Stiamo parlando di figure essenziali come Federico Fellini, Achille Campanile o Aldo Palazzeschi, e fra queste c’è anche Benito Jacovitti. Fumettista fra i più prolifici della nostra tradizione, i suoi lavori bizzarri e surreali sono stati onnipresenti per tutta la seconda metà del secolo scorso, infettando le pagine delle riviste che ne ospitavano le tavole con uno stile ricchissimo di particolari ma semplice e quanto più possibile “fumettoso” allo stesso tempo, con il suo umorismo anarchico e nonsense.
Inutile qui fare un elenco dei personaggi creati nel corso della lunghissima carriera, per uno sguardo d’insieme sulla vita e sui lavori dell’autore è più pratico leggere la biografia preparata da Comicsblog:
Benito Franco Iacovitti nasce a Termoli, in provincia di Campobasso, il 9 marzo 1923, la J sostituirà la I nel suo cognome appena iniziata la carriera artistica. Adolescente si iscrisse al liceo artistico di Firenze dove disegnò le prime vignette per i suoi compagni, Franco Zeffirelli era uno di questi; e per guadagnare qulcosa iniziò a disegnare caricature, prima per i soldati tedeschi, e alla fine della guerra, per i soldati americani. Iniziò a Firenze la collaborazione con il settimanale umoristico Il Brivido e con il famoso giornale per ragazzi Il Vittorioso, che lo vide pubblicare fino al 1967. Nel 1946 si trasferì a Roma,dove conobbe e collaborò con Marchesi, Metz, Fellini, Mosca, Steno, facendo i ritratti e caricature per gli americani. Erano i disegnatori del Bertoldo e del Marc’Aurelio, i giornali di satira dei primi anni quaranta, sempre nella capitale iniziò la realizzazione del ‘Diario Vitt’ per la casa editrice A.V.E. Dal 57 al 67 lavoro’ al supplemento ragazzi de Il Giorno, ed e’qui che il 28 marzo del 1957 nacque Cocco Bill. Diventato un disegnatore di fama, Jacovitti collaborò dagli anni ‘60 fino alla fine degli anni ‘80 con numerose riviste, tra cui si possono citare: Linus, l’Europeo, il Male, Cuore e Tango. La sua produzione, caratterizzata da uno stile grottesco e caricaturale, ha spaziato negli anni dal fumetto per ragazzi al genere erotico, dalla pubblicità ( i famosi carosello) alla satira politica, smarcandosi sempre rispetto ai luoghi comuni e agli schieramenti più seguiti.
L’opera di Jacovitti sta negli ultimi anni tornando sotto alla luce dei riflettori grazie al dignitosissimo recupero svolto da Stampa Alternativa, che ha riportato in libreria molti dei lavori più importanti del fumettista, spesso con introduzioni dettagliate e apparato critico che aiutano a contestualizzare al meglio le opere.
Sono due le ragioni che – già da prima della sua scomparsa – facevano sì che questo autore non venisse granché considerato, o venisse dato per scontato, dai più: la mancanza di ristampe di buona qualità (a parte alcune pubblicazioni di lusso per appassionati) e un’errata interpretazione della sua figura, troppo spesso considerato un fumettista “di destra“. Sono fatti che vengono sottolineati anche dall’esperto di comics Andrea Voglino, nel commentare una raccolta uscita di recente:
In gioventù, non è che Jacovitti mi sconfinferasse più di un tot. Troppo legato alle interminabili mattinate bruciate sui banchi di scuola, e dopo quelle alla nomea di autore “di destra” che il nostro sfoggiava con nonchalance. Ma anche troppo prolifico: a metà degli Anni 70, Jac sfornava idee, personaggi, strip, libelli e libroni a getto continuo, e sfuggire alle sue mattane cicciose era praticamente impossibile. Un po’ come oggi riuscire a rimettere mano su tutto quello che il pagliaccio di Termoli ha prodotto in una carriera durata dal ventennio al nuovo millennio. Un’impresa complicata dalla quantità della produzione jacovittiana […]ma anche dalla qualità delle ristampe, spesso tutt’altro che eccelsa. Per fortuna, ogni tanto qualche editore prova a metterci una pezza. Vedere, per credere, Beppe & Co. di Nicola Pesce Editore, in tutte le librerie specializzate a € 17,90: una ricca raccolta delle satire sociali interpretate dall’anonimo signore con baffi a spazzola e cappello creato dal Benito nel decennio dell’austerity e delle stragi di stato.
