Jezabel

Creato il 15 giugno 2014 da Theobsidianmirror

Una donna entrò nella gabbia degli imputati. Nonostante il pallore, nonostante l'aria stanca e stravolta, era ancora bella; solo le palpebre, di forma squisita, erano sciupate dalle lacrime e la bocca aveva una piega amara, ma la donna sembrava giovane.

Quello riportato sopra è l'incipit di " Jezabel", il romanzo che Irène Némirovsky pubblicò nel 1936, pochi anni appena prima della sua morte, avvenuta nel 1942 per tifo nel campo di concentramento di Auschwitz. Qui c'è già tutto ciò che serve per inquadrare la protagonista: una donna che "sembrava giovane", una donna "ancora bella". Le parole "giovane" e "bella" ricorreranno infinite volte nel romanzo, come un'ossessione, come un mantra. Perché di ossessione parla, fondamentalmente, questo libro.

Gladys Eysenach, la nostra Jezabel, ha ricevuto in dono da madre natura una bellezza perfetta e, come a volte accade alle persone troppo belle, ha basato la sua vita interamente su di essa.

Allungò le mani verso il fuoco, poi si alzò. Il pianoforte aveva il coperchio sollevato, e Gladys suonò qualche nota. Sì, la musica, la poesia, i libri... ma lei sapeva bene che erano solo un altro strumento di seduzione, perché anche il volto più bello può stancare, perdere di attrattiva in un momento di noia o di sazietà, ma sapeva pure che per lei, come per la maggior parte delle donne, musica, poesia e libri non significavano niente, non le davano niente... Qualche verso appassionato e melanconico, una bella frase musicale sono omaggi fatti all'uomo, a lui solo, e quando l'uomo se n'è andato non resta niente.

Da donna emancipata e benestante si è concessa molti amanti, viaggi e feste, l'eterno gioco della conquista e quello, ancora più eccitante, della rivalità con le altre donne. Chi pensa che le donne si rendano seducenti a tutto agio degli uomini sbaglia: in qualche angolo della loro mente, se pur recondito, c'è sempre il desiderio ancora più forte di trionfare sulle altre donne, una forma innata di orgoglio che richiede un continuo e crudele appagamento che lo alimenti. E per molti, molti anni, Gladys ha trionfato senza sforzo sulle sue rivali finché, inevitabilmente, anche per lei non è arrivato il momento di scorgere su di sé i primi segni del tempo; una pelle meno luminosa e fresca, i contorni del viso più morbidi, la stanchezza delle membra, segni lievi e sapientemente mascherati destinati però a diventare sempre più evidenti. E così Gladys, che ha affrontato con forza d'animo la morte del marito e dell'unica figlia e ogni altra vicenda della vita, finisce per soccombere alla più umana delle paure e delle sofferenze: quella per il tempo che passa. La sua bellezza non comune rende per lei il pensiero dell'incombente vecchiaia ancora più atroce: più il tempo passa e più lei è terrorizzata dal pensiero di dover confessare la propria vera età.

Vi starete forse chiedendo che male c'è nel voler mordere la vita fino all'ultimo, nel volersi sentire giovani anche quando non lo si è più. In verità, nessuno. Anzi, direi che la cosa è talmente scontata da essere quasi banale. Eppure, per illudersi di strappare alla vita qualche altro anno di gioventù Gladys non esita a sacrificare la felicità di sua figlia, a mentire e a costringere il proprio corpo a fatiche innaturali, e la cosa più patetica è che è tutto utile: né l'amore del conte Aldo Monti né l'ammirazione di molti altri uomini sono sufficienti a placare il suo animo.

E alla fine, Gladys Eysenach arriva perfino a commettere un omicidio. La vittima è uno studente ventenne, tale Bernard Martin, che gli inquirenti liquidano come uno dei suoi tanti amanti, scatenando la pruriginosa attenzione del pubblico parigino, tanto del bel mondo che della gente comune; nessuno si spiega come un individuo così comune, povero e di umili origini, abbia potuto catturare l'attenzione di una donna colta, bella e raffinata come la Eysenach, abituata a ben altre compagnie maschili e per di più legata sentimentalmente a un uomo più giovane di lei, bello e di nobili ascendenti con il quale tempo addietro aveva addirittura progettato le nozze. La verità è ben diversa, ma nessuno lo saprà mai, perché Gladys si rifiuta di fornire dettagli, non chiede clemenza, si limita con il suo silenzio ad avallare il movente passionale invocato dal suo avvocato. La pena sarà lieve e il sipario calerà sul processo e sulla sua imputata.

