Le immagini di una vita esplodono sullo schermo, come forze eterogenee che si sovrappongono, si sfiorano e finiscono per fare l'amore. I cinquanta minuti del film di Andrea Tonacci su Andrea Tonacci sono quelli più elevati, incredibili e cinematografici visti non solo al festival di Roma ma in tutto questo 2014 di visioni (almeno insieme ai venti minuti scarsi che compongono lo straordinario "O Velho do Restelo" di De Oliveira visto a Venezia). Se è vero che il cinema è flusso organizzato di pensieri proiettati su grande schermo, l'opera di Tonacci è l'intagliatura progressiva, asistematica di un magma d'immagini mentali e ribollenti. Il montaggio si rivela scrittura di un'emozione, dove Tonacci orchestra le inquadrature mai viste di un'intera vita. Ciò che gli interessa è tutto ciò che è liminale, o, ancora meglio, il fuoricampo del pensiero, l'immagine scartata e mancante. A rendere monumentale il suo film è una sorta di costruzione asimmetrica di un archivio ideale, con cui poter ricostruire il mondo - o l'altro mondo, quello non assimilabile all'interno di qualsivoglia cornice. Alla ricerca del tempo perduto, dell'immagine lontana e negata, perfino del video delle vacanze, per poter edificare la danza dimenticata della luce (o, se volete, quell'enorme edificio della memoria di cui scriveva Proust). Un fluido passaggio di frammenti che agiscono come per effetto di una memoria involontaria. Sono le immagini le uniche in grado di costruire una cinestoria parallela: dei pesci si sovrappongono agli alberi e al cielo, mentre noi, occhi spaesati alla ricerca di un cuore, percorriamo lo schermo come fosse una distesa infinita. Le sovrimpressioni e le dissolvenze svelano il segreto inconfessabile di un'immagine-matrioska. Sbirciare all'interno della matrioska e perdervisi, questa è la sensazione che restituisce "Já Visto Jamais Visto".
Já Visto Jamais Visto di Tonacci Quando le immagini fanno l'amore
Creato il 26 ottobre 2014 da SamuelesestieriLe immagini di una vita esplodono sullo schermo, come forze eterogenee che si sovrappongono, si sfiorano e finiscono per fare l'amore. I cinquanta minuti del film di Andrea Tonacci su Andrea Tonacci sono quelli più elevati, incredibili e cinematografici visti non solo al festival di Roma ma in tutto questo 2014 di visioni (almeno insieme ai venti minuti scarsi che compongono lo straordinario "O Velho do Restelo" di De Oliveira visto a Venezia). Se è vero che il cinema è flusso organizzato di pensieri proiettati su grande schermo, l'opera di Tonacci è l'intagliatura progressiva, asistematica di un magma d'immagini mentali e ribollenti. Il montaggio si rivela scrittura di un'emozione, dove Tonacci orchestra le inquadrature mai viste di un'intera vita. Ciò che gli interessa è tutto ciò che è liminale, o, ancora meglio, il fuoricampo del pensiero, l'immagine scartata e mancante. A rendere monumentale il suo film è una sorta di costruzione asimmetrica di un archivio ideale, con cui poter ricostruire il mondo - o l'altro mondo, quello non assimilabile all'interno di qualsivoglia cornice. Alla ricerca del tempo perduto, dell'immagine lontana e negata, perfino del video delle vacanze, per poter edificare la danza dimenticata della luce (o, se volete, quell'enorme edificio della memoria di cui scriveva Proust). Un fluido passaggio di frammenti che agiscono come per effetto di una memoria involontaria. Sono le immagini le uniche in grado di costruire una cinestoria parallela: dei pesci si sovrappongono agli alberi e al cielo, mentre noi, occhi spaesati alla ricerca di un cuore, percorriamo lo schermo come fosse una distesa infinita. Le sovrimpressioni e le dissolvenze svelano il segreto inconfessabile di un'immagine-matrioska. Sbirciare all'interno della matrioska e perdervisi, questa è la sensazione che restituisce "Já Visto Jamais Visto".
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