Questo film verrà presentato nella rassegna "Rapporto confidenziale" al 29° Torino Film Festival (29 novembre-3 dicembre). In tale occasione "Sonatine" pubblicherà in collaborazione con il Festival il volume "Il Signore del caos. Il cinema di Sono Sion", contenente un'intervista inedita a Sono, un'ampia introduzione alla sua opera, alcuni saggi critici e le schede di tutti i film proiettati nella rassegna.
Shirō e Keita sono due giovani amici che abitano nella cittadina diToyokawa, entrambi hanno l’età di chi dovrebbe scegliere il proprio futuro, main realtà non sono per niente interessati ad entrare nel cosiddetto mondoadulto. Anziché studiare per superare gli esami d’ammissione all'università, idue tergiversano nel loro limbo, guadagnandosi da vivere con la consegna deigiornali. Mentre Shirō, per dare corpo alle sue aspirazioni artistiche, tentadi ultimare un film in super8 incominciato alle scuole superiori, l’amicoKeita, quasi rassegnato, sembra sul punto di cedere.Realizzato grazie adun premio in denaro ottenuto dal Pia Film Festival dopo aver vinto l'edizionedel 1987 con Otoko no hanamichi (Man's Flower Road, 1986), Bicycle Sighsriprende molte delle ossessioni, delle tematiche e degli stilemi dei primiesperimenti del cineasta, elaborandoli in una storia narrativamente piùcomplessa, anche se ancora acerba, e segnata da un’evidente libertà espressiva.Siamo nel1990, agli inizi di quel nuovo decennio che avrebbe visto l’inesorabile scoppiodella bolla economica che aveva fatto crescere il Giappone nella seconda metà degli Ottanta. Come pochialtri film del periodo, Bicycle Sighs ha il merito di captare ilmalumore, le incertezze e le paure di una generazione, ben prima che esse simanifestasseroapertamente agli occhi di tutti. Sono riesce qui ad esprimere quel senso diincertezza nel futuro che avrebbe caratterizzato gli anni a venire, quando cioèl'onnipotenza del decennio precedente, in gran parte di natura economica,sarebbe venuta a mancare. Il filmtrova così uno dei suoi punti di forza nell’essere un’opera liminare, che stasul crinale temporale che divide due diversi momenti. Da una parte, appunto, preannuncia uncerto sentimentodeglianni Novanta:la ribellione del singolo e la messa in discussione dei valori dominanti, cosìcome la volontà di liberarsi dai canoni stilistici imposti e di esplorare nuoviterritori cinematografici. Dall'altra, essendo ancora dentro il periodoprecedente, ne rappresenta una controparte, un negativo, in grado di metternein luce i movimenti sotterranei.
Giratonella natia Toyokawa, Bicycle Sighs, aldi là dalla sua riuscita prettamente artistica, ci dà del Giapponeun’immagine assai diversa da quella dominante in quegli anni. Non cisono luci, club, ricchezza e sicurezza, ma al contrario una quotidianitàincerta e vacillante, che si muove con difficoltà in un paesaggio provincialefra i più anonimi. E così niente automobili ma solo biciclette. Questo mezzo,non a caso scelto anche per il titolo, rappresenta lo strumento attraverso cuiindividui insofferenti cercano di ribellarsi a quel senso di chiusura e disoffocamento che la società, ma sarebbe più giusto dire la realtà, impone loro,specialmente nei periodi di stagnazione sociale e politica. Un sensod’oppressione che emerge anche da quegli “interni qualsiasi” di abitazionicomuni o dalle zone “arrugginite” e decadenti del vecchio parco quasi indisuso, dove Shirō gira gran parte del suo film. L’importanzadella cittadina di Toyokawa, che troviamo anche in altri lavori del regista, èqui quasi un’ossessione, come testimonia l’indirizzo ripetuto fino allosfinimento durante l'apertura del film, in una sorta di litania che rimandaagli esordi in veste di poeta di Sono e alla sua passione per la parola,soprattutto quella scritta, che sottende tutto il suo lavoro di cineasta. Una passione che, in Bicycle Sighs, simanifesta nel graffito-poesia che Shirō scrive su un muro durante le sueconsegne e, soprattutto, nell’ideogramma vergato a mano sull’enorme bandierabianca che sempre Shirō porta in giro per la città.
Come accade spesso in Sono, glistili e le piste narrative si moltiplicano e sovrappongono. Alla partedrammatica, appena descritta, se ne affiancano altre più surreali ocitazioniste. Come quando due orsi, o meglio due individui così travestiti, siaggirano nella casa di Keita, o quando il protagonista del filmino a cui Shirōsta lavorando (Sono stesso) appare con la testa di Godzilla, oppure vestito daGekko Kamen, un popolare supereroe del cinema degli anni Cinquanta e Sessanta,con l’insostituibile bicicletta al posto della motocicletta. Un altro tipicosegno dello stile visivo di Sono –cosìcome si era già visto in Ore wa Sono Sion da! (I am Sono Sion!, 1986) e come si vedrà in Keiko desu kedo (I Am Keiko, 1997) o Kimyōna sākasu (Strange Circus, 2005) – èl’uso di filtri colorati, spesso rossi, come rossi sono la giacca di Shirō,nella scena della bandiera, la cravatta di Keita e Kyōko, i pantaloni diMasako.[Matteo Boscarol]