"per lavorare con la psiche ai suoi livelli più fondamentali, dobbiamo immaginarla come la immaginavano gli alchimisti, perché entrambi, noi e loro, abbiamo a che fare con un processo analogo che si manifesta con un analogo repertorio di immagini" (J. Hillman, Psicologia alchemica, 2013, pp. 15-16)
Il fattore di maggior evidenza dei Tarocchi, sta appunto nel fatto che essi rappresentano un libro del tutto figurato, un repertorio di immagini: potenti "correnti" canalizzatrici del flusso animico" e così di messaggi che vanno restituiti al mittente. A chi su di essi vi pone l'attenzione.
All'interno della prospettiva di una psicologia alchemica si tenta di sciogliere immediatamente il nodo cardine riferito ad ogni discorso psicologico, ossia "la presenza di anima", di qualcosa che non si tocca come si toccherebbe un mattone, ma che offre alla realtà il suo peso specifico. Implicito il fatto che se l'anima non esistesse, ogni discorso psico-logico sarebbe una mera speculazione.
Ma ... Se l'anima esiste? In che termini, con che linguaggio la possiamo avvertire? E cosa, da essa, ci viene offerto? ("da essa", poiché: siamo noi dentro la psiche).
Alla seconda domanda risponde questa affermazione di Hillman, che sembra non dire ed invece dice molto. Su anima:
"... quel fattore umano sconosciuto 1) che rende possibile il significato, 2) che trasforma gli eventi in esperienza, 3) che si comunica nell'amore"
Sono questi tre momenti nei quali l'anima si fa presenza, e così il mondo pare uscir(ne) fuori, manifestandosi con significato: poiché qualcosa che prima era generico (un evento) diventa ora una "mia" esperienza. Comunicata nell'amore.
Ciò che intende un alchimista è dare corpo a quest'amore, rivelare la materia dell'anima, e così i suoi processi. È dunque in tutto questo corpus (corpo, materia, processi), nella sua, appunto, animata complicazione, che ne riconosciamo la presenza.
In qualche modo arriviamo a dire che non è possibile un'osservazione diretta dell'anima - come se ad esempio comparisse sotto le mentite spoglie di un gene, il gene dell'anima -, poiché essa richiede sensibilità per i movimenti, i colori, le percezioni.
Occorre - questa l'idea della Psicologia Alchemica - un linguaggio che si sviluppi non tanto nell'ipertrofia di un "razionalismo concettuale", con tutte le moderne parole della psicologia: l'Io, traslazione, compensazione, funzione sentimento; quanto piuttosto un linguaggio che sia "tecnologia", "fare", "attività artigianale". Si "incorporano eventi che si possono toccare e vedere", e che sono altrettanti stati dell'anima.
Sono esempi le gradazioni di calore: sterco di cavallo, della sabbia, il calore di un metallo; i recipienti alchemici: "le forme animiche nelle quali viene lavorata la nostra personalità", ecc. ecc.
Si tratta di trasformare un linguaggio di termini-concetti sostanzializzati, col fatto che "la psiche si comporta sempre in comportamenti ed esperienze specifiche, e in immagini sinuose assai precise" (p.21). Parole-gesto, parole-immagini, parole-cose, così si arriva a riattivare la nostra capacità di "vedere" l'anima, a potere sfuggire dalle nevrosi di un linguaggio tanto nominale, quanto astratto, univoco.
Concrete, infine, sono le parole per indicare le operazioni che si compiono nella lavorazione della psiche (p. 21). Calcinare le passioni per ridurle ad essenze secche, oppure far vaporizzare gli annebbiamenti.
Prendiamo atto - è una parte di significato di questa Introduzione - che
[...] i concetti psicologici sono, come dice Jung, "irrilevanti in teoria", ma lo psicologo" deve liberarsi dell'assai diffusa illusione che il nome spieghi in pari tempo il fatto psichico a cui si riferisce (p. 19)
Altrimenti che succede? Niente terapia. "Il linguaggio alchemico è una modalità di terapia; è terapeutico in sé".
... continua