Jim Jarmush

Creato il 14 dicembre 2010 da Zarizin

Comincia con questo articolo la mia voglia di raccontare (ovviamente a modo mio) i registi che più mi affascinano e che magari fanno parte di un panorama cinematografico a tratti considerato di nicchia, e che quindi non sono spesso accessibili a tutti.

In questo primo episodio di: Monografie “dal niente” (perchè nulle sono le pretese, se non quella informare chi ancora non conosce), parlo del regista americano Jim Jarmush, della sua straordinaria opera come autore davvero singolare, e delle sue opere, a mio parere, più importanti.

Prendendo le mosse dal cinema di Wim Weneders e Nicholas Ray, il giovane Jarmush illustra una poetica e un’estetica a metà tra minimalismo e umorismo surreale, spirito hipster e cinema pulp indipendente, caratterizzata da storie di reietti e freaks, animali da bar e gangster criminali, di solito ambientate nell’America del pre- e post-Reaganesimo.

La sua duratura amicizia (e sodalizio artistico) con artisti del calibro di Iggy Pop, Roberto Benigni e Tom Waits lo rendono prima di tutto un regista cult, e poi un autore dallo stile unico e imitatissimo.

La sua prima opera importante è il surreale e pluripremiato Stranger Than Paradise del 1984 (Camera d’Or a Cannes e Special Jury Prize al Sundance Film Festival), che con uno splendido bianco e nero racconta la storia di Willie, un hipster immigrato anni prima a New York che riceve la visita sgradita di una sua giovane cugina arrivata dalla sua madrepatria, l’Ungheria, Eva, con cui tenterà distruggere il sogno americano cercando una via di fuga dalla realtà.

Un altro, a mio parere, film fondamentale del regista porta il nome di DaunBaiLò (Down By Law storpiato in italiano), con protagonisti il cantautore maudit Tom Waits, il comico italiano Roberto Benigni e il musicista no-wave John Lurie, protagonisti di una demenziale storia in cui tre galeotti cercano di fuggire dalla prigione dove sono rinchiusi, in cerca dell’amore (che Benigni troverà proprio in Nicoletta Braschi) e della libertà.

Il tema del viaggio obbligato come metafora dell’esistenza umana tutta, è sempre ricorrente in tutte le opere di Jarmusch.

Il capolavoro assoluto di Jarmusch resta però Dead Man (1995) con un giovane Johnny Depp protagonista di un western davvero atipico e crepuscolare, con addirittura derive mistiche. Il giovane William Blake (un omonimo del noto poeta) fugge dal suo paese verso ovest e verrà sopraffatto da una serie di eventi truci e misteriosi che lo condurranno a un punto di non ritorno. Con una dolente colonna sonora di Neil Young e un Depp assolutamente perfetto, resta il suo più gran film.

Altri episodi importanti nella filmografia di Jim Jarmusch sono quelli che richiamano il film diviso in scene o basato interamente su dialoghi come Mystery Train e il celebre Coffee & Cigarettes, costituito da incontri bizzarri tra famose star del rock e artisti in decadenza.

L’ultima sua fatica infine, Limits of Control, è un’opera manierista e di alta classe, un thriller enigmatico e silenzioso, con Tilda Swinton, Gael Garcia Bernal e Bill Murray.

Come tutto il suo meraviglioso cinema, Jim Jarmusch resta un cineasta d’altri tempi.


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