Siamo imperatori della sconfitta, l'arte è riconoscere la bellezza di un fallimento. E' proprio lui a definirsi il Cavaliere della Disperazione, Jan Fabre, artista visivo, scultore, coreografo, drammaturgo, regista, performer, tra i protagonisti più visionari e innovatori della scena europea. Nato nel 1958 ad Anversa dalla fine degli anni Settanta si esprime con una vasta gamma di linguaggi che spaziano dalle arti plastiche al video, dal teatro alla coreografia. Jan Fabre è nipote del famoso entomologo francese Jean-Henri Fabre da cui ha ereditato la curiosità per il mondo delle scienze naturali e la passione per gli insetti, in particolar modo dei coleotteri che popolano la sua fantasia e il suo lavoro
Sono proprio questi insetti che per Fabre realizzano l'eterno mito della trasformazione e della rigenerazione del mondo della natura e della condizione umana. La metamorfosi diventa metafora della missione dell'opera dell'artista. Appassionato di scienze, nel suo percorso si ricollega alla tradizione pittorica fiamminga, dalla fantasia surreale e brulicante di Bosch e al realismo allucinatorio di Jan Van Eyck, approfondendo la ricerca sul corpo, le metamorfosi e i confini tra vita e morte, i passaggi cruciali di ogni condizione esistenziale.
E' il corpo l'ombelico della sua ricerca, inteso sia come realtà fisica che come dimensione mentale ed esistenziale. L'indagine sulla natura umana svela le sue necessarie fragilità e mortalità, ripercorre il nostro faticoso e impossibile percorso verso il superamento di questa precarietà, che passa attraverso i temi cari alla tradizione fiamminga: la follia, la malattia, la morte, la dolcezza del peccato, la rigenerazione, la forza spirituale. L'uscita dalla realtà, dalla materialità è l'unica metamorfosi possibile, spuntano le ali immaginarie di una dimensione spirituale capace di metterci al riparo dalla sofferenza.
Jan Fabre rivela come l'adolescenza delle sue interpretazioni artistiche sia stata contenuta nelle stanze irreeali della pittura fiamminga: "Ho scoperto presto Van Eyck, Van Dyck; ho rubato l’inventiva e la festa dell’immaginazione a quel genio poliedrico di Peter Paul Rubens; mi sono nutrito del gusto del rischio e del dettaglio di opere come Il trionfo della morte di Bruegel il Vecchio o La nave dei folli di Hieronymus Bosch"
Ma qual'è l'obiettivo di Jan Fabre? Qual'è la vera meta dell'artista? Esiste un punto di arrivo all'interno dei canoni conosciuti e delle tradizioni, oppure è indispensabile andare sempre oltre, dismettendo in qualche modo il passato? Se l'arte deve infrangere qualcosa, quale area della realtà può riuscire a forare, trapassare con le proprie lunghissime punte? E' l'artista stesso a chiarire questo punto: "Essenzialmente un artista non infrange limiti ma preme l’ago sulla pelle solleva un fazzoletto e spinge la punta del coltello contro la superficie tesa, verifica senza lacerarla l’elasticità del tessuto. Mantiene la consapevolezza del passato; l’avanguardia più estrema è radicata nella tradizione, niente è per la prima volta, i maestri antichi sono i veri sovversivi ed è con loro che mi confronto quando lavoro a una scultura o a un nuovo testo"
Fabre opera come un cesellatore di dicotomie, disegnando, costruendo, colorando e riprendendo il percorso tra irrazionale e razionale, tra speranza e angoscia, incubo e follia, piacere e dolore. Da questi contrasti nascono le immagini e le visioni plastiche dell'artista, i tessuti dei suoi salotti della sofferenza e delle illusioni, che lo spettatore percepisce, assimila con i sensi delle primordiali necessità di fuga dalla realtà, gambe e muscoli virtuali che l'artista rimette in moto, con i suoi semplici meccanismi. Con le sue opere, con i suoi colorati coleotteri, simboli di luce, di movimento e di ascensione. Simboli di metamorfosi.
Essenziale, nella comprensione del percorso artistico di Fabre, il concetto dell’Ora Blu, usato dal bisnonno per definire il momento di passaggio tra la notte e il giorno, quando gli insetti notturni vanno a dormire e si risvegliano quelli diurni. Sono proprio i passaggi tra varie realtà e emozioni a offrirci le configurazioni, le matematiche dei suoi lavori. L’interesse di Fabre per gli insetti è ampiamente testimoniato dal loro uso in diverse opere. Alcune immagini di questo articolo mostrano come l'artista si serva dei coleotteri e scarabei per formare le sue architetture filosofiche. La celebrazione più grandiosa di questa passione si trova nell’opera realizzata per il Palazzo Reale di Bruxelles, il cui soffitto è stato ricoperto da Fabre con milioni di scarabei.
