Ius soli

Da Loredana V. @lorysmart

Giovanni Sartori se la prende con il Corriere della Sera. Tutto questo perché il suo articolo, critico nei confronti della ministra Kyenge, non è stato messo in prima pagina a sinistra, come editoriale, bensì di spalla, cioè a destra. Questione di posizione, dunque, non critica per una diversa visione del giornale sull’argomento trattato. Sartori infatti ha solo espresso il convincimento che la Kyenge in quanto oculista non sia la persona più adatta ad occuparsi di integrazione e tanto meno di ius soli. Ne fa pure una questione linguistica riferendosi all’espressione “paese meticcio” pronunciata dalla ministra, in quanto meticcio significa nato da due razze diverse.

Sartori scrive poi quanto segue “La nostra presunta esperta di integrazione dà per scontato che i ragazzini arabi ed africani nati in Italia siano ipso facto cittadini integrati. Questa è da premio Nobel. Non ha mai sentito parlare del sultanato di Dehli, che durò dal XIII al XVI secolo, e poi dell’impero Moghul che controllò il continente indiano fino all’arrivo della compagnia delle Indie? Eppure indù e mussulmani non si sono mai integrati. La prova sta nel fatto che quando gli inglesi se ne andarono furono costretti a creare uno stato islamico che da allora è costantemente sul piede di guerra con l’India”.

In effetti sullo ius soli ci sarebbe da scrivere un trattato intero. Di integrazione qui in Italia se ne vede ben poca, e non perché manchino le strutture per attuarle (scuole ed altro), ma proprio per la resistenza della maggior parte degli stranieri a volersi integrare nel tessuto della nostra società,  preferendo “autoghettizzarsi”, con scuole proprie (tipo le madrasse) e quartieri propri. La cittadinanza infatti, più che un fatto “territoriale” è una condizione dovuta alle proprie radici, comprendenti le usanze e le tradizioni proprie dei componenti la famiglia. Difficilmente un immigrato rinuncerà a queste sue “radici”, e la riprova risiede anche nel fatto della forte coesione che esiste negli italiani emigrati all’estero, dove hanno formato comunità ristrette. Ci sono volute generazioni ( non solo due o tre) perché questo legame si spezzasse. Per coerenza allora dovremmo togliere la cittadinanza anche a quegli italiani nati all’estero.

C’è inoltre la forte componente religiosa degli islamici, che privilegiano lo ius sanguinis per cui tutti gli “altri” sono infedeli, e proibiscono  ad esempio il matrimonio tra persone di un credo diverso pena la sharia.

Come si può pretendere che queste persone, anche a fronte di un giuramento di fedeltà alla Costituzione, si possano definire integrate se molte delle loro credenze sono in palese disaccordo con le nostre usanze, prima fra tutte sul ruolo della donna, considerata da loro un essere inferiore?

Il giuramento di fedeltà richiede infatti un pieno adattamento alle nostre leggi, la conoscenza della nostra lingua, cultura, storia… Chi verifica che tutto questo verrà fatto osservare ed attuato?

Diventare cittadini solo per effetto dello ius soli  in sostanza significa acquisire tutta una serie di imprinting che contrasteranno con l’imprinting che verrà loro trasmesso dalla famiglia e si giungerà al paradosso che si sentiranno estranei sia in famiglia che in società.

E chi ci garantirà che, nati italiani per forza, fuorviati e indottrinati da altri, non compiano atti terroristici? Gli atti di violenza recentemente verificatisi specie in Gran Bretagna sono stati compiuti da giovani di seconda se non addirittura di terza generazione.

L’uguaglianza è una bella cosa, ma bisogna anche considerare fino a che punto sia fattibile e pure la disponibilità, anche economica, dell’Italia ad “assorbire” una massa sempre crescente di stranieri.



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