Johanna - dal web

Creato il 07 giugno 2010 da Astonvilla

A Cuba stai sempre a incontrare donne. A volte sono puttane, a volte no. Che poi dipende da come vivi una cosa come il sesso a pagamento: io lo esecro. Neanche mi verrebbe duro, credo, o almeno quando ci penso è così che immagino: per altri è una cosa del tutto normale e anche per le stesse ragazze - tutto sommato - è un modo per vivere, spesso l'unico possibile. Comunque, riguardando vecchie foto - stamattina - ho ritrovato queste e mi è venuto in mente quando uno degli ultimi giorni di permanenza lì, ho conosciuto - si fa per dire, avremo scambiato cento parole in tutto - questa ragazza.
Johanna l'ho vista la prima volta che era sera.
Non ero ubriaco, ma seduto a quel tavolino tondo mi sembrava tondo anche tutto il resto. Lei ballava la salsa con un signore che avrà avuto sessant'anni: non era granché bello a vedersi. Si muoveva stancamente e insieme alla musica sembrava accompagnato da mille dolori alle anche, alle ginocchia. Johanna era lì che gli indicava con le dita i passi giusti. I suonatori dietro, tutti neri, mai nessuno che si dimenticasse di sorridere. Johanna indossava - me lo ricordo - pantaloni color oro e scarpe col tacco alto, di quelle che vedi nei musical ai piedi delle ballerine di flamenco. Non c'entravano niente con tutto il resto, ma lei ci stava bene: si vedeva che le portava con ironia. I capelli legati dietro, lo smalto scuro sulle unghie.
Johanna odiava Varadero.
Anche noi odiavamo Varadero. Ci siamo andati gli ultimi tre giorni, per ripulirci dalla polvere e per riposarci perché le settimane precedenti erano state massacranti. Johanna lì ci stava qualche mese all'anno. "Poi voglio andare a Hong Kong", mi ha detto una volta. Ma si vedeva che in realtà, non lo pensava. Hong Kong se ne stava lì, dietro i suoi occhi neri. Tutti quei cinesi, i negozi con le luci sempre accese, i palazzi con le pareti di cartapesta, le strade larghe: se ne stava tutto lì, dentro la sua immaginazione, tra le sue dita che articolavano disegni nell'aria mentre la raccontava, Hong Kong. Però si vedeva che quel pensiero nasceva già morto, disincantato. Johanna era bella, ma non bellissima: però era dolce. E quando la mattina la incontravi, lei ti strizzava un occhio e sorrideva con quei denti bianchissimi. La andavo sempre a guardare la sera: lei ballava e una volta mi ha invitato. Io non sono andato: mi girava la testa, avevo la diarrea, stavo sotto antibiotici e avevo le guance scottate dal sole, ero innamorato di Cuba e la stavo per lasciare: lei per tutta risposta mi ha fatto la linguaccia. La linguaccia, capito? Non me lo scorderò più.
Era incredibile Johanna.
La incontravi nelle ore più disparate del giorno e ogni volta faceva una cosa diversa: la cameriera, la ballerina, organizzava i giochi sulla spiaggia, puliva la piscina. Qualche volta, quando il rum stava ancora tutto dentro il bicchiere, arrivavo a pensare che forse Johanna passava qualche ora anche in qualche letto: essì. Magari qualcuno di quei vecchi asessuati se la sono fatta e lei ha finto un orgasmo arricciando nei pugni le lenzuola blu. Quando la mattina la incontravo al chioschetto dei cocktail prima della spiaggia, la trovavo sempre con un bicchiere in mano. La cannuccia verde.
Il giorno che ho scattato queste foto me ne stavo da solo a riva.
Stavo fotografando Fabio e Federico sul catamarano, quando nel mirino è comparsa lei: "Mi vuoi fotografare?". Così mi ha domandato e ha cominciato a fare pose sceme. Io ho scattato, ma le prime volte è venuta male: sembra stupido, ma fotografare una di colore non è facile. Devi calcolare bene l'esposizione, altrimenti quella pelle si succhia via tutta la luce e il cielo viene bianco. Alla fine ce l'ho fatta, ma è venuta tagliata via all'altezza delle caviglie. Poi si è seduta con me sull'asciugamano e le ho fatto vedere il risultato. Lei ha guardato il monitorino, ha sorriso e se fossimo stati in un altro mondo e in un altro tempo, le avrei chiesto l'indirizzo email oppure il numero di cellulare. Ma Johanna, queste cose mica ce l'ha. Già guardava la mia fotocamera con gli occhi sgranati di un bambino delle elementari.
L'ultimo giorno di vacanza, dopo colazione, lei stava servendo ai tavoli quei vassoi pieni di cornetti. Mi sono avvicinato, le ho detto che partivo. Johanna ha fatto quella faccia buffa che fanno i bambini quando gli dici che è ora di dormire: ha arricciato le labbra e si è montata sù un'aria triste. Poi ha sorriso: "Dove vai?". "A Roma, a casa", ho risposto io. Allora ha riabbassato le spalle e mi ha porto la guancia per un bacio. Io gliel'ho posato e ho raggiunto gli altri senza girarmi. E' l'ultimo ricordo vero che ho di Cuba, a parte l'aragosta nel terrazzo di Raùl, due ore prima del volo e quattro ore dopo di quello. Ma questa è un'altra storia. Un'altra fotografia che forse racconterò.
Chissà dov'è adesso.
Johanna: neanche lo so se si scrive davvero così.

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