E ci sono andata cercando di liberare la mente del pregiudizio che mi attanaglia ormai da qualche anno nei confronti del Clint Eastwood regista.
Per questo inizierò col dire che questa passeggiata in cinquant'anni di storia americana (quelli durante i quali J. Edgar Hoover è stato a capo dell'FBI) è affascinante, perché sa rendere perfettamente non solo il clima di un paese in un preciso (per quanto lungo) momento storico, ma getta anche luce sulle origini e le modalità di costruzione di una cultura americana da sempre in bilico tra apertura e chiusura, libertà e paranoica ossessione per la sicurezza, rispetto della legalità e necessità dell'illegalità, forma e sostanza, essere e apparire.
Aggiungerò che la figura di J. Edgar Hoover è perfetta per rappresentare l'ambiguità di questi valori/disvalori e Leonardo Di Caprio è magistrale nel conferire complessità a questo personaggio che nelle intenzioni del regista dovrebbe essere difficile amare o odiare integralmente.
Bene. Dopo aver fatto contenti tutti gli amanti del cinema di Eastwood, credo di essere autorizzata a togliermi qualche sassolino dalla scarpa.
Vogliamo forse parlare del trucco utilizzato per invecchiare i personaggi e renderli credibili dopo quarant'anni? Il collaboratore e compagno di una vita di J. Edgar, Clyde Tolson (Armie Hammer), viene trasformato in una specie di manichino, con la faccia coperta di botox che rende impossibile al povero Armie qualunque espressione facciale lasciando solo ai suoi occhi la possibilità di esprimere il dolore, la delusione, la rabbia. Un po' meglio va con lo stesso Hoover e con la sua segreteria Helen Gandy (Naomi Watts), che - pur sottoposti allo stesso trattamento - risultano anche da vecchi un po' più credibili e naturali. E vabbè che la critica ha voluto vedere in questo un gioco di mascheramento/smascheramento, ma sinceramente questa spiegazione mi pare un po' tirata per i capelli. E il ridicolo resta lì, proprio dietro l'angolo.
Passiamo adesso al personaggio di Hoover. In sostanza un disadattato, vittima di una forma acuta di paranoia e ossessività, legato da un rapporto morboso con una madre autoritaria (Judi Dench), ambizioso quasi al limite del delirio di onnipotenza, votato anima e corpo alla missione di liberare l'America dai suoi nemici, costretto nelle maglie strette dell'irreprensibilità di un'immagine pubblica al punto da soffocare per una vita la propria natura e i propri sentimenti. A parte il fatto inquietante che tale personaggio produce in me un ricordo molto sgradevole (evidentemente la realtà può addirittura superare la fantasia!), continuo a non riuscire a mandare giù l'estremismo senile di quel vecchio conservatore che è Clint Eastwood e che mi pare si ribalti integralmente sulla figura di Edgar.
Forse nella mente di Clint il tutto voleva essere sfaccettato e critico, ma alla fine per me non riesce a non risultare monodimensionale.
E poi, possibile che l'ossessione di Edgar per la catalogazione dei fascicoli dei criminali e degli uomini di potere debba essere messa in relazione con la sua presunta invenzione di un sistema di catalogazione/classificazione dei libri della Library of Congress, portando con sé l'inevitabile accoppiata bibliotecario/ossessività? Non sarò certo io a difendere una professione che ha contribuito a costruire il suo proprio stereotipo, però insomma... qualche bibliotecario/a non patologico esiste ;-)
E infine: insomma, cos'è che esattamente Eastwood voleva comunicarci con questo film? Una riflessione critica sull'America di oggi dimostrando la ricorrenza di una specie di difetto di fabbrica? La pietas umana per un uomo vanaglorioso e fragile fino a tramutare il disprezzo che suscita in compassione se non addirittura ammirazione? L'intreccio inestricabile tra la storia di una nazione e quella dei singoli individui che l'hanno fatta? La complessa dinamica pubblico/privato?
Ammetto di non essere in grado di fare una recensione seria di questo film. E non è la prima volta che mi capita con i film di Eastwood, in cui il l'involontario ridicolo e il nonsenso dell'eccesso di senso sono sempre un po' in agguato.
Scusate, il pregiudizio ha preso il sopravvento.
Voto: 2,5/5