Cari amici,
L’intervista di oggi trae ispirazione dall’ultima proposta musicale di Radio Monticiana, Inchiostro Simpatico, che se vorrete potrete ascoltare ancora cliccando qui. Ascoltandolo non si può fare a meno di pensare a Gabriele come un artigiano. Lui sta alla musica come un ceramista al suo pezzo di creta, lì, schiaccia un pedale, tende una corda, il tornio inizia a girare e tra le sue mani prendono forma parole e note, rime e accordi, poesie e canzoni. Non ho la presunzione di ergermi a mecenate di artisti e Gabriele Dorme Poco, non ha bisogno certo di mie sponsorizzazioni. Compositore, cantante, romano. Una voce dal mondo dell’arte, un’idea di come nasce un musicista, dove cresce e come se la deve cavare in Italia, di questi tempi. E per concludere, un po’ di musica che fa sempre piacere. Che poi, a fare interviste ci sto prendendo gusto! :)
D: Ciao Gabriele! Da timida a timido, come stai? come è andata la tua giornata?
R: Ciao Nicoletta! Benone! Oggi Roma è un tripudio di grandi nuvole e pioggia ostinata, ma per fortuna non soffro di nessuna forma di meteoropatia. Anzi, io e l’inverno andiamo particolarmente d’accordo.
D: ho sempre ascoltato tantissima musica. Ogni genere di musica. Da quando sono mamma però scelgo con nuovi criteri. “Bongo Bongo Bongo” gli strappa un sorriso all’istante; Lucio Dalla lo rasserena; Beethoven, Mozart e Frank Sinatra lo cullano; i ritmi tribali lo fanno ballare! Ricordi la tua prima canzone preferita?
R: Questo è un domandone… Dunque, la prima volta che ho pensato “questa è la mia canzone preferita” non ero piccolissimo, avevo circa 15/16 anni, e il brano in questione era Lately di Stevie Wonder, poi ho passato almeno un decennio in fissa con “A song for you” nella versione di Donnie Hathaway, un altro classico del soul. Da piccolo invece ascoltavo ovviamente le canzoni dei cartoni animati. Devo necessariamente citare la sigla de “Il mistero della pietra azzurra”: i miei genitori l’avranno ascoltata in tutte le salse, non c’era viaggio in macchina in cui non mi mettessi a cantarla col finestrino abbassato e Fivelandia nel walkman.
(Scrivendo “walkman” mi sono sentito improvvisamente molto vecchio.)
D: Gabriele D’Angelo, Sezione F.
Quel giorno, in quel cortile, anche io avrei voluto fortemente essere Sezione F. Poi la vita ti sorprende ed il tempo, sai bene, mi ha dato straordinariamente ragione! Tu che rapporto hai con il tempo?
R: Un rapporto piuttosto altalenante. In generale convivo con una grande forma di pigrizia, da procrastinatore seriale vivo male qualsiasi tipo di scadenza, mi riempio di sveglie e promemoria sul cellulare che rimando di continuo, così delle volte il tempo mi sembra una condanna.
Sto cercando di lavorarci su!
D: uno, due, cinque, sette: cosa rappresentano per te questi numeri?
R: Domanda miratissima, grazie Nico! Associazioni musicali: 7 come l’Anonima Armonisti, il settetto vocale con cui ho iniziato a lavorare ben 11 anni fa; 5 come i Quinta Giusta, altra formazione vocale – siamo 5 cantanti accompagnati al pianoforte – con cui canto dal 2008; 2 come i Glover di cui ho fatto parte per 10 anni, e infine 1 che parla chiaro. Ti ho risposto invertendo l’ordine perché sono sempre stato abituato a vivere la musica come un lavoro d’insieme, mi piace l’idea di far parte di un motore con tanti ingranaggi.
D: Gabriele Dorme Poco è un progetto che ti espone in prima persona come cantautore e che sta già portando le prime soddisfazioni. Risponde alle tue aspettative?
R: Sono nato con un morbo piuttosto raro tra i cantanti: sono poco ambizioso, ciò significa che sono anche raramente vittima delle aspettative Amo scrivere e cantare, non potrei mai farne a meno, ma il successo inteso come un riconoscimento popolare, quindi l’entrare a far parte di un meccanismo mainstream, è qualcosa che mi attrae relativamente. Sarei felice di rappresentare una piccola realtà, con la speranza di guadagnare col tempo un po’ di pubblico e poter vivere più serenamente di musica. Nel frattempo mi sono preso delle piccole soddisfazioni come l’essere selezionato tra i finalisti di Musicultura 2013. Ora sto per chiudere il mio primo lavoro in studio, un EP che dovrebbe uscire questa primavera o al massimo subito dopo l’estate.
D: Ci racconti come nasce?
