Jobs (
2013) di
Joshua Michael Stern vuole essere un omaggio al genio della Apple, che ha inventato un modo di intendere l'
home computer e di trasferire l'idea del marchio anche in un settore iperspecialistico quale, ancora negli anni Settanta, era l'informatica. Il film traccia una parabola a episodi della vita di Jobs, dal 1974, quand'era studente al Reed College, fino alla presentazione dell'
Ipod. Se ne esalta, è vero, la parabola dal piccolo garage di casa (in una famiglia benestante, ma tutto sommato niente più) fino all'azienda dal successo mondiale in grado di competere con l'IBM, tuttavia non se ne tacciono gli aspetti spigolosi del carattere, come quando il protagonista (interpretato da un buon
Ashton Kutcher) prende in giro il suo amico
Steve Wozniak (
Josh Gad) o altri episodi nei quali una mania folle sembra prendere il posto della risolutezza del
self made man.
Tuttavia, se è giusto che si parli di persone che hanno un peso e possano fungere da esempio, il protagonista positivo del film rimane sempre lui, e questo è un punto a favore di una sceneggiatura - l'unica di
Matt Whiteley - per il resto meno che mediocre. Non giova, invece, il ritratto perlomeno ambiguo dell'amico Daniel (
Lukas Haas) e dell'inatteso mecenate Mike (
Dermot Mulroney) - per non parlare del disastroso e vampiresco consiglio di amministrazione della Apple (capeggiato dall'Arthur Rock di
J.K. Simmons). Le battaglie che Jobs si trova a combattere sono occasioni senza mordente per affrontare il peso dell'informatica nella vita di tutti i giorni, tema che spiegherebbe l'interesse per una figura così controversa. Non ho gli elementi, peraltro, per accertare la veridicità dei fatti, ma l'epica romanzata dei buoni contro i cattivi, il saccheggio di citazioni più o meno note e il fascino del personaggio (al quale si è voluto conferire un grande
sex appeal da copertina) rendono la visione di
Jobs qua e là noiosa e irritante.
Forse qualcuno potrà ripercorrere un po' la storia del proprio rapporto con l'informatica (e io stesso ho cominciato, a parte la breve e quasi ancestrale parentesi Commodore, con due Macintosh che amavo alla follia). Però anche su questo la sceneggiatura è cursoria e poco perspicua. La Apple perde fascino e viene vista quale un covo di vipere, oltre che un'azienda come un'altra; sì che vengono mortificati i proclami inebrianti di Steve Jobs, le sue furie improvvise e il suo parlare seducente e cordiale. Perfino l'accusa di chi gli rimprovera di essere "l'inizio e la fine
di tutto il suo mondo" è vaga insensata, se la si confronta con un montaggio perlomeno più teso al carattere delle singole scene che non alla narrazione d'insieme. Così, si perde il valore fondamentale di quel prefisso
I- dei prodotti che pure sarebbe il degno corollario di tutta la teoria di Jobs sul peso dell'informatica e si resta in dubbio sulla ricostruzione storico-biografica.
Peccato che un soggetto così amato e promettente sia stato fatto oggetto di un film tanto inefficace.