Articolo di Pietro Ichino pubblicato su l’Unità il 10 gennaio 2014
Il Jobs Act di Renzi muove nella direzione giusta, quella di una protezione della sicurezza economica e professionale della persona che lavora che non può più essere
costruita sull’ingessatura del rapporto, come facevamo 30 o 40 anni fa. Oggi essa deve essere fondata su di un robusto sistema di assistenza alla persona nel passaggio da un lavoro a un altro: sostegno del reddito e assistenza efficace nella ricerca del nuovo posto. Questa è la nuova
frontiera della difesa del lavoro e il neo-segretario del PD sembra averlo capito benissimo. Ma se questa è la scelta, perché tanta esitazione nel compierla? Perché non dire chiaramente che occorre coniugare il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza economica e professionale della persona nel mercato del lavoro? Nell’annuncio di Renzi si legge che si avvia un “processo verso il contratto a tutele crescenti”. Che cosa significa questa criptica concessione al peggior linguaggio “sindacalese”?
L’unica leva di cui oggi disponiamo per un forte aumento della domanda di lavoro è aprire l’Italia agli investimenti stranieri, ai quali siamo ermeticamente chiusi. Potremmo proporci ragionevolmente, guardando a quel che accade nel resto di Europa, di avere ogni anno un flusso di 50-60 miliardi di investimenti in più. Anche su questo punto concordo con Renzi: occorre migliorare le amministrazioni pubbliche, incominciando dalla giustizia, e ridurre i costi dell’energia. Ma occorre anche un mercato del lavoro molto più fluido e ben funzionante. E una legislazione semplice, traducibile facilmente in inglese e allineata ai migliori standard europei. Occorre quel Codice semplificato del lavoro che Renzi presentò con me a Firenze il 15 novembre 2012: un testo sul quale ovviamente si può e deve ancora lavorare, ma che – se la volontà politica è ancora quella, può benissimo essere varato nei tre mesi ripetutamente promessi durante la campagna per le primarie. Perché, dunque, quei tre mesi ora si sono allungati a otto, rinviando tutto a un autunno che mai come in questo gennaio appare lontanissimo?
Veniamo all’“assegno universale di disoccupazione” con le nuove regole annunciate da Renzi per chi vuole beneficiarne. In realtà l’assicurazione universale contro la disoccupazione per tutto il lavoro dipendente esiste già: è l’Aspi, introdotta dalla riforma Fornero, che già richiede, in teoria, disponibilità alla riqualificazione
professionale e alle offerte di lavoro. Il vero problema è quello di rendere
operante questa “condizionalità”. Ed è una questione che non si risolve dettando regole burocratiche nella Gazzetta Ufficiale, per tutti e una volta per tutte. La disponibilità che può e deve essere chiesta al lavoratore non può che variare molto da caso a caso, secondo le circostanze. Il metodo più corretto ed equo per sciogliere questo nodo, stando alle migliori esperienze del centro e nord-Europa, è quello “contratto di ricollocazione” tra lavoratore, centro per l’impiego pubblico e agenzia privata specializzata: sarà interessante vedere se il Jobs Act lo farà proprio.
Infine una delusione: quell’accenno agli “oltre 40 tipi di contratto di lavoro”, che andrebbero sfrondati per combattere il precariato. Una curiosa concessione di Matteo alla leggenda metropolitana, secondo la quale i tipi di contratto di lavoro possibili sarebbero stati moltiplicati a dismisura dalla legge Biagi del 2003. Ho sempre sfidato i sostenitori di questa duplice sciocchezza a indicare quali sarebbero gli oltre 40 tipi di contratto di lavoro e quali, in particolare, quelli istituiti ex novo dalla legge Biagi, che non fossero soltanto vecchi tipi cui quella legge ha soltanto dato un nuovo nome e nuove regole. Nessuno è stato mai in grado di raccogliere questa mia sfida, perchè in realtà A) le forme giuridiche di contratto di lavoro in Italia non superano la quindicina; B) esse preesistono tutte alla legge Biagi, anche se alcune sono state da questa rinominate e ri-regolate. Un consiglio al neo-segretario del PD: stia alla larga dai luoghi comuni, che hanno fatto danni incalcolabili alla sinistra
italiana.