PARTE TERZA
Ma come, a Parigi e Londra non sei andata in aereo?, chiederanno i miei scafati e mondani lettori.
No, non ci sono andata in aereo.
Io ho paura di volare. Manco a dire che non abbia voli all'attivo, ma dopo una simpatica tempesta beccata su Amsterdam anni fa in cui l'aereo è rimasto un'ora e mezza a girare su Schiphol e quando tuffava il muso nelle nubi sembrava di essere sotto le bacchette di Keith Moon grazie a una gragnuola di chicchi di grandine grossi come palle da baseball, come dire, io e la vastità del cielo andiamo pochissimo d'accordo.
Per cui mi è venuta un'idea formidabile: treno dall'Urbe a Parigi, da lì il leggendario Eurostar (che ero curiosissima di prendere per via del percorso sotto la Manica), e al ritorno idem. Il prezzo non era folle: grazie a una serie di vantaggiose combinazioni, il costo finale era più o meno identico a quello di un volo più taxi dall'aeroporto, con il vantaggio di essere scodellati nel cuore della destinazione. Cosa volere di più?
Che Trenitalia, ad esempio, venisse acquistata dalla Martian Interplanetary Railroad. Perché giusto un consiglio d'amministrazione extraterrestre potrebbe risolvere il disastro in cui versano le nostrane ferrovie - e secondo me nessun dirigente marziano avrebbe la faccia di accettare le buoniscite milionarie di certa gente, ma ciò fra parentesi.
A seguire qualche notazione che spero sia utile a chi, come la sottoscritta, piuttosto che prendere l'aereo è pronto piuttosto a farsela a piedi. Che sarebbe comunque un modo di viaggiare più comodo e dignitoso di quello offerto dalle FS.
Per chi non lo sapesse, il treno che da Roma va a Parigi è gestito a mezzi da italici e transalpini. Io di transalpini non ne ho visti, e il personale italico a bordo aveva la faccia da condannato ai remi sulle galere della Serenissima.
Dopo mezz'ora scarsa di permanenza in carrozza, anche noi avevamo la faccia di un galeotto schiavizzato dal Leone.
Visto che avevamo programmato il viaggio come una non luna di miele (era la prima vera vacanza da quando siamo appaiati, ergo abbiamo deciso di concederci qualche lusso), abbiamo ben pensato di prendere lo scomparto a due letti. A castello ovviamente, ché son finiti i tempi dei nostri nonni i quali, per citare un noto musicista catanese, "facevano l'amore con l'ausilio del motore". Dubito fortemente del resto che l'attuale scomparto medio, letti a castello o meno, possa suscitare atmosfere in qualsivoglia modo romantiche. Spazi ristrettissimi, grucce metalliche a mo' di guardaroba che fanno delèn-delèn a ogni scossone, aspetto mesto e zozzetto di tutto l'ambiente, lenzuola bucate, cuscini in materiale sintetico di quelli che farebbero sudare pure un iceberg, odore di gomma bruciata e disinfettata con il cloro proveniente dal sistema di condizionamento, calura africana dovuta al malfunzionamento dello stesso. La pena infinita di vedere il povero capo-vagone che tentava di aprire i letti, con le leve rese rocciose da anni di incuria, non ha contribuito a migliorare l'atmosfera. Il wc in fondo al vagone il cui sciacquone si scassava ogni tre per due, men che meno.
Prima di montare sul convoglio maledetto sappiate che è opportuno inoltre fornirsi di genere alimentari. A bordo non vi è alcuna carrozza ristorante, e il solerte personale vi fornirà giusto di una bottiglietta d'acqua e, al mattino, di caffè liofilizzato al gusto di bitume accompagnato da un cornetto risalente più o meno al Cretaceo. Detto solerte personale, e non ci si stupisca di ciò perché prende uno stipendio da fame, ha la tendenza a scomparire per ore. Se per caso avrete bisogno di qualcosa, preparatevi a lunghe attese. Consolatevi con il fatto che sapete l'italiano: qualunque comunicazione scritta (in genere appiccicata sulla porta della cabinetta del capo-vagone e vergata su un tovagliolino di carta) sarà fornita nella lingua di Dante, per cui i transalpini son più sfigati di voi.