L'avvocato dipinse Gladys come una donna che era vissuta solo per l'amore, che solo dell'amore si era curata e che, in nome dell'amore, meritava l'oblio e il perdono. Parlò del terribile demone della sensualità che insidia le donne sulla china degli anni e le spinge alla colpa e al disonore.

Il legame tra lei e Bernard Martin, un legame che viene dal passato, manda in frantumi il precario equilibrio sul quale Gladys ha fondato la sua intera esistenza. Gli incontri/scontri con Bernard ci regalano le pagine forse più intense del libro, l'odio del ragazzo quasi palpabile per una donna che assurge a simbolo della vecchiaia invadente, che non vuole farsi da parte.

Amore, amanti, felicità, non è roba per voi!... le dice Bernard con studiata crudeltà. Accontentatevi, vecchi, di tutto quello che non possiamo prendervi [...] tenetevi il denaro, la posizione, gli onori, ma il resto spetta a noi! È la nostra ricchezza, il nostro appannaggio!.. Con quale diritto ve lo prendete?

La Némirovsky costruisce un racconto che comincia con il processo e poi prosegue, in un lungo flashback, con il descriverci la vita di Gladys; dall'infanzia accanto a una madre fredda e severa, mai realmente amata, all'adolescenza spensierata, segnata dalla scoperta di una bellezza imperiosa che sbocciava; alla maturità, segnata dai lutti ma anche dalla più totale libertà di agire e di amare, al fatale incontro con la sua vittima. Bernard, l'unico essere umano con il quale, in fondo, poteva ancora essere davvero se stessa (per quanto amaro questo potesse essere).

E così la riflessione sull'animo femminile e sulla bellezza si trasforma in un'ancora più amara riflessione sull'approssimarsi della vecchiaia e sulla paura della solitudine. L'amore e la gelosia, sebbene presenti, restano per me solo sullo sfondo. Il paragone con la Jezebel biblica è forse fin troppo impietoso; la maschera della donna lussuriosa, egoista, passionale fino all'eccesso cela un essere umano dalle molte fragilità, e nonostante io sia una persona d'aspetto e per molti altri versi comune non faccio fatica a mettermi nei panni di questa donna baciata dalla fortuna, viziata dalla bellezza e dagli uomini, che non sa, non vuole rinunciare a tutto questo - ma, in fondo, né cattiva né calcolatrice. Ognuno pensa e vive per se stesso e, in questo senso, il desiderio di Gladys di inseguire testardamente il suo sogno di eterna gioventù è, non neghiamolo, perfettamente comprensibile.

E tuttavia, proprio questa è la misura del suo fallimento come essere umano, perché non c'è niente di più triste e di più ridicolo del non saper invecchiare, del credere che basti fingere per cristallizzare il tempo, mentre il tempo invece scorre, inesorabilmente scorre. Il tempo è il democratico fattore che riequilibra tutto, misericordioso e impietoso insieme: non conta quanto possiamo essere belli, ricchi o fortunati, il tempo passa per tutti allo stesso modo e ci trascina via con sé, nell'oscurità e nell'oblio. Il modo migliore per battere il tempo è fingere che non ci sia: guardare al presente e non al passato né al futuro, accettare tutto ciò che di bello e di brutto ci capita, vivere ogni giorno come fosse l'ultimo e, per quanto possibile, non avere rimpianti.

Ma, filosofia spicciola a parte, Gladys che fine farà? Non lo sappiamo, ma io credo che probabilmente morirà. Morirà dentro. I giorni dell'emancipazione femminile e delle celebrità accompagnate dal toy-boy di turno, dopotutto, erano ancora lontani.

L'indomani fu il giorno delle arringhe. Nessuno si interessava più all'imputata. In una notte, tutta la sua bellezza sembrava averla abbandonata per sempre. Ormai era una donna vecchia a sfinita, e del resto la si intravedeva a malapena nell'ombra della gabbia degli imputati.


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