(Usa 2012, 135 min., col., drammatico)
Mud è il nome del personaggio della nuova pellicola di Jeff Nichols, interpretato da Mattew McConaughey. Mud è il fango sulle rive del Mississippi in Arkansas. Mud è quello strato di terra che copre le emozioni umane. Mud è il colore della splendida fotografia di Adam Stone.
Due ragazzini dell’Arkansas, Ellis (Tye Sheridan) e Neckbone (Jacob Lofland), durante i loro giochi quotidiani s’imbattono in un uomo che si nasconde su un isolotto lungo il Mississippi: Mud. Subito affascinati, i due decidono di aiutare l’uomo senza sapere che le loro attenzioni implicheranno molti problemi.
Rimanendo ancorato alle sue tematiche predilette, “estetica”, “natura” e “psicologia”, Jeff Nichols sembra realizzare un film meno ambiguo dei suoi precedenti, più limpido e in grado di piacere a tutti. Forse perché ci sono in ballo dei ragazzini e il loro percorso d’iniziazione, forse perché i genitori di Ellis stanno per divorziare (un cliché?) e forse perché Mud è un cattivo-buono affascinante, un eroe per dei quattordicenni come Ellis e Neckbone, che si contrappone ai ruoli da antieroe timido e riservato fino ad ora affidati a Michael Shannon, qui nei panni di Galan lo zio di Neckbone. Insomma, forse proprio per questi motivi, chi aveva amato i fratelli di Shotgun Stories o le tempeste (nel senso letterale) psicologiche di Take Shelter può rimanere deluso da Mud.
Sia che si tratti dei campi dell’Arkansas di Shotgun Stories, dei cieli di Take Shelter o del Mississippi, Jeff Nichols ha un rapporto speciale e enigmatico con gli elementi naturali (degno successore di Peter Weir). Quei momenti in cui in Mud vengono inquadrati gli alberi lungo le rive del fiume, le albe, i tramonti o ancora la terra calpestata, non sono semplici immagini utili per dei raccordi in sede di montaggio, ma l’essenza di un cinema volto a dare il giusto peso estetico al contesto in cui s’inserisce una storia, trasformandolo in protagonista della vicenda. Si diceva, infatti, che Mud non è solo il nome dato al protagonista, ma è anche il fango sulle rive del fiume e il colore scelto da Adam Stone, ancora una volta direttore della fotografia per Nichols.
Per chiarire, invece, la continuità psicologia nel filone dei tre film di Nichols, oltre che quella naturale e fotografica già ricordata, è necessario considerare il ruolo dei personaggi interpretati fin qui da Michael Shannon. Non è perché in Mud egli non ottiene il ruolo da protagonista che il personaggio da lui interpretato risulta meno importante delle altre due pellicole, anzi. Il ruolo dello zio Galan è quello che più si avvicina alle psicologie espresse in Take Shelter e Shotgun Stories e che permette di legare le tre opere. Egli è enigmatico, silenzioso, schivo, saturo dal suo passato, ma ancora carico di emozioni. Galan è un pescatore povero che ha costruito il suo scafandro “che sa di ascella”, come ricorda il nipote Neckbone, per andare sotto la “superficie” del Mississippi a raccogliere le sue ostriche nella speranza che contengano delle perle. Galan soffre in silenzio, e lo mostra con la mimica, a causa della superficialità con cui i ragazzini (e fra questi si può includere lo stesso Mud) si stanno iniziando alla vita adulta, nonché dei guai in cui si stanno cacciando. Galan, invece, ha già superato la superficie (la superficialità), dell’acqua e delle emozioni, per andare in profondità della sua persona e per portare a galla la sua psicologia (ostrica/perla), mostrandola visivamente senza troppe chiacchere e solo per chi vuole vederla. È nel profondo che ci si scopre, non specchiandosi sulla superficie. È sott’acqua (e l’acqua del Mississippi è tutt’altro che limpida, così come è difficile nella vita trovare sé stessi) che si trova ciò che ognuno vuole. Ed è sott’acqua che Galan vede per primo il corpo inerme di Mud intento, finalmente, a iniziarsi inconsapevolmente alla vita adulta.
Se si vuole trovare in Mud ciò che si è visto nei suoi precedenti lavori, prendete ciò che si vede come qualcosa che non deve essere visto e ciò che non si vede, o appena, come qualcosa che vale la pena di essere notato. Si guardi con l’occhio di Galan.
Mattia Giannone