Per capire al meglio le caratteristiche fondamentali dell’opera di Jacovitti, ma anche il perché dell’incomprensione che per decenni l’ha fatto etichettare sotto determinate fazioni politiche, risulta di grande aiuto uno sguardo sulla personalità eccentrica e fuori dai ranghi dell’autore stesso. Risulta quindi utilissimo il ricordo di Fabrizio Mazzotta, che racconta un incontro di ormai diciassette anni fa:
Era il 1993, non proprio pochi mesi fa, e grazie a un amico riesco a mettermi in contatto con Benito Jacovitti che, peraltro, abitava a poca distanza da me. L’occasione era troppo ghiotta: passare un pomeriggio con uno dei più grandi autori del fumetto! Lo stesso Jac che leggevo sulle pagine del “Corriere dei piccoli” e di cui ammiravo il genio e la sregolatezza, nonostante la mia giovanissima età. Insieme ad altri appassionati di fumetto chiediamo a Jac se ci concede un intervista per FdC e lui è ben lieto di accettare. Intervistarlo non fu facile: quando inizia a parlare è un fiume in piena di parole, aneddoti ricordi e facezie varie. Col senno di poi forse non tutte erano veritiere, forse si divertiva garbatamente a prenderci in giro inventando storie fantastiche e incredibili proprio come ha sempre fatto disegnando i fumetti in maniera particolare, con lo stile che contradistingue l’artista dall’artigiano. Un vero artista “folle” e geniale anche nella vita! Fa gli scherzi per citofono, fa le linguacce, parla delle donne con l’entusiasmo di un adolescente e continua a fumare sigari marca Apostolado. ” Io ho quattro nomi, tutti da dittatore _ dice _ Benito, Franco, Giuseppe e Antonio ( del Portogallo). Ci mancava soltanto che mio padre mi mettesse nome Adolfo!”
Questo riferimento nel ricordo di Mazzotta ci introduce nelle parole stesse del fumettista il tema politico. Al particolare del nome di battesimo si riallaccia anche Roberto Alfatti inquadrando più precisamente l’autore nel panorama storico e politico dell’epoca:
Suo padre, che l’aveva battezzato Benito, era certamente un fascista, ma lui nel 1940, quando cominciò a disegnare professionalmente, aveva meno di diciassette anni e già era più che fascista… un irregolare. Era cioè un qualunquista antemarcia. Con un’intera epoca storica in anticipo su Guglielmo Giannini, che fondò prima il settimanale L’Uomo qualunque e poi l’omonimo movimento politico solo alla fine del 1944, il giovane Jacovitti in realtà diffidava della politica fin dal 1940. Quando disegnò per il giornaletto cattolico il Vittorioso la storia di Pippo e gli inglesi, la prima avventura di Pippo, Pertica e Palla, già non riusciva a prendere sul serio nemmeno la guerra che era sul punto di scoppiare. (…) Jacovitti non fu un seguace ma un allegro eretico del qualunquismo, come Guglielmo Giannini, il fondatore dell’”Uomo qualunque”, giornalista e commediografo, nonché portatore di monocolo, aveva battezzato una weltanschauung vecchia come il mondo. Ma Jacovitti, diversamente da Giannini, aveva capito l’essenziale anche della critica alla partitocrazia, cioè che costa più di quanto renda e che anche il qualunquismo, alla lunga, è politica. Non a caso Goffredo Fofi ha accostato Jacovitti agli scrittori che ci hanno spiegato la grande truffa italiana del secondo dopoguerra, «con occhio acutissimo e con più profonda saggezza di altri, troppo ideologici: Savinio, Alvaro, Brancati, Moravia, Flaiano». Ai quali potremmo aggiungere anche Leo Longanesi, Stefano Vanzina, Federico Fellini o Mino Maccari… Come anche il grande Achille Campanile, come Giovanni Mosca, come Giovannino Guareschi, Jacovitti era sì un umorista ma anche un po’ un filosofo. (…) Agli occhi di Jacovitti l’ideologia, quale che fosse, quella dei vinti come quella dei vincitori, era pappa di gesso, e se ne prendeva ferocemente gioco. Jacovitti non si lasciava incantare dalle autocritiche né dalle esaltazioni reciproche. Rubricava tutte queste penose metamorfosi dell’ideologia alla voce “Eia Eia baccalà”. O alla voce “raglia, raglia, giovane Itaglia”, che gli costò la sospensione del fumetto antipolitico a puntate che gli era stato commissionato da Linus, il giornalino del Sessantotto caviar.