Orrore, bellezza e metamorfosi si incontrano e scontrano continuamente nelle opere di Fabre, anche nelle sue piece teatrali. Un esempio è L’orgia della tolleranza presentata al festival di Avignone, con cinque grandi sale ospitano le cinque parti del corpo. La precarietà è un'altra protagonista, e i suoi teschi che mordono la vita ne sono assoluti e chiari testimoni. L'arte di Fabre sembra non poter fare a meno della provocazione per poter lanciare i suoi messaggi, raggiungere gli obiettivi, noi, questo ha portato all'artista molte critiche, per la rilettura della Pietà Michelangiolesca, per i soggetti del corpo umano e il sesso come apoteosi della danza del suo linguaggio, per l'uso di animali in molte sue installazioni. Offese alla tradizione e alla dignità, dazi che Fabre è costretto a pagare per portare avanti il suo viaggio, per riportarci il suo verde medioevo che ci trasforma.
Fabre è dunque diventato l'artista più inafferrabile, scandaloso ed esaltante del panorama visivo contemporaneo. Su questo i dubbi sono pochi: Un uomo che disegna con il suo sangue e le sue lacrime, che costruisce opere con corazze di insetti e ossa animali, che rende omaggio al padre e alla madre immortalandone i cervelli in forma di scultura, che mette in scena morte e metamorfosi, masturbazione e parto, sesso degli uomini e degli angeli, Cristi e Anticristi. Ma pensare a semplice provocazione sarebbe una lettura superficiale del medioevale e modernissimo Fabre, le sue riflessioni sulla politica, sulla pornografia e sul consumismo, che hanno generato le opere che più hanno destato scalpore e indignazione, ci mostrano un percorso chiaro, non una semplice opportunità di esibiziomismo "Guardo spesso la televisione, anche se la detesto. Ma bisogna pur conoscere il linguaggio del nemico. Quella notte restai fino all'alba seduto di fronte a immagini di violenza, perversioni e falsi orgasmi. E' lì che ho capito che la pornografia non è più devianza, ossessione, ribellione, ma una forma di controllo sociale. La tolleranza è diventata potere. La vulcanica energia del corpo simulazione. E da qui arriva 'Orgy of Tolerance' la messa in scena di una società che finge di permettere tutto, ma fa vincere la destra più sordida. La democrazia che ha il volto della dittatura, la trasformazione dei cittadini in passivi e ottenebrati consumatori di tutto, perfino del loro stesso corpo. Se questa la chiamate tolleranza, rivendico la mia intolleranza
Il cervello è un elemento protagonista delle opere di Jan Fabre. In Anthropology of a Planet (2007) prima, in From the Feet to the Brain (2009) poi, ancora in Pietas (2011), il cervello riveste una centralità concettuale ed estetica, e naturalmente estremamente simbolica, perché a sua volta rappresenta il centro del corpo, protagonista di tutte le riflessioni artistiche di Fabre. Le sue opere installative prendono dunque la forma di percorsi mistici, riti sacrali della visione che attraversano i diversi livelli di percezione dello spettatore e i diversi livelli fisici del corpo che vive quell’esperienza. Per comprendere l'opera di Fabre è illuminante una riflessione di Jan Hoet: "Il lavoro di Fabre è come uno scheletro a cui è stata aggiunta una membrana di luce. I carapaci dei coleotteri, che assorbono la luce solo per emetterla nuovamente, con una miriade di sfaccettature verdi, blu o arancio, a seconda della direzione della luce stessa e della prospettiva dello spettatore, assomigliano alle tessere di un mosaico tardo classico, alla potenza del loro colore limpido, eterno."
Nella interpretazione del percorso artistico di Fabre occorre tenere presenti la transitabilità delle sue opere ( dice l'artista: "Un fuoco che passa da un autore a un altro, un fuoco inalterato che avvolge una volta un’opera, una volta un’altra opera"), le valenze sociali connesse alle esperienze estetiche che sembrano essere predominanti, ma in fondo si tratta di semplici scheletri e gusci della sua rappresentazione del corpo e del viaggio dell'uomo verso il finito. Ma anche, e soprattutto, ciò che l'arte di Fabre riesce a raggiungere, in un virtuoso punto di unione di diverse strade e esperienze che fanno parte di una originale ragnatela: riunire in una collana di luminose perle i vari aspetti della creazione umana, la scienza, la tecnologia e l'arte.
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