Jersey boys
Creato il 19 giugno 2014 da Veripaccheri
Jersey Boys
di Clint Eastwood
con Christopher Walken, Freya Tingley, John Lloyd Young, Jeremy Luke, Francesca Eastwood
Usa,2014
genere, musical, biopic
durata. 134'
In termini
cinematografici l'età può essere un concetto puramente anagrafico. A
dimostrarlo c'è la mentalità di autori che non finiscono mai di
sperimentare e di film che fatichiamo a collegare a un determinato
sguardo generazionale. A questo contesto appartiene di diritto Clint
Eastwood e il suo "Jersey Boys", opera che spiazza già in fase di
sinossi, presentandoci la storia dei Four Seasons, gruppo musicale che a
partire dagli anni 60 contribuì a comporre la colonna sonora di quel
periodo, ma non solo. Perché la storia di ragazzi senza arte ne parte
che diventano delle star del firmamento musicale e' anche la
celebrazione di un sogno americano, che Eastwood gestisce con insolita
leggerezza, adottando almeno nelle sue linee generali (perchè in questo
caso le musiche non sostituiscono i dialoghi dei personaggi) un genere
mai frequentato, il musical, che il regista riesce comunque a
contaminare della sua poetica. Abbiamo quindi la presenza massiccia
della "performance in diretta", delle esibizioni canore che testimoniano
l'excursus divistico dei personaggi ma anche la descrizione degli
aspetti privati, quelli che in un biopic - e Jersey Boys è
anche questo - consentono di scoprire l'altra faccia della medaglia.
Dettagli, questi ultimi, che nel film in questione, permettono a
Eastwood di riflettere sul prezzo del successo, ribadendo una pessimismo
esistenziale che il personaggio di Frank Valli, cantante del gruppo e
personaggio centrale della narrazione, incarna soprattutto nella dignità
con cui affronta i drammi della vita: da quello che decreta il
fallimento del rapporto amicale con Tommy, collega e mentore che non
riesce a mettere da parte il proprio ego, costringendo il gruppo a
sobbarcarsi il debito che ha con contratto con la mafia, alla morte di
Francine, la figlia minore di cui il cantante si sente in qualche modo
responsabile.
Ma "Jersey Boy" corrisponde a Eastwood per l'amore
sviscerato nei confronti della musica e per uno sguardo verso la Storia
di un paese, raccontato attraverso le contraddizioni di uomini che
hanno il coraggio di viverla fino in fondo: come capita a Valli, che
ritroviamo vivo e vegeto sul finire degli anni 90, pronto a esibirsi con
i vecchi compagni d'avventura. Qui la bravura di Eastwood consiste
soprattutto nel saper convivere con la mitologia del successo che il musical di Broadway (da cui il film è tratto) porta nel film con il suo mix
di cadute e di trionfi, e con aneddoti come quello della scelta del
nome d'arte (ricavato dall'insegna del negozio illuminata da un lampione
malfunzionante) che appartengono di diritto all'immaginario delle
carriere fuori dal comune. In una messinscena che non fa nulla per
nascondere la natura volutamente artificiosa - come risulta dalla
ricostruzione ambientale, piatta e poco storiografica - e una teatralità
manifesta nella predominanza degli interni, così come nella possibilità
degli attori di parlare rivolgendosi direttamente alla telecamera,
"Jersey Boys" rappresenta l'inno alla libertà di un regista che si
diverte a scherzare sul cinema, facendo il verso ai tough guys
di Scorsese, ripresi con toni da commedia dal boss interpretato da
Christopher Walken- e a ragionare sulla natura del cinema che, nella
passarella finale dei personaggi pronti a ricevere un ultimo applauso,
ci ricorda la particolarità di un'arte che fa dello spettatore il suo
indispensabile interlocutore.
(pubblicato su dreamingcinema.it)
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