L’ennesima vittoria, si può dire, del premier, soprattutto alla luce delle magagne e delle fratture che hanno investito lo stesso Pd. I bersaniani alla fine hanno votato a favore della riforma. Ma, come al solito, c’è chi non è convinto. Lo stesso Civati aveva preannunciato in maniera velata e implicita, le dimissioni di un senatore Pd, poi scoperto essere Walter Tocci. Renzi in merito: Farò di tutto perché Walter Tocci continui a fare il senatore. Tocci ha espresso le proprie posizioni, ma fa parte del Pd, ha scelto una linea politica ma poi ha fatto quello che il partito ha detto. La sua intelligenza, la sua passione e competenza sono necessarie in un partito che ha il 41%. Nonostante il fatto che abbiamo idee diverse, farò di tutto per convincerlo a restare senatore. Le sue dimissioni sarebbero un errore.
Ma c’è anche chi, come Mineo, della minoranza del Pd, vede la vittoria di Renzi una sconfitta per la minoranza del pd, che aveva accondisceso alla Riforma, a patto che fossero rispettate alcune richieste: Io sono uscito dall’aula, non ho votato la fiducia. Quando mi hanno candidato, non c’era certo nel programma l’idea di dividere i sindacati o di dare ragione a Sacconi nella sua crociata contro l’articolo 18. Ma il dato è quello che è: Renzi ha vinto, ha costretto a capitolare i suoi oppositori. Questo gruppo che era di 14 ‘oppositori’ si è diviso, con alcuni che poi hanno votato la fiducia. La cosa più significativa forse l’ha fatta Tocci, che si è dimesso. Secondo me adesso la minoranza Pd è molto più debole. Io il maxi-emendamento l’ho letto, e non prende neanche tutte le promesse fatte nella direzione del Pd. La nostra battaglia per il momento si è conclusa con una sconfitta.
Intanto la Camusso sminuisce l’intento celato in materia di Jobs Act. Questa sorta di maggiore flessibilità a cui si mira non agevolerebbe i giovani, se poi si dovessero trovare sprovvisti delle dovute garanzie e soprattutto non aiuterebbe chi il lavoro già ce l’ha e potrebbe vederselo togliere da un momento all’altro. Sarebbe questa una specie di regressione: Nel Jobs Act a parte qualche titolo, di cui vedremo lo svolgimento, mancano cose fondamentali. Manca l’idea della cancellazione delle forme di precariato e, al contrario, c’è un’idea di riduzione delle tutele dello Statuto dei lavoratori. Soprattutto, si vuol far passare un messaggio secondo cui il lavoro deve essere meno forte, mentre le leggi in materia servirebbero per dare ai lavoratori la forza di essere interlocutori paritari.
Ma c’è anche chi dall’estero, si dice favorevole alla riforma. Jean-Claude Trichet, ex presidente della Bce, quasi si congratula: Avete un potenziale di crescita che aspetta solo di potersi esprimere. Il primo ministro fa bene ad accelerare sulla riforma del mercato del lavoro: potrebbe finalmente incoraggiare lo sviluppo delle imprese e dell’ occupazione.
Dunque, il problema essenzialmente è questo: la tattica di adesione e adeguamento alle politiche europee, se da un lato appare come un mezzo di modernizzazione dell’Italia arretrata, dall’altro usurpa l’identità dei cittadini italiani, non valutando realmente ciò di cui loro hanno bisogno.
A seguito il premier ne approfitta per rilasciare impressione sugli episodi della giornata di ieri, riferendosi in particolare ai lanci di fogli contro il Presidente Grasso: sono immagini tristi per i cittadini che si domandano che senso abbia.
Poi si mette nei panni del popolo italiano: Gli italiani sono stanchi delle sceneggiate di alcuni senatori. Tra gli obiettivi del premier, ora vige la semplificazione del fisco. Per concludere con una sua perla: Passo dopo passo, l’Italia riparte.