Se avete coincidenze in quel di Parigi, abbiate poi l'accortezza di prenotare lasciando un intervallo di tre ore dall'arrivo. Il treno Roma-Parigi e viceversa è infatti noto per accumulare ritardi abissali. La prassi è mezz'ora, più spesso un'ora e passa. Il nostro all'andata è arrivato in ritardo di quasi due ore, costringendoci a una corsa infernale per prendere l'Eurostar. L'ultimo tratto, percorso dal convoglio a passo d'uomo, lo abbiamo passato in compagnia di un garbatissimo signore francese italofono che per vari motivi è costretto a prendere l'Artesia alquanto spesso. Ometto di riferire le sue colorite espressioni in ambo le lingue, perché non passerei il vaglio della censura.
L'Artesia arriva a Gare de Bercy, stazioncina da cui se non altro uscirete in un batter d'occhio. A qualche centinaio di metri troverete la stazione della linea 14 della metro: se dovete prendere l'Eurostar andate fino a Chatelet, e da lì con la linea 4 arriverete alla Gare du Nord. Tempo medio, poco più di mezz'ora, e in tutta comodità.
A Gare du Nord le indicazioni per l'Eurostar fanno un po' pena: sappiate che l'accesso è al piano superiore. Lì vi attende del personale severissimo che controllerà biglietti, documenti e bagagli, né più né meno che se foste in aeroporto. Consigliato arrivare almeno mezz'ora prima, sennò vi sbattono la porta sul naso. Non vi passi per la mente di fare scene di tregenda se arrivate in ritardo: cartelli appesi in bella evidenza sottolineano che a un cenno del personale sarete attorniati da simpatici signori in divisa, e dubito fortemente che sarebbe cosa gradevole.
Va da sé che rispetto ai treni italici l'Eurostar è un altro mondo. Ho viaggiato su treni migliori, ma se non altro ci si può rifocillare adeguatamente (a prezzi feroci) e i bagni sono praticabili. A quel prezzo vorrei vedere, direte voi. Dipende: se avete amici che viaggiano su Frecciargento e Frecciarossa (convogli notoriamente assai economici) chiedetegli dettagli e sappiatemi dire, se possibile omettendo le parolacce. Quanto alla temibile tariffa dell'Eurostar, prenotando con un anticipo di almeno un paio di settimane e scegliendo le fasce orarie meno gettonate ve la potrete cavare con una sessantina di euro.
E il tratto sotto la Manica?
Non ve ne accorgerete nemmeno. Venti minuti in cui forse vi si tapperanno un po' le orecchie, ma niente di trascendentale. Prima che ve ne rendiate conto, puf, sarete nella perfida Albione, o alternativamente nella douce France. Io mi son ritrovata a pensare "tutto qui?", e dire che soffro pure un po' di claustrofobia. Se proprio dovete temere qualcosa, state in guardia dall'aria condizionata che viene erogata con notevole gagliardìa. Se siete pelati, munitevi di cappellino. Munitevi anzi di cappellino a prescindere, se non volete arrivare in stazione con i prodromi di un fiero raffreddore.
Dopo l'esperienza con il trenino sottomarino, tornare fra le braccia delle Ferrovie dello Stato per rientrare nell'Urbe è stato come finire da un campeggio delle Alpi bavaresi a quel tale parcheggio sito dai pizzi di Roncobilaccio noto per essere frequentato da scambisti etero, gay e a corrente alternata. Oltre alla fatiscenza, alla mestizia generale e all'arrivo a destinazione con oltre un'ora di ritardo, non è stata servita la colazione adducendo quale motivo "a Parigi ci hanno rubato tutto".
Una nostra amica ha commentato che se tutto ciò venisse proposto in forma di sceneggiatura a qualsivoglia casa produttrice si andrebbe incontro alla bocciatura completa per inverosimiglianza.
Ma Trenitalia riesce a superare anche il più sfrenato soggettista.
E per tutto ciò, io la ringrazio.
Perché a farmi passare la paura di volare non sono bastati gli aiuti di Madonna Chimica, le sedute di training autogeno, e persino la minaccia di smollarmi da leggere quel libraccio penoso di Erica Jong.
Ma il pensiero di un'altra esperienza nel Convoglio dell'Orrore, credetemi, basta e soperchia.