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“Je m’appelle Tom”: il Sawyer di Istin e degli Akita bros.

Creato il 20 giugno 2012 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

I tempi, però, cambiano: difficile proporre alle nuove generazioni i corteggiamenti a base di gatti stecchiti e promesse di matrimonio di Tom e la sua banda di pre adolescenti ai ragazzi di oggi. Difficile farlo su libro, un po’ più semplice se ci provi con la nona arte.
E se ti affidi a Julien e Mathieu Akita, creoli a loro modo tra Francia e Giappone. Ne escono quattro tomi tra il 2007 e il 2010 (Becky Thatcher, Io Sarò Un Pirata, Colpo Di Scena, Il Tesoro di Capitan Kidd) per i tipi di Soleil che riduce a volume unico, ce lo fa pagare di meno rispetto a quello che hanno sganciato a Parigi e dintorni, e ne salta fuori un prodotto scorrevole, “Je m’appelle Tom”: il Sawyer di Istin e degli Akita bros.> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="204" width="95" alt="“Je mappelle Tom”: il Sawyer di Istin e degli Akita bros. >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-53555" />dove comunque si assiste ad un’evoluzione naturale soprattutto nel segno.

Dinamica, veloce, pochi fronzoli: la matita di Julien Akita prova ad integrare mondo americano di fine ’800 e immediatezza dei manga dentro i limiti dell’architrave strutturale delle bande dessinée. Superato il primo impatto di vedere vene stilizzate e goccioline di sudore, ne esce anche qualcosa di divertente. E’ un mondo di bambini, quello di Tom, e non si può pretendere di snaturarlo cercando di renderlo un fumetto mirato ad un pubblico principalmente adulto.
Certo va meglio nei primi due volumi: ci sono ingenuità, tipo Pierrot il gatto che diventa un Frattaglia che rimanda alle animazioni di Excel, ma c’è anche freschezza che, tolto l’occhio del critico feroce, dovrebbe soddisfare una lettura leggera.

“Je m’appelle Tom”: il Sawyer di Istin e degli Akita bros.> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="374" width="270" alt="“Je mappelle Tom”: il Sawyer di Istin e degli Akita bros. >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-53560" />Poi inizia a cercare piccoli preziosismi, a lambiccare troppo sulle chine, a “pulire” fin troppo il disegno, e toglie potenza ai colori sempre perfetti, a tratti commoventi nei paesaggi, del fratello Mathieu, che dà il meglio di sé nelle notturne, come quando Tom e Huck arrivano al cimitero e assistono all’omicidio del dottor Robinson.

La storia è quella del libro di Twain, senza margine di sbagli. C’è Tom. C’è Huck. C’è zia Polly. E c’è Becky. E Tom è innamorato di Becky. Ma Tom vuole fare il pirata. E Tom non vuole studiare come suo fratello Syd ma vuol diventare ricco con il tesoro di Capitan Kidd. E allora tutti contro Hinjun Joe per liberare l’incolpevole Muff.
È interessante come il punto di vista principale della vicenda, quello di Tom che diviene poi narratore interno, non risulti pedante anche grazie alla naturale simpatia del protagonista, ripetendo poi lo stesso esperimento che Twain stesso farà, passando da Le Avventure di Tom Sawyer a quelle di Hucklberry Finn, narrato in prima persona da Huck, con almeno cinque anni di studio per elaborare questo cambio di stile.

Nel complesso, si perde un po’ del pathos del romanzo, che pur emerge nei momenti bui della vicenda:

“Je m’appelle Tom”: il Sawyer di Istin e degli Akita bros.> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="391" width="279" alt="“Je mappelle Tom”: il Sawyer di Istin e degli Akita bros. >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-full wp-image-53559" />il tono scanzonato dei dialoghi senza il gusto della narrazione essenziale di Twain toglie drammaticità e certo l’intreccio disegno/script non può aiutare.
Ragioniamo sulla scena del cimitero, quando Tom e Huck scoprono il dottor Johnson, Muff e Hinjun Joe alle prese con la tomba di John Williams: bene i colori, scuri, cupi; bene le scene di collutazione, violente e con un uso interessante delle onomatopee, molto simili a quelle dinamiche dei manga ma meno invasive…
Poi primo piano sulle facce dei due ragazzi che assistono all’omicidio…
Bocche aperte, occhi a palla: caricaturali.
Ecco che una sequenza perfetta, ripresa poi con gran gusto con la pioggia finale, risulta meno potente di come l’aveva certo intesa l’autore. Colpisce quindi il disegno più della narrazione, quando è quello l’effettivo momento di svolta della vicenda… e colpisce non certo in positivo.
Un momento in cui invece si integrano alla perfezione è quando i ragazzi vengono creduti morti: la messa di commemorazione e i momenti che la precedono sono di un seppiato scuro che esplode solo alla fine, quando i malandrini si rivelano.

Insomma, Istin e gli Akita bros. sono un trio che sbaglia, ma nel complesso dell’opera funzionano. La prova di Cresti come traduttore è discreta:

“Je m’appelle Tom”: il Sawyer di Istin e degli Akita bros.> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="208" width="215" alt="“Je mappelle Tom”: il Sawyer di Istin e degli Akita bros. >> LoSpazioBianco" class="alignright size-full wp-image-53554" />mantiene il linguaggio semplice del libro attualizzandolo leggermente, con pochissime cadute di stile, a parte un “Fico” che lascia interdetti: un’espressione che difficilmente nel 1876 avrebbero usato. Bene la modernizzazione, ma con moderazione.

E’ il 2012. E ancora una volta c’è la possibilità di leggersi Tom Sawyer e trovare il modo di ridere, anche perché la questione della schiavitù è volutamente tralasciata da Istin, che introduce il nero Jim in pochissime sequenze. O il “negro” Jim. Perché Twain usa un linguaggio corrente nel 1876 e descrive la civiltà americana del suo periodo senza porsi troppi problemi sulle posizioni segregazioniste, che invece affronterà di più in Le Avventure Di Huckleberry Finn.

Julien Akita poteva concentrarsi di più sull’ultimo tomo, che risente di un’esecuzione meno accurata perdendo poi freschezza cercando una commistione esasperata tra stili ma, tolto il primo impatto che l’effetto manga occidentalizzato dà, ci si lascia andare e si ritorna un po’ indietro nel tempo, quando Becky era la ragazza che volevamo tutti.
O si scopre per la prima volta un romanzo che avvince, senza la presunzione di dover insegnare necessariamente qualcosa.

Abbiamo parlato di:
Le Avventure Di Tom Sawyer (Les Aventures De Tom Sawyer #1-4)
Jean-Luc Istin, Julien & Mathieu Akita
Traduzione di Stefano Andrea Cresti
Tunuè, collana Tipitondi, 2011
192 pagine, brossurato, colori – 18,90 €
ISBN 978-88-97165-22-4

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