2011
Caro, Jamie, ti scrivo perché il tuo soul-dubstep mi eccita, mi fa ribollire, mi fa bagnare, mi fa zampillare come una fontana, come quella davanti al Bellagio di Las Vegas. Quando sento i tuoi beat pulsanti immagino che ritmicamente entrino dentro di me, da dietro, con vigore e, di colpo, perdo la testa, letteralmente, come se non riuscissi più a sostenerne più il peso, come se fossi un pupazzo di pezza. E le tue labbra soffiano alito caldo che forma parole dolci e levigate, come il fumo d'incenso, che mi avvolgono e mi succhiano, mi drenano, mi spompano. "Mirrorwriting" non è una marchetta su un appiccicoso sedile di un cinema porno, "Mirrorwriting" è un harem da mille e una notte dove la lussuria luccicante impala ogni pensiero che non riguardi l'hic et nunc. Un posto dove rifugiarsi e godere secretamente dopo che tutti sono andati a dormire.Non sono gay, mi piace la potta, ma la voce al gusto nettare e ambrosia di Jamie Woon per 45 minuti fa diventare le mie orecchie bi-curiose.
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P.S.: questa recensione ambigua è dedicata all'odierno EuroPride