Ancora nell’intervista di Mazzotta, Jacovitti ribadisce in maniera non dissimile le sue posizioni ed anche le sue frequentazioni illustri:
E’ famoso il suo periodo a “Linus” dove venne addirittura censurato! ”Il personaggio di Gionni Peppe non me lo censurò la redazione ma i lettori che mi hanno accusato di essere fascista. Creavo delle situazioni contro l’ultra sinistra e l’ultra destra; infatti io sono un liberale, un estremista di centro! Ho ricevuto molte lettere di minacce dalla sinistra e delle telefonate con minacce di morte dall’estrema destra fascista: Ma io gli rispondevo sghignazzando e loro minacciavano di farmi la pelle. Venite pure! _gli rispondevo _ Ne ho tanta di pelle!” …”Ma dopo la guerra, nel 1946, ho progettato tanti giornali insieme a un gruppo formato da Age, Scarpelli, Metz, Fellini… Magari duravano solo due o tre settimane e poi fallivano. Ne ricordo uno , il “Don Basilio” ( al quale però non ho collaborato) che era un giornale anti clericale ed è durato due anni. Dopo la guerra l’Italia era divisa in due parti: il Fronte Popolare e la parte cattolica, cioè la Democrazia Cristiana. Poi c’era un piccolo partito: il partito dell’Uomo Qualunque” che è citato anche nella mia storia ” Battista l’ingenuo fascista”. Lui tenta di entrare in diversi partiti ma non ne trova nemmeno uno che faccia al caso suo. Una storia attuale.
Lo stesso racconto, risalente all’immediato dopoguerra, viene citato anche da Luca Boschi commentando il saggio Fumetti e Nazifascismo di Pier Luigi Gaspa uscito lo scorso anno. In quest’occasione le parole di Jacovitti sono di intransigente condanna, non solo del fascismo in sé ma anche e principalmente verso chi segue ciecamente l’una o l’altra parte:
Per commentare le parole di Pier Luigi, posto un po’ di vignette di quel genio creativo che fu Benito Jacovitti, tratte dal più volte citato, ma semisconosciuto episodio Battista l’ingenuo fascista. Paradigma del pressappochismo e voltagabbanismo tutto italiano che… fa male quando qualcuno ha il coraggio di metterlo su carta, trasformandolo in uno specchio deformante che non tutti sono disposti a digerire. Jac non lo manda a dire, e si rivolge direttamente al lettore italiano quando ne fustiga l’ipocrisia apostrofandolo in modo solenne e tragico: “Guarda bene tra la folla acclamante, ti riconoscerai! Tu mi dirai che sì, ci sei stato, ma capirai… La cartolina rossa… Ero costretto. … Ma come?! 45 milioni di italiani costretti? (…)”
Non stupisce quindi che, interpellato nel 1992 in occasione della ristampa in formato maxi di alcune storie degli anni settanta, l’ancora attivissimo Jacovitti dicesse: “Io sono un estremista di centro. Odio tutte le dittature, di qualsiasi colore. Pensi che, quando posso, leggo Anarchia, che si trova solo nei centri sociali. Io amo la vera anarchia, quella delle origini, quella che amava il popolo“.
