L’altra sera fantasticavo con un amico su cosa ci saremmo dovuti aspettare dal nuovo film di Clint Eastwood. Omone con 84 primavere sulle spalle, regista affermato, noto per aver il polso deciso al punto di fare poche riprese (ma di quelle giuste), che quest’anno si è fatto travolgere in un progetto inconsueto: portare su grande schermo il musical di successo “Jersey Boys”.
Avremmo visto la versione romanzata o cantata della storia dei quattro ragazzi, cresciuti in un quartiere dominato del crimine, che hanno sorpreso il mondo finendo prima in cima alle classifiche poi nella Hall of Fame? E il cast, avrebbe annoverato attori dai volti noti al grande pubblico, oppure gli interpreti del musical, i cui sforzi sono già stati premiati con diversi Tony Award?
Tra una chiacchiera e l’altra ho scoperto anche che i gruppi vocali sono stati un fenomeno esploso negli anni ’50 e ’60, spesso nelle chiese, per lo più tra gli adolescenti di colore che si ritrovavano la sera, sotto i lampioni (davvero!), a cantare e, nel migliore dei casi, a incidere con piccole case discografiche canzoni che poi venivano sfruttate dai pesci grossi, in barba ai diritti e in assenza di contratti.
Una scena del film “Jersey Boys”
Photo: courtesy of Warner Bros. Entertainment Italia
Ma la storia di questi quattro giovani del New Jersey è davvero particolare. Prima di tutto per quelle origini non afro-americane, poi perché la loro prospettiva di vita era la premorienza nell’esercito o nel quartiere durante un regolamento di conti tra famiglie mafiose. Il loro talento, la tenacia e la fortuna, invece, hanno fatto si che gli eventi siano andati diversamente. Un vero “sogno americano” come lo intendiamo nel Vecchio Continente.
E la favola è davvero magica, a partire proprio dalle canzoni: successi che conosciamo, abbiamo canticchiato e probabilmente possediamo (per lo meno in qualche colonna sonora, posso scommettere, abbiate cover di “Sherry”, “Bye Bye Baby” e “Can’t Take My Eyes Off”), ignari che la versione originale risalga ai The Four Seasons. Appunto, chi erano i membri di quella che oggi sarebbe definita una Boy Band di successo planetario?
Queste sono le domande che paiono aver fatto breccia nel cuore del regista: avere l’occasione di raccontare la storia di persone che in pochi conoscono e di canzoni troppo spesso attribuite a chi le ha solo riproposte. E per riuscire a conquistare le platee, Eastwood ha deciso di non cambiare la squadra vincente. Gli interpreti sono, infatti, i medesimi che hanno calcato il palco per anni: Yohn Lloyd Young, Eric Bergen, Michael Lomenda e Vincent Piazza.
Una scena del film “jersey Boys”
Photo: courtesy of Warner Bros. Entertainment Italia
“Jersey Boys” aveva quindi tutte le carte per travolgere, divertire, far sognare gli spettatori, complice anche una fotografia lontana dal color seppia o dall’inflazionato stile vintage di Instagram. Incisa in modo da segnare l’epoca, con toni che riaffiorano man mano che gli anni si avvicinano ai nostri, quella scena sempre luminosa e quell’esubero di note si apprezzano e sono i solidissimi pilastri su cui poggia un’opera che rimane a galla grazie alla maestria di molti, ma che ha rischiato l’implosione.
Deboli appaiono le capacità di reggere la scena dei cantanti/ballerini, probabilmente efficaci su un palco di Broadway, ma poco convincenti con una telecamera puntata al viso; fastidiose le tante spiegazioni (quasi a temere che il pubblico si sarebbe smarrito); e appiccicaticcia la virata “casa e famiglia” sul finale. Un film disarmonico, quindi, non tocacante, nonostante mostri uno spaccato di vita molto americano.
Intrattenimento di alto livello che temo faticherà ad arrivare al cuore di coloro che, non essendo appassionati,a stento associano Frankie Valli e Bob Gaudio alla storia della musica. Clint Eastwood si merita quindi un applauso: è riuscito a rendere godibile una pellicola che in mano ad altri sarebbe stata un fallimento.
Vissia Menza