R: Ho iniziato a scrivere embrioni di canzoni quand’ero al liceo, l’abc dell’adolescenza. Inizialmente erano semplici appunti, frasi scritte sui quaderni o sul diario, poi durante un’estate di circa 15 anni fa ho preso la vecchia chitarra di mio padre, una classica degli anni ’70 con la tendenza a scordarsi ogni 30 secondi, e ho imparato a suonarla da autodidatta. Da quell’agosto sono accadute tante cose, mi sono avvicinato alla musica vocale e ho iniziato a lavorare con diverse formazioni, nel frattempo studiavo Canto Jazz al Saint Louis College Of Music. Ho scritto sempre, poi 5 anni fa ho iniziato ad essere particolarmente prolifico. Chi scrive sa che la cosiddetta ispirazione non è affatto costante, e quello era un periodo di grandi cambiamenti in cui evidentemente avevo tante cose da mettere nero su bianco.
Facevo le 5 del mattino cantando e suonando (male) la stessa chitarra di 10 anni prima. Quando ho cominciato ad avere tante, troppe canzoni in stand by, nel 2012 ho smesso di maltrattarle dando loro finalmente un po’ di spazio.
Il mio nome, Gabriele Dorme Poco, è un omaggio a quelle notti insonni di accordi e frasi scritte a penna sulle bollette, nonché un modo per mettere le mani avanti sulle mie occhiaie.
Non a caso sto finendo di rispondere alle tue domande alle 4:43 di notte!
D: dove crescono i musicisti romani?
R: Quand’ero più piccolo sentivo l’espressione “fare la gavetta” e non la capivo. Non sapevo proprio metterne a fuoco il concetto, adesso invece so cosa significa. Si cresce semplicemente suonando. Ovunque. Nei locali snob di Roma nord; nei bar di San Lorenzo dove la gente non ti ascolta e parla ad alta voce; alle feste private e ai matrimoni, dove il cugino ubriaco della sposa di turno inevitabilmente finirà col chiederti “che per caso ne sai una di Vasco?” o “ma il dj non c’è?”; nei piccoli club, dove l’attenzione è altissima e si sente ogni minimo errore; alle sagre di paese, dove impari a conquistare bambini e anziani, e via dicendo. La musica dal vivo è importante sempre, a Roma credo che la situazione sia analoga a quella di tante altre città, dove i locali faticano a pagare formazioni numerose e si è costretti a ridurre all’osso l’ensemble. Questo è un peccato, ma il dito non è da puntare esclusivamente contro i gestori o i cosiddetti “localari”, è un problema più complesso.
D: la rubrica italiani in Italia nasce per raccontare di chi resta, in controtendenza a chi emigra per trovare miglior fortuna. La vita di un’artista è sempre un po’ più travagliata. Quale speranza tenta un artista in una direzione o nell’altra?
R: La partenza e il “cambio vita” avranno sempre un forte ascendente su molti di noi, soprattutto su quelli meno soddisfatti e appagati. Chi parte spera di trovare persone più attente e realmente interessate al proprio lavoro, chi resta crede che si possa costruire qualcosa di solido anche qui, o forse – e questo è lo scenario più spaventoso – è insoddisfatto ma non ha il coraggio di darsi una possibilità altrove.
D: dove vive bene un’artista?
R: Non credo esista un luogo ideale. In questo senso non riesco a elogiare a partito preso chi parte o chi resta, dipende tantissimo dall’ambito professionale. Stando ai racconti di amici che vivono a Londra e in America, i problemi dei musicisti sono più o meno i medesimi che abbiamo noi. L’unico elemento che mi sembra vincente all’estero è relativo alla fruizione di musica dal vivo: ci sono tendenzialmente più spazi in cui suonare brani originali, dove la gente va esclusivamente per ascoltare (sembra un’ovvietà ma non lo è affatto), e dove magari durante la stessa serata si possono conoscere anche 3, 4 artisti diversi. A Roma, i palchi in cui è possibile ascoltare frequentemente nuovi gruppi, voci o cantautori, si possono contare su due mani e spesso si ha la sensazione che funzioni tutto un po’ a circuiti, con gli stessi nomi in cartellone e poco ricircolo. Ecco, per rispondere alla tua domanda, credo che un cantautore viva bene quando trova un modo per esprimersi, un proprio spazio, piccolo o grande che sia.
D: per chiudere con leggerezza: progetti per il futuro? Un desiderio per il 2015?
R: Spero che il 2015 porti nuove occasioni, e che l’EP al quale sto lavorando rappresenti un nuovo inizio.
“Ricominciare” è un gran bel verbo, con o senza valigia in mano.
Grazie delle belle domande, Nicoletta!
Grazie a te, Gabriele, per le tue risposte accurate e per i tuoi modi gentili.
E per questa canzone, Minuscolo, che a me piace molto e che invito tutti ad ascoltare almeno una volta, per chiudere col tono giusto questa nostra chiacchierata!
[Le foto di questo post sono gentilmente concesse da Alessandro Cantarini]
Per chi volesse conoscere meglio/approfondire:
www.facebook.com/gabrieledormepoco ; www.soundcloud.com/gabrieledormepoco
Ecco i link ai precedenti post di Italiani in Italia:
Macrilia,
Kyakodesign,
Studio83.