Jimi Hendrix – (27 novembre 1942 – 18 settembre 1970)

Creato il 18 settembre 2010 da Fabry2010

a cura di Loris Pattuelli

PICCOLA ALA

passa tra le nuvole
con un circo in testa

favole e zebre
e lune e farfalle

a questo pensa
mentre gira nel vento

se sono triste
lei mi viene a cercare

poi mi sorride
e mi porta lontano

va tutto bene
adesso dice

vola piccola ala
vola via

LITTLE WING

well she’s walking through the clouds
with a circus mind that’s running wild

butterflies and zebras
and moonbeams and fairy tales

that’s all she ever thinks
riding with the wind

when i’m sad
she comes to me

with a thousand smiles
she gives to me free

it’s alright
she says it’s alright

take anything you want from
fly on little wing (traduzione di Loris Pattuelli)

I suoni del deserto

Dovevamo suonare in un concerto allo Shrine di Los Angeles. Lui e io eravamo tra le quinte con le nostre chitarre; io suonavo e suonavo. Sento dei suoni allucinanti. Era Hendrix che giocherellava con l’interruttore del toggle. Lo staccava dalla chitarra, battendo leggermente sul collo, e otteneva il vibrato con la mano, muoveva il toggle, batteva sul collo e usava il vibrato e il suono era quello dello scirocco che viene dal deserto. E io son qui che suono, piegato in due, suono tutte queste note
e questo tizio gioca col toggle, batte sul retro della chitarra e ottiene il suono del deserto. (…)
La prima volta lo sentii suonare come Jimmy James e i Blue Flames. Suonavo con Paul Butterfield ed ero il miglior chitarrista del gruppo, o almeno pensavo di esserlo. Non avevo mai sentito parlare di Hendrix. Qualcuno mi disse: “Vai a sentire il chitarrista che suona con John Hammond. Io ero al Café Au Go Go e lui al Nite Owl o al Café Wha?, attraversai la strada e andai a vederlo. Hendrix sapeva chi ero, e quel giorno, davanti ai miei occhi, vidi volare missili infuocati, non so dirti quali e quanti suoni riuscì a estrarre da quello strumento. In quel piccolo locale, con una Stratocaster, un amplificatore Fender Twin Reverb e un fuzztone Maestro, otteneva ogni suono che potessi immaginare. Perlopiù lavorava ad alto volume. Vorrei sapere come riusciva a fare tutto ciò. Mi riversò addosso tutti quei suoni e pensai che per almeno un anno non avrei più avuto voglia di toccare la chitarra. (…)
Non avevo mai udito nulla di simile. Non capivo neppure quali basi musicali avesse, perché non suonava musica sua. Faceva cose tipo Like A Rolling Stone ma le suonava in modo inconsueto. Non era solo un cantante e neppure solo un musicista. Quel giorno Jimi Hendrix mi offrì qualcosa che definirei “suoni” anziché “melodie”. Ma dopo averlo ascoltato due o tre volte mi accorsi che la melodia pura e il lirismo lo interessavano quanto i suoni. Infatti, era riuscito a fonderli in una miscela perfetta. (…)
Quando suona, sento veramente Curtis Mayfield, Wes Montgomery, Albert King, B.B. King e Muddy Waters. Jimi è il chitarrista più nero che abbia mai ascoltato. La sua musica ha radici profonde nel pre-blues, nelle più vecchie forme musicali come i fieldholler e le melodie gospel. Ne ho dedotto che non c’è musica nera che egli non abbia ascoltato o studiato. (…)
L’approccio musicale di Jimi, così mi ha spiegato, è tracciare lo schema di una canzone e decidere come dovranno suonare i vari strumenti, fiati, strumenti a corde e così via, e quale sarà il risultato finale. Accenna il ritmo della batteria con un pedale wah-wah, il basso con le corde basse della chitarra e lo scheletro della melodia solo con il pedale wah-wah. Poi riempie la traccia con accordi e sincopi.

Mike Bloomfield

Tre o quattro mondi passarono in un battito di ciglia. Qualcosa stava succedendo. Era arrivato questo tizio di nome Black Gold. E poi era arrivato un altro tizio di nome Captain Coconut. E continuava ad arrivare gente. E alla fine, tornato a casa, mi ritrovai all’improvviso a essere un ragazzino dell’Ovest, di Seattle, per un secondo. Poi all’improvviso, quando torni in movimento, ricomincia, ricominci a tornare indietro. Così è la vita, finché non succederà qualcosa di nuovo.

Jimi Hendrix da Superstars

scuse me
while i kiss the sky

Purple Haze Jimi Hendrix

Adesso dicono che le cose cambiano. Niente è cambiato. Le cose passano attraverso dei mutamenti, tutto qui. Non è cambiare: è passare attraverso dei mutamenti. L’evoluzione funziona così. A piccoli colpi. E’ il motivo per cui il numero sette viene dopo il numero sei. Hai sei morbidi urti, poi all’improvviso un piccolo colpo.