A forza di sottolineare le sue posizioni, si rischia però di far sembrare che la componente politica e sociale fosse quella predominante nei lavori di Jacovitti. In realtà questa caratteristica non è che conseguenza di quel voler stare per forza fuori da ogni seminato che contraddistingueva la personalità dell’artista, ed è proprio questo che determina anche il suo senso dell’umorismo surreale e il suo tratto riconoscibilissimo ed altrettanto improbabile. Nel blog di Bartolomeo Di Monaco troviamo un’analisi a tutto tondo di Jacovitti risalente al 1970, tratta dall’Enciclopedia dei Fumetti pubblicata da Sansoni, che sottolinea proprio queste caratteristiche sapendone cogliere sia i lati positivi che i primi segnali dell’inevitabile ma naturale declino che avrebbe caratterizzato i suoi ultimi anni:
Nemico dichiarato degli spazi bianchi, infarcisce le sue tavole di personaggi di tutti i tipi, in una ordinata confusione di grande effetto. Il suo umorismo è fatto di battute spesso facili, ben lontane dall’intellettualistico impegno della scuola americana. Strisce per sorridere e non per riflettere, quindi, per un divertimento fine a se stesso, ma non per questo meno gradevole. (…) Con la sua sbrigliata fantasia Jacovitti spesso ricerca nella cronaca quotidiana gli spunti per le sue affollate e sorprendenti storie. Indubbiamente possiede uno spiccato senso della parodia, dell’imitazione grottesca, della graffiata impertinente: reinterpreta, attraverso il filtro dell’umorismo, la realtà che lo ha ispirato, cogliendone sotto forma di caricatura gli aspetti emblematici. Negli ultimi anni Jacovitti ha perso in parte questa sua capacità di scavare negli avvenimenti, parodiandoli. Tuttavia gli è rimasto immutato il legame con la realtà quotidiana, rivissuta con trascinante fantasia. Forse il suo non è più un umorismo che giudica, ma si limita a raccontare, senza impegno, tra scoppiettii di battute e di personaggi, la vita. Il mondo di Jacovitti è un mondo solo suo in quanto egli lo rappresenta con uno stile personalissimo: acutamente Carlo Della Corte ha scritto che « piaccia o no, Jacovitti ha creato un tipo di fumetto esclusivamente suo, a sua immagine e somiglianza, infischiandosene di tutti i canoni e di tutti i distinguo enunciati dai più sottili esteti».
Quest’ultimo parere riecheggia in quanto scritto quasi quarant’anni più tardi, in un post del blog di Stampa alternativa del 2009:
Benito Jacovitti è un autore importante del nostro fumetto, dotato di stile originale fatto di horror vacui, terrore assoluto per la pagina bianca che tempesta di salami, vermi, cactus, teschi di animali e improbabili intermezzi comici. Un autore che ha rappresentato la nostra fanciullezza, ma che sprizza modernità da ogni pagina.
In fin dei conti la caratteristica più visibile di questo talento irrefrenabile e stakanovista della matita altro non è che l’horror vacui: quel dover riempire a tutti i costi ogni angolo delle sue tavole è la chiave per comprendere lo stile grafico di Jacovitti ma anche, come leggiamo in una frase riportata da Graziano Origa, la sua psiche. Queste infatti le parole sorprendentemente sincere del grande umorista:
«Fui, sono e sarò un clown. Continuerò a disegnare nell’aldilà. Ho paura del nulla. Quando cominci a capire che di là non c’è nulla, inizia la paura. Quando cominci a entrare nel nulla…Questo mi fa paura»
Un’indole da discolo, da burlone, che non era capace di smettere di disegnare né di farci divertire, facendoci capire che l’assurdo è evidente in ogni cosa. Un talento che creava universi con la matita, e che oggi possiamo finalmente riscoprire.
(Questo articolo è stato pubblicato su Liquida Magazine)