Jack Reacher

Creato il 07 gennaio 2013 da Veripaccheri
"Jack Reacher. La prova decisiva"/"Jack Reacher"
di: C. McQuarrie
con: T. Cruise, R. Pike, R. Jenkins, W. Herzog, R. Duvall
- USA 2012 -
130'
Il corpaccione dell'"action-thriller" americano s'irrobustisce grazie
all'iniezione di energia fornitagli all'alba di questo nuovo anno da "Jack
Reacher. La prova decisiva" di Christopher McQuarrie - già Oscar per la
sceneggiatura de "I soliti sospetti" (1995) dell'amico Singer e autore in
proprio di "Le vie della violenza" (2000) -
Nella lunghissima e archetipica tradizione del nuovo-sceriffo-in-città o del
lupo solitario dal passato misterioso che irrompe, riequilibra i torti e torna
in quel luogo vago tra il nulla e il mito, che annovera classici di peso - "Il
cavaliere della valle solitaria" (1953) di Stevens - intuizioni definitive -
"Sentieri selvaggi" (1956) di Ford - e riletture puntuali quanto austere e dai
toni ora intimisti ora sarcasticamente cinici, tipo gli eastwoodiani "Lo
straniero senza nome" (1973) e "Il cavaliere pallido" (1985), McQuarrie
orchestra attorno alla figura del vecchio ragazzo Cruise e alla consueta trama
complottistica speziata d'interessi inconfessabili, un film che, al netto degi
stereotipi e delle convenzioni del genere - stereotipi e convenzioni, e' bene
dirlo, per una volta rispettati e non calpestati - risulta di chiara
compattezza narrativa e stilistica, qualcosa di semplice e lineare, di
centrato, nervoso dall'inizio alla fine, come oramai non siamo più avvezzi
(disposti ?) a vederci recapitare sugli schermi.
Eppure McQuarrie (dopo il più che mezzo passo falso de "Le vie della
violenza") riesce non tanto e non solo a stringere i tempi, quanto a
concentrare la messinscena, a tenere i piani chiusi addosso ai personaggi, a
non dare tregua, facendo serpeggiare la tensione anche nei momenti più
didascalici. Allo stesso modo, prosciuga la violenza degli aspetti più
sciaguratamente rocamboleschi e reiterativi, stilizzandola, rallentandola
impercettibilmente, arrivando a concedersi persino delle finezze: il pulsare
sordo ma pervasivo del commento sonoro; la rarefazione e diffusione della luce
nelle scene diurne all'aperto che regalano un tono astratto e insidioso alle
sequenze. E poi la presenza ieratica quanto sinistra del supremo Werner Herzog
nei panni di uno spietato deus ex machina avido più di vita che di prebende (un
omaggio sincero, quindi, al più irrequieto dei registi); come una convulsa
scena d'inseguimento in auto che riconciliandosi con precedenti illustri - da
Hill passando per Friedkin fino a Cameron - culmina in un sottotono sardonico
quasi dissacratorio.
Dal canto suo, Cruise, attore dai limiti espressivi precisi ma d'altrettanto
solida pratica cinematografica, corpo-in-azione degli anni '80, si spende col
consueto professionismo e aderenza mimetica al "clima" della storia nel ruolo
dell'antieroe e variante fuori controllo Reacher, ispessendone le vicende, al
tempo stesso, con un disincanto laconico più affine a certe impassibilità
beffarde del poliziotto targato Eastwood che al dinamismo
funambolico/tecnologico dell'Ethan Hunt e delle sue "missioni impossibili", e
con una specie di generale stanchezza, di "lontananza", in tutto e per tutto in
linea con questi nostri tempi travagliati e opachi.
McQuarrie, così, rovistando in un magazzino di attrezzi a dir poco ben
fornito, rispetta lo schema classico misfatto/indagine controcorrente/resa dei
conti, non si esime dal riproporre certe ovvietà dell'estetica muscolare di
qualche decennio or sono ma corrobora tutto con curiosi momenti di fredda
sospensione, di impalpabile cupezza, figlia - con le infinite debite
proporzioni e i distinguo del caso - delle torsioni estreme impresse al genere
da gente della stoffa di Mann e, per altri versi, da Gray e dai nuovi/vecchi
stilemi di Winding Refn.
Popcorn e coca-cola, insomma. Ma occhi aperti.
TFK

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