Jimi Hendrix da Superstars

Il feedback melodico

A un livello elementare, il feedback non è altro che lo stridio di un microfono tenuto troppo vicino a un altoparlante o l’urlo involontario che affligge le chitarre semiacustiche suonate a volume alto. Ma l’uso deliberato del feedback melodico è un’altra cosa. E’ l’impiego di un effetto elettronico accidentale per scopi musicali.
Quando suoni una nota su una chitarra elettrica, il pick up percepisce la vibrazione della corda e invia un segnale all’amplificatore. E’ un segnale amplificato e più forte, inviato alle casse, da cui esce il suono. A volume alto, gli altoparlanti spostano l’aria intorno – stando vicino lo si può sentire – per cui quando si suona una chitarra elettrica a un volume abbastanza alto, entra in gioco un nuovo elemento – il feedback, appunto. Invece di dover toccare le corde per produrre una nota, la potenza del suono che esce dalle casse fa vibrare la corda producendo un loop, un effetto circolare.
Se ci si trova proprio davanti all’altoparlante, il feedback è ancora più enfatizzato, tanto che la posizione sul palco diventa un fattore aggiunto: si può ottenere una certa nota quando si sta proprio davanti a una nota diversa (forse un’ottava più alta) quando ci si trova di lato. Semplici movimenti cambiano la tonalità del feedback tanto che il chitarrista elettrico ha a disposizione diverse variazioni con cui suonarlo. Jimi le usava tutte:
1. la forma più semplice di feedback riutilizza la nota che si sta suonando (la fondamentale), trattenendola e rimandola con un effetto circolare (il loop). La nota suona fichè il musicista lo desidera;
2. lo stadio seguente è quello di una nota trattenuta, che in seguito genera una nota un’ottava sopra la fondamentale. L’effetto è meravigliosamente drammatico perché non c’è una netta distinzione fra le due note: quella più alta sembra nascere dalla più bassa;
3. una variante del tipo precedente produce una nota un’ottava e mezzo più alta;
4. l’ultima forma è di gran lunga la più difficile da ottenere, imponendo un uso molto controllato del feedback. Altre varianti risultano selvagge, mentre qui l’effetto è quello di uno strumento ad arco, un violoncello o una viola. Si tratta più di un sustain controllato che del potente crescendo che rende in genere il suono semplice del feedback così drammatico. Per ottenerlo, si suona una nota, quella si trattiene, comincia il feedback. A quel punto si fanno scorrere le dita avanti e indietro sul manico dello strumento cambiando la tonalità. E anche quella nota ha un ritorno. Per chi osserva, l’impressione è quella di un chitarrista che suona dei pezzi su una singola corda senza aver preso una sola nota. Un dispositivo in commercio detto E-bow produce un effetto simile, anche se è davvero un’altra cosa sentire il suono prodotto a mano Da Jimi in DRIFTING (un’altra ballata che si trova su CRY OF LOVE o FIRST RAYS): al minuto 2,23” si sente una nota alta che aumenta per un paio di secondi (raggiungendo il culmine a 2,25”) per poi prendere una fase discendente fino a 2,31”. Il suono è celestiale, il più suggestivo mai registrato da Jimi.
Quando si suona al volume dell’Experience, tutta la scena diventa sensibile al feedback, e il musicista esperto sa che ogni movimento sul palco – anche il più semplice guardare in certe direzioni – cambierà la qualità e la stessa tonalità del suono. Si pensi alle illustrazioni che utilizzano il colore per evidenziare le variazioni nei campi magnetici. Quando si è in grado di controllare il feedback come Hendrix, si può letteralmente “suonare il palco”: ogni movimento determina il suono che verrà prodotto. Come ha scritto Tom Nordilie su Spin, “il linguaggio del corpo di Jimi era impossibile da separare dalla sua tecnica”.

John Perry, Electric Ladyland – No Reply – Euro 12

Vorrei che fosse ancora vivo

Da autore di canzoni, è sempre una cosa imbarazzante sapere che ad altri musicisti piacciono i tuoi pezzi, sopratutto se li rispetti per davvero. Pubblico e critica ti rimandano stimoli importanti, ma non c’è niente come un altro musicista che rifà quello che stai facendo tu per farti capire se quello che stai facendo è valido oppure no… Forse vale sempre la pena ed è un problema. Nonostante tutti gli anni che ho passato su un palco per me è ancora molto importante cosa pensano gli altri musicisti del mio lavoro. Jimi era un grande artista. Vorrei che fosse ancora vivo, ma c’è finito dentro ed è stato il crollo di tanti di noi. Credo che abbia pagato un prezzo troppo alto. Non mi stupisce tanto che abbia registrato le mie canzoni quanto che ne abbia registrate così poche, perché sembravano tutte fatte per lui.

Bob Dylan

Tutto in uno sguardo

Il punto cruciale di questa storia è in uno sguardo. Quello di Jimi Hendrix mentre suona Star Spngled Banner in quella livida, disastrata alba da day after del quarto giorno di Woodstock. Il fatto decisivo avviene circa sessanta secondi dopo l’inizio del pezzo. Per un breve velocissimo istante Hendrix guarda nell’obiettivo e tutto sembra fermarsi. Perfino la musica, perfino quella sensazionale mescolanza di inno americani e di suoni che mimano un bombardamento in Vietnam sembra poca cosa di fronte a quello sguardo. Mettete il fermo immagine e godetevi l’improvviso silenzio. Hendrix è lì, ma è anche altrove. E’ uno sguardo serio, calmo, definitivo, di lucida consapevolezza. In quel momento Hendrix vede tutto quello che c’è da vedere, vede se stesso morire, vede le guerre che ci sarebbero state, vede la fine della musica, la fine del tempo, e vede noi che lo stiamo guardando, ora.

Gino Castaldo, Il buio, il fuoco, il desiderio, Einaudi Stile Libero, Euro 11,50

Per saperne di più:

Enzo Gentile, Jimi Santo Subito!, Shake Edizioni, Euro 15
Duecento pagine e un inserto a colori che sono un atto d’amore per Jimi e quello che ha rappresentato.
Con contributi di Giordano Casiraghi, Ivo Franchi, Mimmo Franzinelli, Ezio Guaitamacchi, Matteo Guarnaccia, Marcello Lorrai, Marco Pierini, Brunetto Salvarani.



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