Joe Biden ha fatto quel che doveva.
Nel dibattito tra i candidati alla vicepresidenza di giovedì 11 ottobre ha messo alle corde il suo avversario, il repubblicano Paul Ryan, attaccandolo dall’inizio alla fine.
Ha messo in luce tutte le contraddizioni del ticket conservatore, dall’intenzione di ridurre le tasse ai ricchi, abilmente camuffata da Mitt Romney nel duello del 3 ottobre con Barack Obama, alla privatizzazione del popolare programma sanitario del Medicare, attraverso la consegna di voucher.
Ryan ha cercato di controbattere, distogliendo l’attenzione da temi così controversi, riportando quindi l’attenzione sull’economia.
Ha riconosciuto che quando Obama entrò alla Casa Bianca, nel 2008, la situazione era molto difficile, ma ha anche puntualizzato che, dopo quattro anni, le cose non sono molto migliorate.
Il tasso di disoccupazione è ancora alto e la macchina produttiva americana non è ancora riuscita a recuperare lo svantaggio accumulato con l’avvento della Grande Recessione.
Malgrado ciò, l’atteggiamento combattivo di Biden e la sua prontezza a puntualizzare i buchi neri del programma repubblicano hanno permesso ai democratici di recuperare qualche punto di svantaggio seguito al disastroso confronto tra Mitt Romney e Barack Obama. Joe Biden è riuscito là dove il presidente aveva fallito.
Tuttavia, la buona performance del vice potrebbe non bastare.
Secondo molti sondaggi, Romney resterebbe in vantaggio su Obama, anche se l’ex senatore dovrebbe essere ancora avanti in alcuni stati in bilico come Ohio e Florida.
Inoltre, nei giorni successivi al dibattito di Denver, l’ex governatore del Massachussets ha iniziato a spostarsi decisamente verso il centro dello spettro elettorale americano.
Ecco alcuni esempi. Dopo essersi dichiarato un fervente antiabortista e un sicuro candidato pro-life, Romney, in una intervista al Des Moines Register nell’Iowa, non ha rinnegato tali precedenti posizioni, ma ha tentato di mitigarle.
L’obiettivo è chiaro: visto il sostanziale svantaggio verso l’elettorato femminile, a tutto favore di Obama, tale piroetta dovrebbe servire a ridargli qualche chance tra le votanti donne.
Lo stesso è accaduto riguardo la riforma sanitaria del presidente, la c.d. Obamacare.
Dopo averla attaccata in tutte le salse, denunciandola come un tentativo di introdurre il socialismo in America, in una nuova intervista ha sottolineato che, alla Casa Bianca, ne avrebbe preservato alcuni aspetti molto apprezzati dagli americani, come il divieto di negare l’assicurazione sanitaria in base a “pre-existing conditions”, cioè sull’esistenza di malattie pregresse dell’utente o della sua famiglia.
Anche sull’immigrazione Romney ha rinnegato alcune posizioni sbandierate in precedenza ai quattro venti come una chiara patente di conservatorismo.
Ad esempio quando ha sostenuto che non avrebbe ordinato l’espulsione di quei figli di immigrati che avessero ottenuto il permesso di soggiorno negli Stati Uniti grazie all’ordine esecutivo firmato da Obama in giugno.
Anche in questo caso Romney vorrebbe accrescere il suo appeal tra i votanti latinos, molto importanti in vari stati, ma soprattutto in quelli in bilico come ad esempio il Colorado.
Simili repentini cambi di opinione non sono di poco conto, riguardano elementi fondamentali del programma politico del candidato repubblicano e il fatto che abbia deciso di contraddire così palesemente le sue precedenti posizioni non gioca a suo favore.
Certo, tali piroette possono far parte dell’ordinario gioco politico: dopo aver coltivato le ali estreme del suo elettorato durante la dura stagione delle primarie, Romney, con tali cambi di posizione, vorrebbe ottenere il sostegno degli elettori indipendenti, né democratici, né repubblicani.
Ma quale può essere la credibilità di un politico così lesto a cambiare opinione e a seguire ogni refolo di vento nelle opinioni dell’elettorato? E soprattutto che tipo di presidente potrebbe essere un simile voltagabbana?
Otto anni fa, George W. Bush riuscì a ottenere un secondo mandato alla Casa Bianca proprio dipingendo il suo avversario democratico John Kerry come un flip flopper, un politico opportunista, pronto a cambiare opinione a seconda dei diversi bacini elettorali, dalle donne agli omosessuali, dagli ispanici alla classe media.
E’ rimasta nella storia delle campagna elettorali americane l’affermazione di Kerry che, durante la sua campagna elettorale, sosteneva di aver votato per una cosa, prima di votarvi contro.
Se Barack Obama desidera restare alla Casa Bianca per altri quattro anni, nel prossimo dibattito del 16 ottobre, dovrà puntare a mettere in luce proprio questa caratteristica di Romney di cambiare opinione al mutare del vento.
Ci riuscirà? Chiedetelo a Joe Biden.
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