie di The Walking Dead. Poi però mi sono fermato lì, perché avevo paura che approfondire troppo la cosa potesse influenzarmi nella scrittura. Una volta finito il racconto ho guardato anche altri film di genere. In alcuni di essi gli zombie addirittura corrono. Sinceramente preferisco la tradizione degli zombie impediti: è più facile riuscire a scappare.

Hai scritto di impulso o hai ”studiato”, creato una scaletta e cosa ha ispirato la tua storia?
Be’, ho studiato abbastanza. Cioè, prima di iniziare a scrivere ho letto un po’ di cose. Per quanto riguarda l’argomento zombie ho letto (non tutto – lo confesso – ma in larga parte) Manuale per sopravvivere agli zombie di Max Brooks. Mi è stato molto utile, e gli sono stato tanto riconoscente da assegnargli un ruolo fondamentale nella mia storia. Per quanto riguarda l’ambientazione del mio racconto, invece, ho letto un bel po’ di cose sulla storia “acquatica” di Bologna. Il capoluogo emiliano è infatti ricco di canali (in parte ormai sotterranei, in parte ancora visibili) che una volta permettevano alla gente e alle merci di arrivare da qui fino a Venezia. Ecco, quando sulle linee guida che Paolo ci aveva inviato ho letto che Venezia era rimasta una roccaforte in cui la gente tendeva a rifugiarsi, la macro-trama del racconto mi si è subito delineata in mente. Poi ho approfondito la storia dei canali e delle vie d’acqua, leggendo anche I sotterranei di Bologna, un giallo di Loriano Macchiavelli, che è il libro che poi, nella mia storia, suggerisce la soluzione per la fuga verso Venezia.

Hai un aneddoto legato al periodo di lavorazione che vorresti raccontare?
Più che al periodo di scrittura, l’aneddoto riguarda il periodo immediatamente successivo. Tutti i libri che ho consultato per scrivere il racconto li ho presi in prestito in Salabrosa, la biblioteca più grande di Bologna, che poi è anche il luogo in cui si svolge il 90% della vicenda raccontata da Giuseppe Rimondi. Ecco, quando sono andato a restituire i libri e mi sono trovato su quel pavimento a vetri – al di sotto e al di sopra del quale si svolge quasi tutta la vicenda – non ti nascondo che ho avuto una sensazione di insicurezza. La cosa mi faceva sorridere, certo, ma allo stesso tempo mi sorprendeva. Ho scritto un messaggio a Paolo che, ovviamente, mi ha detto di guardarmi bene alle spalle.
Qui l’intervista a Paolo Baron, ideatore del progetto e boss della 80144 edizioni.



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